gioved́ 04 ottobre 2018 |
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La festa di San Francesco ci ha dato la gioia di un augurio calorosamente ‘cattolico’ al santo Padre. L’ascolto di tanti vescovi dell’est e dell’ovest, del nord e del sud ci ha messo di fronte, tuttavia, anche ai tanti mali di cui i giovani sono vittime e protagonisti. Ho pensato agli adolescenti con spinello che mi hanno cercato e allegramente sfidato nella villa cittadina durante la festa di inizio di anno scolastico; ho ricordato le cronache televisive degli assassini seriali (“Dovevo fare il male!”) e le storie di tanti detenuti. Ho avvertito la sindrome del lupo di Gubbio, che la santità del Poverello di Assisi ha fermato e può fermare ancora. San Francesco dice a tutti i fedeli: “Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre”. Lo strumento di lavoro del Sinodo dice che “in un contesto di insicurezza e di paura del futuro, i giovani si legano non più alle istituzioni in quanto tali, ma alle persone che, al loro interno, comunicano valori con la testimonianza della loro vita. A livello sia personale sia istituzionale coerenza e autenticità risultano fattori fondamentali di credibilità” (n. 60).
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