L'omelia del vescovo Pietro Maria Fragnelli dopo l'insediamento nella cattedrale
Trapani, 3 novembre 2013 – in Cattedrale
Omelia di Mons. Pietro Maria Fragnelli
Inizio del ministero episcopale
Carissimi,
nella domenica di Zaccheo la liturgia della Parola ci offre un consolante versetto del Vangelo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito: chi crede in lui ha la vita eterna” (cfr Gv 3,16). Dio ha tanto amato te, chiesa di Trapani, da dare il suo Figlio unigenito. Ecco il cuore del messaggio cristiano, che mi porta a te oggi, mia diletta Sposa. Questo è il cuore del messaggio che ti hanno consegnato nei secoli passati tutti i miei Predecessori. Questa sera vengo a te, come piccolo anello di una lunga catena di amore che risale fino a Gesù, fino al Padre dei cieli. Catena intrecciata dalla forza e dalla fantasia dello Spirito Santo. Catena che non ti fa schiava, ma libera. Vengo come uomo e Pastore del Sud, per confermarti nella gioia e nella responsabilità della fede, testimoniate da Zaccheo, personaggio piccolo di statura, da tutti temuto, che diventa gigante di conversione e di solidarietà dopo l’incontro con Gesù. Vengo - come ti ho già scritto - per amarti e, ne sono certo, per essere amato.
SALUTI
Carissimi, lasciate che il mio primo saluto vada a coloro che ci hanno raggiunto da lontano. Ai fedeli e agli amici venuti da Castellaneta, su iniziativa dell’Apostolato della preghiera, accompagnati dal Delegato don Fernando Balestra e da una grande rappresentanza di sacerdoti. Tanti, nonostante la giornata festiva! Un deferente e grato saluto al Sindaco e ai due assessori del Comune di Castellaneta, mentre il pensiero va anche alle Autorità civili e militari del territorio jonico da cui provengo. Saluto altresì i miei concittadini e familiari di Crispiano e quanti si sono mossi da altre città. Avete visto che la città reale di Trapani è bella e accogliente. Ditelo a quanti incontrerete e tornate a trovarci, quando vi sarà possibile: il mio cammino ed il vostro non si interrompono, ma continuano in modo diverso. Il Signore ci apre a nuove realtà, che sono dono e responsabilità per tutti.
Saluto ora le Autorità civili e militari, che ci onorano con la loro presenza. Ho avuto modo di incontrarvi poco fa nella sede comunale. Qui vi accolgo nella Cattedrale, non solo per ricambiare la vostra cortesia, ma anche per ribadire la libera e leale collaborazione delle istituzioni ecclesiali e la mia personale vicinanza nella preghiera per il vostro lavoro quotidiano. Il mio grazie al signor Prefetto, al Commissario straordinario della Provincia, ai Sindaci della Città e dei Comuni della Diocesi, ai Senatori della Repubblica di Trapani, ai Deputati regionali, ai Comandanti provinciali dei Carabinieri e della Finanza, della Forestale e dei Vigili del Fuoco, al Comandante della Capitaneria di Porto, al Questore e alla Polizia Stradale, al Presidente del Tribunale e al Direttore del Carcere, al 37° Stormo dell’Aeronautica Militare, al 6° Reggimento Bersaglieri, al Presidente della Camera del Commercio e all’ Ispettrice della Croce Rossa. A tutti auguro un anno di fecondo lavoro, ben consapevole che la crisi sociale attuale domanda a tutte le Autorità un supplemento di autorevolezza e di disinteresse, di coordinamento e di coraggio nel perseguire il bene di tutti e di ciascuno. Al direttore del Carcere dico sin d’ora il mio intento di incontrare la vostra realtà il prossimo 5 novembre.
IL CAMMINO ECCLESIALE
Eccomi qui, ora, a rivolgere lo sguardo a tutta la comunità ecclesiale, a questo popolo di Dio in cammino nella Diocesi di Trapani. Grazie per avermi atteso e accolto con grande affetto e benevolenza. A cominciare dal confratello Vescovo, Mons. Alessandro Plotti, che ha lavorato tanto per voi, con passione e saggezza, vivendo una “nuova e inedita avventura”. Vi ha servito per un anno e mezzo: gli avete testimoniato calore umano e cristiano, voglia di risalire alle radici della fede per ritrovare le vie della fiducia e della serenità, coraggio di cercare il senso cristiano del perdono, disponibilità a crescere nella coscienza ecclesiale e nella comunione tra le vocazioni. Grazie, Eccellenza! Il pastorale che hai portato con amore mi peserà un po’ meno. Farò tesoro della tua testimonianza e cercherò di far fruttare l’eredità pastorale che mi consegni, in cui tante grandi potenzialità ecclesiali e civili sono state rimesse in gioco.
Saluto, poi, i signori Cardinali presenti. Anzitutto l’arcivescovo emerito di Palermo, Card. Salvatore De Giorgi. È stato il mio arcivescovo nella diocesi di Taranto, da cui provengo. Grazie per la sua paterna, costante vicinanza. Grazie a lei, cardinale Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo, metropolita di questa diocesi trapanese. Vostra Eminenza mi onorò, dieci anni fa, dell’indimenticabile visita a Castellaneta: oggi idealmente mi accoglie in Sicilia per ridirmi il suo sapienziale “In nomine Domini andiamo avanti!”.
Un grazie speciale a voi fratelli Vescovi di questa amata Regione ecclesiastica, ordinari ed emeriti. Grazie per la vostra ammirevole apertura. Rinnovo oggi l’affetto grande che ho nutrito in passato, da Rettore del Seminario Romano, verso i seminaristi che venivano dalla Sicilia e verso ciascuna delle loro Diocesi. Mai avrei immaginato che un giorno il Signore me ne avrebbe data una - bellissima - in sposa! In questo momento penso con gratitudine ai fratelli Vescovi della Puglia. In mezzo a loro ho vissuto dieci anni intensi, sperimentando la gioia e la fatica della collegialità, anche presiedendo l’Istituto Pastorale Pugliese e il Servizio Regionale di Pastorale Giovanile.
Con tutti i Vescovi di Sicilia e di Puglia rivolgo il mio pensiero affettuoso e grato al Vescovo di Roma, Papa Francesco, che si è reso strumento dell’amore di Dio verso le nostre terre, incoraggiandole alla cultura dell’incontro, al di là delle pur necessarie logiche e articolazioni regionali. Egli ci vede come Pastori impegnati “ad accogliere tutti con magnanimità, a camminare col gregge e a rimanere col gregge”. Mi aiuterete ad assolvere questo che è desiderio e compito.
Saluto poi i sacerdoti presenti, quelli di Trapani e quelli di Castellaneta. Un semplice grazie: avete condiviso e condividerete con me la passione per l’annuncio del Vangelo, per il rinnovamento della Chiesa nella carità e nella capacità di generare e formare cristiani laici adulti, per il dialogo costruttivo e stimolante con le persone e le istituzioni del territorio a voi affidato. Sono fortemente desideroso di incontrarvi personalmente lì dove vivete e di rafforzare insieme i legami del presbiterio. Con voi sacerdoti saluto anche i diaconi permanenti, grato per il servizio liturgico ma anche sociale a Cristo nei poveri della nostra Chiesa.
Saluto i consacrati, fratelli e sorelle che – in convento o in famiglia, nelle attività educative e sociali – testimoniano la nostalgia della Casa del Cielo, il seno di Abramo, al quale siamo chiamati; nostalgia congiunta all’autentica simpatia verso il mondo, amato e redento da Dio. In particolare rinnovo il saluto alle clarisse e alle benedettine che ho incontrato in questi giorni ad Alcamo, affidando alla loro preghiera di intercessione il nostro cammino diocesano. Confidando nella potenza della preghiera, ho deciso di partire di lì, dai monasteri della diocesi, per abbracciare tutto il popolo di Dio: le persone e le istituzioni, le famiglie e le associazioni, le parrocchie e gli organismi. La vocazione di tutti ha una radice nel mistero che le monache contemplano ogni giorno. La pastorale di tutte le vocazioni non può che partire da qui, dallo stare ai piedi di Gesù, nutrendosi del pane della Parola e del pane della Vita, cibo capace di nutrire la fame nostra e di coloro che si rivolgono a noi. In ogni ambiente e situazione.
IL PRIMO POSTO
Vi chiederete: chi occupa il primo posto nel cuore del Vescovo? Vorrei dire anzitutto che – come insegna il Concilio – le gioie e le speranze, i lutti e le angosce di tutti gli esseri umani trovano eco profonda nella Chiesa e nel mio cuore. Tuttavia – pensando al brano di Zaccheo – posso precisare che i primi non sono nella folla che già segue Gesù, ma in coloro che lo guardano a distanza o salgono sull’albero a spiarlo, coloro che non hanno la forza fisica o morale per raggiungerlo e unirsi agli altri. La preghiera in monastero mi conferma nella predilezione per i poveri, a cui Zaccheo dedica la metà dei suoi beni, e per coloro che sono stati da lui defraudati, a cui egli restituisce quattro volte tanto.
Nella vita pastorale, come nella vita sociale, c’è un discernimento da fare e da mettere in pratica. Il mio primo abbraccio va a voi, famiglie che portate i pesi della vita, resi più gravi dalla crisi del lavoro, dalle ingiustizie, dall’odio; penso alla grazia del sacramento e concretamente a voi, famiglie che vi sentite forse penalizzate e bloccate dalla presenza di parenti disabili nella vostra casa. Ho voluto incontrarvi per prime nella chiesa di S. Agostino, come segno di una predilezione che deve caratterizzare tutte le parrocchie e tutte le istituzioni. Cammineremo insieme, adeguando il nostro passo al passo dei più svantaggiati tra noi. È il passo della lentezza che non umilia, ma umanizza la nostra convivenza. In questo mi sento preceduto da quanti hanno fatto proprie le motivazioni ideali di padre Antonio Campanile nel fondare una casa accogliente per gli ultimi. Sarà una delle prime realtà che visiterò in questa settimana. La nostra Chiesa e la nostra società devono continuare a mettere al primo posto queste persone svantaggiate, non solo con strutture idonee e personale adeguato e professionale, ma soprattutto con cuori sempre più caldi e intelligenze sempre più motivate ad accogliere la vita fragile. Dare a questi fratelli e sorelle il primo aiuto, quello necessario per renderli capaci della loro autonomia possibile, significa mettere le premesse per ricevere da loro un dono sorprendente: l’umanizzazione della nostra vita, il miracolo di una scienza, che illuminata dalla fede, non rimane schiava di una tecnologia fine a se stessa, ma si piega e fiorisce nel servizio all’essere umano integrale.
Prolungando la preghiera fatta nel monastero, preghiamo oggi per gli immigrati: a cominciare da coloro che hanno trovato la morte nei nostri mari. Nel giorno della Commemorazione dei fedeli defunti, ho pregato per la loro gioia eterna in cielo. A qualunque religione appartengano, qualunque sia il colore della loro pelle, sono tutti nostri fratelli e sorelle e Dio non può che essere Padre – unico! - di tutti. Ho pregato e prego con voi per quanti sono riusciti a sbarcare e ad incamminarsi sulle nostre strade; preghiamo per tutta l’Italia, l’Europa, il mondo occidentale in genere, chiamato al dovere di accoglierli con dignità e tempestività, creando un circolo virtuoso di collaborazione giuridica ed economica, unendo le prospettive di integrazione sociale a quelle di prevenzione politica. Agli immigrati ho dedicato la mattinata recandomi con Mons. Plotti al Centro di accoglienza di Bonagia.
Tra i “prediletti” desidero mettere i fratelli e le sorelle privati della libertà nel carcere cittadino, che visiterò martedì. Offrirò ai detenuti ed a quanti operano in quella struttura un segno di attenzione da parte di tutta la Diocesi, un messaggio di conforto e di speranza nel difficile ma necessario percorso di giustizia e di rinascita. Spesso si tratta di stranieri e di giovani!
L’elenco familiare dei privilegiati mi porta ora a guardare con fiducia, nel monastero ed in ogni parrocchia, proprio a voi, giovani, a voi che spesso vi trovate senza lavoro e senza ideali. Gettate insieme ogni preoccupazione in Colui che si prende cura di noi (Cfr. 1Pietro 5,7). Con umiltà lavoriamo a ridare speranza a questa società sempre più invecchiata, ma, paradossalmente, sempre meno pronta a prendesi cura dei suoi anziani. Abbiamo bisogno di voi, giovani; dei vostri sogni e della vostra voce pressante. Insieme dobbiamo costruire la nave che ci porta nel futuro. Ma – come diceva il poeta Antoine de Saint-Exupéry – non cominceremo col chiamare a raccolta persone che procurino la legna, non cominceremo col distribuire i compiti e col promettere ruoli più o meno importanti; no, impareremo noi stessi e insegneremo agli altri la nostalgia del mare ampio e infinito. Così comincia la costruzione della nostra nave trapanese e siciliana, italiana ed europea. La nostra costruzione è un mare da solcare ed illuminare con la luce Vangelo. Come facevano i nostri antichi marinai e marittimi portando la Madonna di Trapani in tutto il Mediterraneo. La prima preoccupazione non sarà nel fare progetti o pianificazioni, ma nel risvegliare la nostalgia dell’infinito che è nell’uomo e dell’infinito che è Dio. Tanti uomini di buona volontà, credenti e non, sono pronti a dialogare con noi e a cercare con noi le sorgenti della spiritualità. Come ci testimonia il dialogo di papa Francesco con scrittori e giornalisti che ancora non hanno incontrato Dio. In questo modo ci prepariamo a guardare al mondo del lavoro, a pregare affinché si moltiplichino opportunità di rinascere che non rendano schiavi i giovani e chi ha bisogno di lavorare, ma li onorino nella loro dignità e li premino in forza del loro merito. Penso ora alle attività produttive legate al mare e alle saline, alle risorse paesaggistiche e culturali del nostro territorio, alla posizione strategica per la pace e per l’incontro virtuoso tra Est e Ovest, tra Nord e Sud. Davvero non sono casuali la storia e la geografia del nostro popolo. Davvero abbiamo bisogno di grande spiritualità per fare delle nostre rotte navali ed aeree grandi ponti non solo di tolleranza, ma anche e soprattutto di comunione e di fraternità.
CUM OMNI FIDUCIA
Qui faccio appello a tutto il laicato cristiano e cattolico. È tempo di sequela gioiosa e coraggiosa. San Paolo metteva in guardia il vescovo Timoteo dalle persone “oziose, verbose e curiose”: anche allora sembra prevalesse la chiacchiera sterile e dannosa. L’Apostolo delle genti incoraggiava a vivere l’avventura cristiana “cum omni fiducia”: con tutta fiducia, tutta parresìa. È lo stile che vorrei indicare a voi cristiani laici e specialmente a coloro che si riconoscono nelle diverse aggregazioni ecclesiali e nelle associazioni di volontariato cattolico ed ecumenico: “Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza” (2Tm1,7). Penso anche ai cultori della religiosità popolare e della tradizione dei “misteri”. Questo patrimonio spirituale, così radicato nella società e nella cultura popolare, non solo siciliana ma anche pugliese, non va mortificato con una ripetitività sterile e a volte discutibile. Deve essere assunto – sulle orme di san Paolo – “per accogliere tutti quelli che vengono a noi, per annunziare il regno di Dio e per insegnare le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza (cum omni fiducia) e senza impedimento” (Atti 28,30b-31). Solo così, prima o poi, questi antichi segni della Passione parlano della misericordia di Dio e predispongono a questi cambiamenti di vita capaci di rinnovare non solo la Chiesa, ma anche la società civile, le ideologie e le strutture apparentemente più lontane dalla fede.
CONCLUSIONE
Sono venuto da lontano, rispondendo ad una chiamata. Ho superato anch’io incertezze e tentazioni di rifiuto. In tanti modi mi hanno aiutato la preghiera e le parole di solidarietà e incoraggiamento degli altri. Vi chiedo di continuare a pregare e a sostenere i tanti sì vocazionali che il Signore ha suscitato e suscita nel nostro popolo. Siamo tutti responsabili delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, al matrimonio cristiano e alla missione. Abbiamo solo cinque seminaristi: chiedo alle parrocchie di curare molto il gruppo dei ministranti. Il servizio all’altare sia affidato anzitutto ai ragazzi e ai giovani: se ci sono adulti – lettori o accoliti – si sentano impegnati a curare questi gruppi di “giovani servitori dell’altare”, incoraggiando la pastorale dei ragazzi e degli adolescenti sia con esperienze liturgiche e sia con itinerari di servizio della carità (visita agli ammalati, amicizia con i disabili e le loro famiglie, servizio gratuito a chi ha difficoltà nello studio, accostamento graduale agli adolescenti che abbandonano la scuola o ai figli degli immigrati).
Ma pregate anche per le vocazioni femminili, sia per i monasteri - di Alcamo e di Castellaneta - sia per gli Istituti di vita apostolica. La passione per la bellezza, l’armonia, la pacificazione passa attraverso l’opera di tante religiose che hanno dato tutto per Gesù e per i suoi fratelli più poveri. Dovunque ho incontrato suore che sono nate in Sicilia o hanno speso in questa Regione anni belli della loro vita, felici di una felicità che solo la consacrazione può dare. Sono certo che la risorsa della vita consacrata non si estinguerà, nonostante le difficoltà presenti. Dio ha tanto amato il mondo e continua ad amarlo rendendo presente il Figlio suo attraverso le innumerevoli forme di presenza che lo Spirito di Gesù suscita tra noi. A noi tocca lasciarci amare, accogliere il Figlio divino che ci è donato e aderire a Lui con una fede che si fa sequela gioiosa e fruttuosa.
Con voi invoco il Patrono principale della città, Sant’Alberto degli Abati, i Beati della nostra terra e i servi di Dio, che hanno seminato consolazione e carità cristiana nel nostro popolo. Soprattutto invoco con voi la Madonna di Trapani, la spes nautarum, la speranza dei naviganti.
O Maria, dolce sorriso che abbraccia Trapani e il Mediterraneo, ti invoco come Madre del Signore che ti fai scala e madre di ogni peccatore. Un canto popolare siciliano loda la tua missione: “ E Ddiu ti dipinciu cu manu puri / e comu Matri di lu piccaturi”. Madonna di ogni nostra contrada, da Custonaci a Giubino, tu sei Madonna del Soccorso e Madonna dei miracoli. Rendi puri i nostri cuori, affinché vediamo l’opera del tuo Figlio divino in ognuna delle nostre storie. Madonna di Trapani, cielo a noi vicino, insegnaci il tuo sorriso divino!
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