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marted́ 01 settembre 1998
Indice articolo
Piano Pastorale 1998-1999
Schede di Riflessione
Ascolto
Dialogo
Ministerialita'
Formazione
Speranza
Sul Tabor per sperare

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Carissimi fratelli e sorelle, figli e figlie della santa Chiesa di Dio che è in Trapani,
sono contento di avere iniziato con voi quel tratto di cammino che il Signore, nella sua infinita bontà e sapienza, ci darà di vivere, cammino ritmato dall'ascolto e dalla contemplazione dell'eterna Parola, dalla celebrazione dei divini misteri, dall'esercizio quotidiano del servizio e della testimonianza della carità.

Alla Trinità santissima va l'adorazione, il ringraziamento, la lode e la gloria per la grazia della comunione ecclesiale cui siamo chiamati fin dall'eternità.

Crediamo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, nostra madre e maestra. Amiamo la Chiesa culla della fede, tempio vivo dello Spirito Santo, generatrice di santi, santa e insieme bisognosa di purificazione, campo di Dio in cui cresce l'amore, la gioia, la vita vera. Serviamo la Chiesa edificio di Dio la cui pietra angolare è Cristo unico salvatore dell'uomo ieri, oggi e sempre. Offriamo alla Chiesa fedeltà, impegno, generosità, zelo. Costruiamo la Chiesa attraverso l'esercizio della ministerialità di cui, in forza del battesimo, siamo stati arricchiti.

Vigila su di noi, materna, Maria di Nazaret, che ci ha dato il sole di giustizia, Cristo redentore, lei Odigitria, solerte nell'indicarci la via che è Cristo, lei immacolata regina del cielo e della terra, "umile e alta più che creatura termine fisso d'eterno consiglio".

Al Convegno Ecclesiale di Erice, lo scorso agosto, Dio ci ha donato un tempo d'intensa comunione; da esso riceviamo forti spinte e numerosi indizi per l'azione pastorale del nuovo anno.

Desidero ora raccogliere alcune indicazioni lì emerse che indirizzino la nostra azione pastorale, guardando ancora all'icona evangelica da cui, nel Convegno, ci siamo lasciati illuminare.


L'Icona del Tabor


L'avvenimento appartiene al secondo periodo del ministero pubblico di Gesù. I tre sinottici trasmettono il racconto (Mt 17,1-9; Mc 9,2-10; Lc 9,28-36) con delle differenze e lo pongono tra la confessione messianica di Pietro (Mt 16,13-20; Mc 8,27-30; Lc 9,18-21, che segna una svolta nel ministero di Gesù), la prima predizione sul destino del Figlio dell'uomo (Mt 16,21; Mc 8,31; Lc 9,22), le condizioni per seguire Gesù (Mt 16,24-28; Mc 8,34-9,1; Lc 9,23-27) e la guarigione del fanciullo indemoniato (Mt 17,14-21; Mc 9,14-29; Lc 9,37-43) e il secondo annuncio del destino del Figlio dell'uomo (Mt 17,22; Mc 9,30-32; Lc 9,44-45). L'autore della 2 Pt 1,16-18 se ne serve per rinsaldare la speranza dei cristiani nella parusia. Il tema è conosciuto anche dalla letteratura apocrifa (Apocalisse di Pietro 15-17; Atti di Pietro 20; Atti di Giovanni 90; Atti di Tommaso 143). Nella riflessione patristica, sia orientale che occidentale, e medievale la trasfigurazione è presente con grande rilievo come tema teologico, cristologico, spirituale, iconografico e liturgico. Ognuno dei tre racconti dei vangeli evidenzia degli elementi comuni alla tradizione (la montagna, la gloria, Mosè ed Elia, le tende, la nube) e delle differenze che manifestano alcune caratteristiche proprie di ogni evangelista.

Il commento esegetico si riferisce alla narrazione della Trasfigurazione di Luca (9, 28-36).

Gesù insieme ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sale sul monte. L'evangelista non si interessa alla localizzazione né al rilievo (alto = Mc 9,2), anche se la tradizione posteriore, dal-l'inizio del III sec. in poi, lo ha identificato con il monte Tabor in Galilea. Il monte, esprime la vicinanza con Dio, nell'Antico Testamento è il luogo della rivelazione per eccellenza, in cui Mosè ricevette le tavole della legge (cfr. Es 31,18) e dove Elia stesso salì (cfr. 1Re 19,8). Per Gesù il monte è anche il luogo della preghiera solitaria e notturna: "Se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione" Lc 6,12. Per Luca l'intenzione di Gesù non è di manifestarsi ai discepoli, ma di pregare: la preghiera precede ed introduce la trasfigurazione (cfr. v. 29: "mentre pregava"), che scaturisce da questo rapporto intimo con il Padre. In questo vangelo la preghiera costituisce il momento appropriato e privilegiato per le manifestazioni divine, infatti con la sua preghiera Gesù si pone alla presenza di Dio e ne riflette la Gloria (cfr. Il battesimo: 3,21).

Il momento della trasfigurazione è presentato dall'evangelista non con il verbo usato dagli altri due sinottici che significa "avere una metamorfosi" (cfr. Mt 17,2; Mc 9,2), probabilmente perché tale espressione poteva essere dai suoi lettori, provenienti dal paganesimo, intesa come le metamorfosi delle divinità pagane. L'espressione usata, invece, "il suo volto cambiò d'aspetto" (letteralmente: "l'immagine del suo volto divenne altra") sembra richiamare il linguaggio con cui la Scrittura descrive l'esperienza di Mosè: "quando scese dal monte Sinai... non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui" (cfr. Es 34,29-30).

L'ulteriore descrizione del colore delle vesti richiama il linguaggio apocalittico. Il colore bianco candido e sfolgorante simboleggia, infatti, la condizione celeste, riflesso della divinità e della Gloria (cfr. Dn 10,6; 12,3; Ez 1,4.7; Ap 2,17; 6,2).
La presenza di Mosè ed Elia probabilmente richiama la legge e i profeti (Antico Testamento), che trovano in Gesù il loro compimento. Si possono anche considerare profeti escatologici in relazione o alla fine dei tempi o alla venuta del Messia e quindi la loro presenza indicherebbe l'arrivo dei tempi messianici. Luca non si accontenta di riferire che Mosè ed Elia parlavano con Gesù, ma dà anche il contenuto della loro conversazione: "la sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme" (cfr. 9,31). Il termine "dipartita" (letteralmente: "esodo"), cioè uscita, partenza, evoca l'esodo biblico che anche Gesù deve compiere per realizzare il piano di Dio (morte, resurrezione ed ascensione) a Gerusalemme, luogo che Luca propone come centro della storia della salvezza: punto di arrivo della vicenda di Gesù (cfr. Lc 9,51-24,53) e punto di partenza della vita della Chiesa (cfr. Atti degli Apostoli).

La reazione dei tre testimoni è una lotta contro il sonno (cfr. v. 32) che potrebbe indicare un "sonno teologico", cioè la loro inintelligenza e lentezza di cuore nel credere (cfr. 24,25) e che solo il Risorto potrà allontanare. Incomprensione che viene ancora più evidenziata dalle parole di Pietro: "Maestro è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia" e dal commento dello stesso evangelista: "Egli non sapeva quel che diceva".

Probabilmente viene usata la parola "tenda" perché ha un valore religioso, nell'Antico Testamento greco infatti traduce la tenda dell'Arca, nel deserto, dimora di Dio in mezzo al suo popolo durante l'esodo, prefigurazione della sua futura e definitiva abitazione tra gli uomini. Potrebbe anche richiamare le capanne nelle quali gli israeliti abitano durante una settimana in occasione della festa dei tabernacoli: ricordo dell'esperienza dell'esodo (cfr. Lv 23,42) e speranza estesa ai popoli (cfr. Zc 14,16-19). In questa proposta di Pietro vi può essere inoltre un'allusione alle tende celesti (cfr. 16,9) per trasferire sulla terra la dimora che i giusti hanno nelle "tende" del mondo futuro.

La risposta divina alla proposta di Pietro viene con la nube che li avvolge e la voce del Padre. La tenda ha la funzione di riparare, la nube viene ad "adombrare"; la tenda è tessuta dalle mani dell'uomo, la nube è di origine celeste; la tenda immerge nell'oscurità, la nube è "luminosa" (cfr. Mt 17,5) e richiama il simbolismo dell'Antico Testamento dove è segno della presenza invisibile di Dio e della sua Gloria (cfr. Es 24,15-18; 40,34-38; 1Re 8,10-12; Ez 10,3-4). Il valore simbolico della nube può essere precisato ulteriormente perché essa non ricopre soltanto i tre personaggi, ma anche i tre testimoni, ciò dimostra che i discepoli non sono soltanto spettatori, bensì implicati in un avvenimento che certamente li supera e tuttavia li riguarda.

La voce divina: "Questi è il figlio mio, l'eletto" (cfr. v. 35), differentemente da quella del battesimo (cfr. 3,22), in cui si rivolge a Gesù con la seconda persona, si esprime qui in terza persona. Mediante la combinazione di due citazioni (cfr. Sal 2,7 e Is 42,1) sono affermati due titoli di Gesù che sintetizzano ciò che la scena della trasfigurazione ha messo in luce: lo stretto legame tra la gloria che compete a Gesù e la necessità di passare attraverso la sofferenza. "Il mio figlio" rivela qualcosa sul mistero della sua persona in rapporto con Dio Padre che lo manifesta nella "sua gloria" vista dai tre discepoli. "L'eletto" vuole, invece, suggerire il titolo caratteristico del servo del Signore chiamato a soffrire.

L'imperativo "Ascoltatelo" insegna l'atteggiamento che l'uomo deve assumere nei confronti della missione evangelizzatrice del Salvatore. Nella tradizione biblica il verbo "ascoltare" ha una densità di contenuto che non si riscontra nella nostra lingua, infatti non si tratta solo di "dare ascolto" a quanto dice il Figlio di Dio, ma soprattutto di "prestare obbedienza" a tutte le sue parole (cfr. Dt 6,4-9). La formula "ascoltatelo" si ricollega probabilmente a quanto detto per il profeta della fine dei tempi "pari a" Mosè (cfr. Dt 18,15). Alla luce di questi rilievi si comprende più chiaramente che ciò che Gesù comanda è voluto da Dio, è espressione della sua volontà e di conseguenza esige piena obbedienza da parte dei discepoli.


Il Piano Pastorale

1. La scelta di assumere nel Convegno la prospettiva del "Progetto culturale", orientato in senso cristiano, coniugandola con l'attenzione alla vita secondo lo Spirito di Cristo, vale a dire la vita di ogni battezzato nella sua risposta alla chiamata alla santità si è rivelata assai fruttuosa.

Essa ci ha consentito di riprendere la rotta nella quale le Chiese d'Italia navigano dal 1995 dopo il Convegno di Palermo e nella quale già la Diocesi si era avviata dal '96.

Ci appare inequivocabile che la frattura tra la fede e la cultura, da tempo denunciata e adesso messa decisamente a fuoco, chiama la comunità dei credenti a una lettura sapienziale degli avvenimenti della storia. Tale lettura sarà nuova, in quanto logori sono i linguaggi e le forme nei quali ancora ci muoviamo e ci esprimiamo a più di trent'anni dal Concilio Vaticano II, alle soglie del terzo millennio. Ci sforzeremo di compierla alla luce dell'intramontabile Parola di Dio per ridare speranza all'umanità.

Per un nuovo modo di vedere e di agire, per un pensare nella fede si esige, però, una conversione del cuore e della mente, un'attenzione piena, oserei dire esclusiva, alla vita spirituale. Solo tale conversione dell'intera persona può dar luogo all'auspicata conversione pastorale, che noi, Vescovi della Chiesa che è in Italia, chiedevamo nella Nota pastorale seguita al Convegno nazionale di Palermo, Con il dono della carità dentro la storia, n. 23 (cfr. anche il Messaggio pastorale della C.E.Si Nuova Evangelizzazione e Pastorale n. 2), documenti, che raccomando alla vostra lettura meditata. Sembra ancor più indispensabile questo salto qualitativo nella terra di Sicilia, la quale detiene un patrimonio di cultura e di fede che non è lecito disperdere, una capacità di risalire la china che non ci è dato disattendere. Mi rifiuto di pensare la Sicilia con il cliché collaudato e propagandato di terra maledetta, con il marchio infame della mafia atea e assassina, della subcultura, del provincialismo ignorante e presuntuoso. Amo pensare la Sicilia solare, terra benedetta da Dio per le sue bellezze di natura, per le sue ricchezze d'arte, di storia e di fede, per la sua gente ricca di grande e calda umanità. I mali vecchi e nuovi di questa nostra terra richiamano la responsabilità della Chiesa: dobbiamo individuare le leve positive del nostro patrimonio culturale, senza snobbarlo e senza scimmiottare i modelli culturali più alla moda (cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli uomini di cultura, Catania, 4 Novembre 1994 e il Documento della Conferenza Episcopale Siciliana, Finché non sorga come stella la sua giustizia, Palermo 15 Maggio 1996).

2. Solo la vita nello Spirito di Cristo forma personalità forti e coraggiose, incanala le immense energie di bene nei sentieri della giustizia, della legalità e della fraternità. D'altra parte nel documento appena citato noi affermavamo che "per la nuova evangelizzazione e per il rinnovamento della società la prima e più necessaria risorsa sono uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori. Non basta aggiornare i programmi pastorali, i linguaggi e gli strumenti della comunicazione. Non bastano neppure le attività caritative. Occorre una fioritura di santità. Essere santi significa vivere in comunione con Dio, che è il solo santo, e, poiché Dio è carità, lasciarsi plasmare il cuore e la vita dalla forza della sua carità". In altre parole la nostra azione pastorale sarà efficace se tutti ci sforzeremo in ogni modo di tendere alla santità.

3. Se è vero che il Progetto Culturale non si identifica con la pastorale ordinaria della Diocesi tuttavia ne è l'humus, in cui matura e si sviluppa, le suggerisce uno stile e un metodo, rendendola attenta ai processi in corso. Se la prassi pastorale ci porterà a far tesoro di questi suggerimenti certamente acquisirà maggiore freschezza. Il Progetto Culturale di per sé è un processo dinamico di ricerca, di risposta, di proposta e di comunicazione, "teso a far emergere il contenuto culturale dell'evangelizzazione" (Progetto culturale orientato in senso cristiano. Una prima proposta di lavoro, a cura della Presidenza della CEI, n. 2). Esso mira a far prendere consapevolezza alla comunità cristiana della frattura tra la fede e la cultura dominante nel Paese, affinché si dia impulso all'opera di evangelizzazione della cultura e di inculturazione della fede. Da tale consapevolezza scaturisce una prassi pastorale capace di proporre la fede e la visione cristiana dell'uomo mediante esperienze e linguaggi significativi nell'odierno contesto culturale. Lo stile ed il metodo indicati sono quelli del "discernimento comunitario" (Una prima proposta di lavoro, n. 4) quale "espressione dinamica della comunione e metodo di formazione spirituale, di lettura della storia e di progettazione pastorale" (Con il dono della carità, n. 25). Avvertiti della frattura tra fede e vita, veniamo invitati a correggere e ripensare l'azione pastorale, che diversamente rischia l'irrilevanza (cfr. Evangelizzazione e testimonianza della carità, n 6).

La spiritualità come coltivazione della vita secondo lo Spirito del Risorto fa emergere la dimensione personale della risposta al dono divino, che è obbedienza al progetto di Dio, ascolto umile di "ciò che lo Spirito dice alle Chiese". Da una seria vita secondo lo Spirito di Cristo si sprigiona una creatività preziosa ed irrinunciabile per la vita della Chiesa. E chi di noi non si è nutrito con la lettura di grandi autori spirituali o non ha trascorso tempi di riflessione in luoghi e con persone che testimoniano con nuda forza l'Assoluto? Al Convegno stesso abbiamo voluto farne esperienza nella giornata di giovedì. Il giorno avanti le vibranti conversazioni di mons. Costanzo ci avevano richiamato i pilastri della vita secondo lo Spirito di Cristo: i sacramenti, vissuti come incontro personale con Dio in purezza di cuore, e l'ascolto della Parola, vissuto con una frequenza assidua e rispettosa dei testi.

4. Colgo il punto focale del rapporto tra il Progetto Culturale e la vita spirituale dei cristiani ed il loro contributo all'azione pastorale nel discernimento dei segni dei tempi. Esso è un atto complesso dell'intero popolo di Dio, che si compie attraverso un preciso cammino che la tradizione testimonia e la teologia delucida. Il Concilio aveva esortato a questo complesso e delicato atto del discernimento: "È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare attentamente, discernere e interpretare le varie opinioni del nostro tempo, e di saperle giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta" (Gaudium et Spes 44). Da uomini del nostro tempo, partecipi dei desideri, delle aspirazioni e delle esigenze dei nostri conterranei, siamo chiamati a leggere gli eventi della nostra storia mettendoli in relazione con i disegni di Dio. Questo non facile compito sapremo assolvere se saremo aperti e attenti alle tendenze di questa storia, intuendo le aspirazioni più diffuse e profonde dell'oggi, e, soprattutto, se saremo in sintonia con lo Spirito di Dio, il Quale ci guiderà a scoprire in che senso tali speranze e desideri sono un dono dall'alto e possono diventare strumento di grazia e redenzione per tutti. Conosciamo, è vero, l'ambiguità di tanti desideri del cuore dell'uomo, del nostro cuore, ambiguità che si riversa negli eventi stessi e che proviene dalle impurità che permangono in esso. Solo Cristo libera questo cuore da ogni schiavitù e noi, suoi discepoli, siamo chiamati a essere segno e strumento di quest'opera del Cristo portando innanzitutto la luce del discernimento del suo Spirito nel nostro e nel cuore di ogni uomo, per discriminare ciò che è buono da ciò che non lo è.

A questo discernimento ci apriamo fiduciosi a cominciare da quest'anno, ponendo subito in essere due condizioni indispensabili quali l'ascolto ed il dialogo, e coltivando due ambiti che ne sono in qualche modo conseguenza ma che contribuiscono ad affinarlo, la ministerialità e la formazione.

L'ascolto



5. Il Tabor, con il suo silenzio orante, è un evento di luce perché vi accade un dialogo che rimanda alla Pasqua. E' una manifestazione del Dio trino ai discepoli. È l'icona della Chiesa che cammina ogni giorno verso l'eternità beata con la sola luce che promana dal volto trasfigurato di Cristo risorto. Questo volto le si riflette ormai nella quotidianità storica, intrisa di gioie e dolori, di lotte e riconciliazioni, di quell'apparente ripetersi che nasconde, però, la potente guida divina e che lei sa individuare con sagace discernimento.

Discernere è vedere la storia con altri occhi, trasfigurata perché trasfigurati siamo noi, passati dalle tenebre alla luce di Cristo risorto. Affinché ciò sia possibile e abbia efficacia è necessario anzitutto l'ascolto. "Ascolta Israele, il Signore è il tuo Dio": un ascolto obbediente a Dio, del quale si riconosce l'azione nella storia.

Ecco l'inizio umile di un piano pastorale: l'ascolto come stile di Chiesa, come dimensione della fede, come risposta di carità, come ponte lanciato all'uomo chiuso nella solitudine devastante.

Mi sforzerò di promuovere una Chiesa che coltiva il ministero dell'ascolto.

Come avviene nella santa montagna, ascoltare richiede tacere, ricercare con determinazione il silenzio, aspettare i tempi di Dio nel suo manifestarsi per essere in grado di riconoscerlo anche nei modi in cui si manifesta. Sono convinto che non percepiremo le profonde aspirazioni del cuore umano se non udremo il loro grido in Dio, tramite Cristo. Ascoltare i problemi e le ansie del mondo senza essere immersi nella contemplazione ci trascina lontano dalla missione che ci è stata affidata, portando, infine, anche a tradire l'uomo stesso.

Siamo certi, infatti, e lo annunciamo, che solo in Cristo l'uomo ritrova se stesso. Al di fuori dell'ascolto contemplativo del Verbo scivoliamo in un attivismo pernicioso e in una miopia letale, che ci condurrà ad approntare mille iniziative, tutte sterili e vieppiù irrilevanti, oltre che ghettizzate.

È capace di ascoltare chi si allena al silenzio e al rispetto dell'altro; chi coltiva la meditazione e non ha paura di confrontarsi con la propria coscienza; chi opera un salutare discernimento alla luce della Parola di Dio; chi ama la verità che si presenta in molte sfaccettature, complessa; chi sa accettare la sfida del quotidiano scommettendosi con passione per l'affermazione dei valori veri; chi coltiva la speranza che, alla fine, il bene vincerà sul male; chi nella fede scommette tutto su Cristo visto, incontrato, toccato con mano; chi è capace di sognare ad occhi aperti un mondo più umano. Più fraterno, più giusto; chi con ottimismo sa coniugare vittorie e sconfitte senza mai abbattersi e si aggrappa alla potente mano di Dio; chi non si scoraggia e non demorde di fronte agli insuccessi subiti; chi fa delle beatitudini il proprio codice di vita.

Dagli antichi Padri del deserto al grande vescovo africano Agostino, da Bernardo a Teresa d'Avila, a Charles de Foucauld, una lunga ed ininterrotta tradizione testimonia che la capacità di ascoltare l'altro è proporzionale alla capacità di ascoltare noi stessi, di sapere entrare in noi ed ascoltare la voce di Dio che abita nell'intimo della nostra coscienza. Come dimenticare quella pagina dei Promessi Sposi, che descrive l'incontro dell'Innominato con il cardinal Federico: quell'uomo, crudele e rotto a tutti i vizi, si era aperto all'ascolto di Lucia, le cui parole nella notte avevano scavato in lui solchi profondi, dove adesso la parola del Cardinale può seminare speranza: "Quel Dio che tu cerchi è dentro di te".

Ascoltiamo l'uomo in Dio!

Il dialogo


6. L'ascolto apre al dialogo. Non abbiamo da portare avanti un nostro progetto, ma solo scoprire e seguire quello di Dio. Dio stesso, per altro, si rivela a chi si apre a Lui con docilità, anzi, egli sta alla porta e bussa. Con i tre discepoli del Tabor stiamo ritti dinanzi al Figlio, pronti ad incontrarlo sfigurato nella tragedia della passione dove Egli mostra noi a noi stessi: chiamati ad essere re, ma volendo ad ogni costo esserlo senza Dio e contro Dio, dobbiamo riconoscere che siamo quel Gesù di Nazaret presentatoci da Pilato: "Ecce homo". Come lo riconosceremo se non con gli occhi della fede? Incoronato caricaturalmente con rovi, munito con scettro di canna, deriso e umiliato, sfigurato fino a perdere ogni sembianza è l'uomo di ogni tempo e luogo che ha perso l'identità. Siamo spinti ad andare incontro a quest'uomo sfigurato perché investiti dall'alito dello Spirito nel mattino di Pasqua, dove incontriamo Gesù risuscitato dal Padre, assiso alla sua destra, Signore, trasfigurato per sempre; anche qui mostra a noi quel che siamo, nella fede, e quel che ogni uomo è chiamato ad essere, nella speranza: "Eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria " (Rm 8, 17). Al presente come Pietro, Giacomo e Giovanni, possiamo e dobbiamo vederlo glorioso nelle sembianze umili dello scorrere storico, possiamo vedere trasfigurata la quotidianità, perché insieme con lo Spirito la riportiamo nella scia di Gesù Risorto, nella sfera della sua azione.

Nel dialogo con Lui che conduciamo nei nostri cuori e che si manifesta, anche se non esclusivamente, nelle celebrazioni liturgiche, prime fra tutte quelle sacramentali, non solo lo contempliamo e ascoltiamo, ma lo supplichiamo portando a Lui il grido dell'umanità, lo imploriamo di intervenire, di alleviare, di illuminare: è un incontro sponsale!

La celebrazione eucaristica è il più grande incontro che ci sia concesso sulla terra: abbandonata ogni cosa, seguiamo Gesù nell'offerta al Padre, portando l'intera umanità con noi; ne usciamo ricchi di quel che il mondo avidamente cerca.

Il colore pasquale del dialogo, di cui parliamo, ammonisce che è un dono sia il dialogo con Dio sia quello con l'uomo. Nella sua infinita bontà Dio si apre all'uomo di sua iniziativa, senza che questi possa esigerlo; l'uomo riceve questa rivelazione divina come un dono umilmente accolto. È vero, Dio non viola la libertà umana, ma solo l'uomo può aprirgli le porte del suo cuore. Allora ripeto con il Pontefice: "Aprite, anzi spalancate le porte del vostro cuore al Cristo". Anche il dialogo tra uomini è un dono, dal momento che uno dei partner si può rifiutare o può mentire ingannando; sappiamo quanto sia difficile conquistare la fiducia dell'altro e quanto sia delicato mantenere i rapporti in sincerità e trasparenza. L'affidabilità di un uomo, pur sempre limitata, si fonda esclusivamente sulla tensione di questi verso la verità, cioè sulla rettitudine. Con l'umiltà della Vergine di Nazaret, donna dell'ascolto, rendiamo puro e umile il nostro cuore, perché Dio non disdegni di rivelarsi e perché l'uomo non tema di aprirsi. A noi, Chiesa di Dio in Trapani, la responsabilità di ascoltare e dialogare in Dio in parrocchia, in famiglia, nelle aggregazioni ecclesiali, ma anche con i responsabili della cosa pubblica, con istituzioni ed organizzazioni di ogni genere che lavorano per qualificare l'esistenza umana!


7.  L'ascolto e il dialogo abbisognano di momenti e luoghi particolari, dove ci si può incontrare più facilmente e dove il volto di Dio e degli altri si mostra più liberamente ad animi desiderosi di verità.

Nei luoghi della teofania, pertanto, siano curati l'accoglienza, il dialogo, la testimonianza con la parola e con la vita del Verbo visto e toccato con mano.

Penso ai Santuari mariani della Diocesi; penso ad Erice con la sua storia ultramillenaria scolpita nelle pietre, con il suo silenzio e la sua discrezione: c'è un progetto che si va delineando, La montagna del Signore, che necessita dell'impegno e delle energie di questa comunità diocesana pronta ad accogliere e coinvolgere altre componenti ecclesiali e non, soprattutto nel campo della formazione dei futuri presbiteri. Penso all'Eremo di sant'Anna, centro vivo di spiritualità, adatto a scolpire coscienze illuminate, orientate alla consacrazione totale a Dio nel servizio ai fratelli. Penso ai monasteri e ai conventi: non entri in essi il chiasso mondano, resti il silenzio a garanzia della vita religiosa, parli Dio all'uomo della tecnologia avanzata. Da questi luoghi della teofania verranno fuori i testimoni credibili del nostro tempo.

Alleniamoci al dialogo!


La ministerialità


8. Posti dinanzi a Cristo e agli uomini nel dialogo, siamo ammessi come Pietro, Giacomo e Giovanni al dialogo trinitario, scoprendo le profondità di Dio. Resi però umili e rispettosi della verità altrui attraverso la scuola del silenzio, siamo anche ammessi all'intimità degli uomini, e questo infine ci permette di scoprire la nostra identità. Ecco venir fuori i talenti, i carismi! Così l'atto del discernimento giunge alla sua fase cruciale, preparato da un lavorio che abbiamo lasciato compiersi in noi.

Affidato al popolo di Dio e sotto la guida dei pastori, il discernimento richiede lo sforzo di percorrere correttamente le tappe dell'ascolto e del dialogo. Solo così possiamo scoprire la chiamata di Dio per ciascuno di noi e ricevere il sostegno nella valorizzazione dei talenti scoperti e nel porre al servizio dei fratelli i carismi ricevuti.

L'esercizio della ministerialità consente di costruire una Chiesa secondo il volere di Dio, dove ciascuno nella verità di se stesso ha la possibilità di offrire agli altri il dono ricevuto. La guida del Vescovo e dei presbiteri, suoi collaboratori nel ministero pastorale, dà garanzia a tutti dell'armonizzazione dei carismi e dell'unità.

"Il carisma non è affatto un'arbitraria iniziativa del singolo all'interno della Chiesa. E' piuttosto la risposta suscitata dallo Spirito ad un bisogno concreto, una risposta incarnata nelle capacità personali, confortata dall'approvazione della Comunità e garantita dall'autorità dell'Apostolo. Il carisma autentico è essenzialmente a servizio della Comunità ecclesiale" (Giovanni Paolo II, Visita Pastorale, Mazara del Vallo, 8/5/93)

9. Esploda la vocazione alla ministerialità: a quella ordinata, a quella istituita, a quella di fatto!

Come non pensare alle vocazioni sacerdotali, indispensabili nel servizio alla comunione ecclesiale! Chiedo a tutti di tenere a cuore il Seminario, perché sia cenacolo di spiriti ardenti e abiliti i giovani a seguire il Cristo povero, umile e casto nella donazione totale del pastore che sacrifica la vita per le pecore. È richiesto al futuro presbitero che acquisisca una formazione umana robusta e matura, sostenuta da una preparazione culturale ampia e solida. Si curi la pastorale vocazionale, guardando tutti al Seminario come il Tabor da cui discenderanno nelle nostre comunità parrocchiali i presbiteri secondo il cuore di Cristo.

Ministri ordinati sono anche i diaconi: auspico che quanti sentono nel cuore il desiderio di servire il Signore e la Chiesa più da vicino nell'ordine del diaconato non si vergognino di farsi avanti, di chiedere aiuto per un discernimento che un'équipe educativa condurrà e che la comunità dei diaconi e degli aspiranti diaconi verificherà nella preghiera e nell'ascolto della Parola.

Non dimentico, certo, né intendo disconoscere la ministerialità laicale, prima fra tutte quella che si espleta nella vita matrimoniale. La casa di Nazaret è luogo emblematico di ascolto, dialogo, servizio reciproco e comunione. I silenzi di Maria, il suo sostare in adorante contemplazione del mistero, il suo camminare nella via della fede come i "poveri di Jahweh", la mostrano modello della santità che assume i tratti del quotidiano, della ferialità vissuta con amore. Anche la famiglia, come ogni fedele impegnato in attività secolari, svolge un ministero proprio fondato sull'ascolto, sul dialogo, e necessita a sua volta di continuo discernimento per muoversi nel ginepraio delle proposte di una società al limite della trasgressione continua. Nel chiasso del mondo la famiglia credente, il cittadino cristiano, il discepolo di Cristo, costruttore della società del nuovo millennio, devono ritagliarsi spazi di silenzio e di deserto per ritemprare lo spirito, ricevere luce e rispondere al progetto di Dio. "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore" (Ef 4,11-14).

10. Se prima richiamavo la creatività spirituale, che esprime la libertà dello Spirito anche nei confronti delle necessarie pianificazioni pastorali, è bene che adesso esprima la mia obbedienza allo Spirito, il quale soffia come vuole e quando vuole, e non è certo appannaggio esclusivo dei Vescovi o di un solo Vescovo: sono pronto ad accogliere chiunque si faccia avanti per iniziare con lui il cammino del discernimento, secondo la parola dell'Apostolo: "Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (1 Tes 5,19-21).

La Parola di Dio ricorda che l'autentico discernimento ecclesiale conduce all'unità e all'armonia, sotto la guida degli Apostoli, per quanto umile e limitata sia la loro persona.

"Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4,15-16). La libertà personale, che mette a frutto i talenti ricevuti, e la coralità di un popolo, condensata e rappresentata nell'istituzione, non sono affatto in opposizione, ma trovano l'equilibrio nel corretto funzionamento della disciplina ecclesiale. A tal proposito la mente corre ai diversi movimenti sorti da alcuni decenni nella Chiesa, e presenti in Diocesi, i quali hanno ravvivato la fede di molti, ma sono anche maturati in obbedienza al Magistero, correggendo qualche stortura che arrecava danno al popolo di Dio.

11. Nella cospirazione all'unità ed all'armonia la parrocchia è segno di comunione, è cellula vitale del Corpo mistico, non certo superata, ma nemmeno sganciata o contrapposta alle altre parrocchie. Anzi per fronteggiare più adeguatamente alcune problematiche, che per loro natura superano le dimensioni parrocchiali, dovrà farsi strada lo strumento dell'interparrocchialità, attraverso cui l'armonia delle parti segnerà lo stile della nostra Chiesa. Con un raggio ancora più ampio le zone pastorali, coordinate da un vicario episcopale, tenteranno di innescare un processo virtuoso che porti la comunità diocesana ad uno stile sinodale, con l'auspicio, se Dio vorrà, di un sinodo per la nostra Chiesa.

Esploda la ministerialità nella nostra Chiesa particolare!


La formazione


12. Chiamati a non rimanere fanciulli, ma a crescere nell'uomo interiore con la forza dello Spirito, ci è necessario curare la formazione spirituale e culturale di ogni membro del Corpo di Cristo. Il cammino costante e non ostacolato della fede conduce a tale crescita. Con gioia vediamo sacerdoti e laici che avvertono il bisogno pressante della qualificazione teologica, indispensabile per quel pensare nella fede che è richiesto dal Progetto Culturale. Lo studio della teologia non solo non diminuisce o ostacola il cammino spirituale, ma anzi lo irrobustisce mettendo in grado ciascuno di rendere ragione della speranza che è in lui. La teologia infatti è intelligenza della fede, che abilita il credente ad un servizio più qualificato nella Chiesa.

È ricchezza della nostra Chiesa l'esistenza dell'Istituto di Scienze Religiose e di scuole di formazione teologica e biblica.

13. È opportuno ribadire il valore ineludibile dell'accompagnamento spirituale, non solo per i sacerdoti medesimi e i laici più impegnati, ma per ogni credente che vuole andare spedito verso il Signore rispondendo alla sua chiamata in qualunque condizione di vita. La volontà di Dio non è mai generica, ma ha un disegno per la persona nella sua imprescindibile singolarità: la santità è personale. L'accompagnamento spirituale assicura il discernimento per la persona singola della volontà di Dio su di lei; fermarsi solo ai momenti comunitari in fase recettiva e in fase attiva salta la fase più delicata del processo del discernimento, che porta il cristiano alla maturità di fede.

È necessario accentuare la valenza educativa della prassi pastorale sia nei momenti espliciti di iniziazione al mistero cristiano e di catechesi settoriale sia nelle celebrazioni e nelle iniziative pratiche.

14. Ci accorgiamo tutti, e ci è stato ricordato al Convegno di Erice, di dover favorire il passaggio da un impianto devozionale della fede del popolo di Dio, e della rispettiva cura pastorale ad esso rivolta, ad un impianto testimoniale della fede stessa, nutrito dalle celebrazioni liturgiche e dalla preghiera, educato dalla catechesi, operativo nella testimonianza della carità, sostenuto dal discernimento spirituale. A nessuno è lecito disprezzare l'impostazione devozionale della fede del nostro popolo. Un po' ovunque in Italia si sono avute frizioni tra il cattolicesimo cosiddetto impegnato, nato da gruppi, movimenti e associazioni, e quello popolare - devozionale; tali frizioni sono segno di una fase adolescenziale del processo: il nuovo modo di vivere il cristianesimo secondo una fede testimoniale nella sua fase nascente si pone in comprensibile discontinuità col vecchio. Da noi, penso soprattutto ai confratelli presbiteri e agli operatori pastorali, si richiede un equilibrio umano e una maturità di fede per essere guide sicure in un momento di passaggio come quello in cui viviamo.

La cura delle devozioni fu d'altronde la forza e l'originalità della pastorale in età moderna fino al nostro secolo, assicurando vincoli saldi e resistenti di appartenenza ecclesiale ad una larga fascia di persone. Adesso ci appare il limite di questa impostazione pastorale, ma è nostro compito lavorare per favorire il passaggio suddetto, evitando la riduzione ad un cristianesimo di élite. Oltre ad occuparci, con sforzo meritorio, degli "impegnati", di coloro cioè che la grazia di Dio conduce nei nostri ambienti attraverso mille strumenti, perché qualifichino la fede, non è perdere tempo dedicarci ad uno studio approfondito della nostra religiosità popolare, e a continuare le sperimentazioni concrete di fermento delle persone che si dedicano alle feste popolari in forma di Comitati, di Deputazioni, di Confraternite, di Ceti, perché finalmente si proceda con più decisione e accortezza al suddetto passaggio: penso alla Processione dei Misteri e alle iniziative simili della Settimana Santa e del Natale, come pure alle feste patronali e rionali. Non è un segno, su cui operare il discernimento, il fatto che tale religiosità costituisce ancora uno zoccolo duro, permettendoci di ascoltare e dialogare con un numero non indifferente di battezzati?

15. Nello sforzo del passaggio ad una fede meno intimistica e salottiera, meno privata e sdolcinata, e più robusta e consapevole, per il quale intendo spendere le mie energie, come vi ho detto più volte, chiamo tutti a fare corpo (la disgregazione è opera del diavolo che è spirito di divisione), per assumere ciascuno la nostra parte di responsabilità confidando in Dio. 

La sfida raccolta dalle Chiese italiane con il Progetto Culturale orientato in senso cristiano diventa anche la nostra sfida nel piano pastorale di quest'anno, secondo le linee di fondo di un progetto pastorale per la Chiesa trapanese che andrà precisandosi nell'anno a venire intorno ai valori della comunione e del dialogo, della nuova evangelizzazione e della speranza. Attraverso questi alti ideali evangelici intendo percorrere con voi la via maestra, unica, della santità, della vita secondo lo Spirito di Cristo. Se non imbocchiamo con decisione questa via maestra, la pastorale diocesana risulterà scialba, tiepida e farraginosa.

L'imperativo è la formazione alla santità!

Conclusione


16. Da molti si potrà pensare che avrei potuto scegliere per tema del mio primo piano pastorale argomenti o metodi di trincea, che mirassero a rimpinguare le esigue fila o a guadagnare alla Chiesa trapanese una maggiore visibilità. Non mancano modi e problemi per gettarsi nella mischia con clamore. Non credo che si debba cedere a facili mode, quanto piuttosto essere in piena sintonia con l'unico Maestro e Signore. Riconosco che sarà uno sforzo non semplice, a partire dagli stessi presbiteri, quello di guardarsi dentro, di rispondere con spirito di sacrificio all'azione dello Spirito che vuole andare in profondità, tagliando e purificando. Chiedo al Signore e, vi supplico, chiedetelo anche voi con me e per me di illuminare la mia guida, perché tramite essa sia assecondata l'azione divina e mai ostacolata da alcuna passione mia personale. Sono consapevole che debbo, e per altro lo voglio con tutto il cuore, sottopormi per primo al fuoco purificante, ma sanante dello Spirito. Questo e non altro è il privilegio, carissimi confratelli nel ministero, di partecipare intimamente all'ufficio pastorale di Cristo, strettamente e indissolubilmente uniti a lui dal sacramento dell'ordine: poter offrire la vita per il gregge. Vogliamo farlo solo a parole? La speranza del Tabor è quella del seme che caduto in terra porta frutto solo se muore; anzi, a sentire san Paolo la tribolazione del ministero è vita e speranza per gli altri: "In noi opera la morte, ma in voi la vita" (2 Cor 4,12).

Non con le parole, ma con l'operosità costante, anche se nascosta, diamo speranza all'uomo.

Troppo spesso quest'uomo, per sua natura lanciato verso un fine, non riesce a guardare al futuro con fiducia. Con amarezza costatiamo il rifiuto di andare avanti, di pensare alla sua rinascita e lo vediamo persino rinchiudersi nella mentalità del nichilismo e della morte. Annunciamo la luce della Pasqua, che contempliamo nel volto trasfigurato di Cristo, Luce del mondo: essa ci assicura che Dio sta lavorando con noi e in noi per il futuro dell'uomo. Egli ci viene incontro dal futuro, e fermenta il nostro presente perché ci apriamo al futuro. Da credenti ci rivolgiamo al futuro attratti da Colui che ci restituisce la verità di noi stessi, sollecitati dallo Spirito a ricercare sempre nuove dimensioni della "Verità che ci ha consacrati". Salendo sul Tabor faremo da specchio perché la luce di Cristo illumini ogni uomo. Per questo la Trasfigurazione ci invita alla speranza certa non disgiunta dalla vigilanza.

Vi esorto a sperare con me; la speranza non è un oppio, ma una virtù guerriera che ci mette dentro un ardore e una forza straordinaria. Colorate di speranza le associazioni e i movimenti ecclesiali, le comunità parrocchiali e gli impegni pastorali, i nostri paesi, la politica, l'economia, la vita civica.
Fratelli e figli carissimi, con il Cantico dei Cantici anche noi cerchiamo l'amato del nostro cuore e sentiremo nell'intimo risuonare la voce: "Alzati, amica mia, mia tutta bella e vieni".

Alzati, Chiesa di Trapani, sali sul Tabor, il tuo luogo di luce, di verità e di pace, per poter ancora e sempre sperare.

A Cristo Gesù trasfigurato, da cui riceviamo luce di verità, ardore di carità, ricchezza di speranza rivolgiamo la nostra preghiera:

O Gesù del Tabor, Signore della gloria,
vogliamo contemplarti,
desideriamo ardentemente ascoltarti.
Nel silenzio orante parla al nostro cuore
disponici al dialogo insegnaci ad amare e a perdonare
donaci ardore per la santità passione per il Regno.
Aiutaci a salire sul Tabor della verità, della giustizia e dell'amore.
Trafiggici con il tuo Spirito, conduci la tua Chiesa nei sentieri della speranza.
Trasformaci in segno luminoso della fede,
in Vangelo vivo, in messaggio di ottimismo e di serenità.
Muta i nostri cuori, modella le nostre menti,
ispiraci pensieri e propositi di santità,
guidaci a gustare l'estasi della comunione con la Trinità beata,
rendi Tabor le nostre famiglie,
concedi la grazia di gustare l'esperienza del Tabor al popolo santo di Dio,
al presbiterio,
al seminario,
ai monasteri e alle case religiose,
ai santuari mariani di questa Chiesa di Trapani che crediamo madre e maestra.
Facci Chiesa che cammina con coraggio per le strade del mondo
attenta al suo Signore e attenta ai fratelli,
Chiesa votata alla comunione,
consacrata per la missione,
generata dal tuo amore trasfigurante e glorioso
per varcare luminosi le soglie del 2000.
Certi del tuo aiuto,
forti della presenza della tua e nostra madre Maria,
icona dei credenti,
dalla quale imploriamo protezione e conforto,
saremo, con la tua grazia,
sul Tabor per sperare e canteremo riconoscenza, gratitudine, adorazione,
a Te, Gesù dolcissimo,
beatitudine di chi crede,
che vivi e regni con il Padre,
nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen

Vi benedico nel Signore


 

 
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