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Piano Pastorale 2004-2005 PDF Stampa E-mail
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sabato 28 agosto 2004
Indice articolo
Piano Pastorale 2004-2005
La Casa Perduta
Mamre: il progetto di una nuova casa
La casa di Davide stabile per sempre
La Famiglia di Gesu': la Parola al centro
La Chiesa: casa e famiglia di Dio
La Parrocchia
Lettera alle famiglie

CAP VI

LA PARROCCHIA: GRANDE CASA TRA LE CASE, GRANDE FAMIGLIA DI FAMIGLIE

Costruire la casa, costruire la famiglia

Giovani ed educazione all'amore
Sbaglia chi pensa che i giovani non credono nella famiglia. Da tutte le inchieste condotte sugli adolescenti risulta che c'è in loro un "desiderio di famiglia", che la famiglia resta punto di riferimento della loro vita e in essa trascorrono più anni di quanto non accadeva in passato. Purtroppo, sempre più spesso i giovani possono trovarsi a crescere in una famiglia "in crisi", a volte assistono al suo naufragio e questo non li aiuta a creare le basi per costruirne una più solida. Anche il relativismo morale in cui è immersa la nostra società, il suo estremo soggettivismo e lo scollamento tra vita affettiva e vita sessuale, non aiutano i giovani ad accettare il confronto con modelli esterni. Se le parrocchie si aprissero di più al contatto con i giovani, diventerebbe più facile assistere alla nascita di una relazione d'amore tra due giovani e accompagnarla, proponendo di volta in volta i valori cristiani alternativi alla mentalità imperante.
Fidanzamento: "posso fidarmi dell'altro?"
C'era un tempo in cui il fidanzamento era un atto ufficiale che si compiva tra due famiglie che, in tal modo, cominciavano a conoscersi: questo a discapito di una reale conoscenza tra i due fidanzati. Oggi, due giovani "stanno insieme", spesso frequentano l'uno la famiglia dell'altro e questo per anni. Il loro è un rapporto fondamentalmente privato in cui sono loro, di volta in volta, a coinvolgere chi vogliono. Paradossalmente si è andato da un estremo all'altro. Se prima si rischiava un fidanzamento senza innamoramento, oggi si rischia un innamoramento senza fidanzamento. Il fidanzamento, che può sembrare una parola obsoleta, fa etimologicamente riferimento alla fiducia che deve costruirsi tra due persone. La fiducia ha bisogno di relazioni esterne alla coppia, di confronti con persone adulte amiche e di stimoli veri. Da solo l'amore muore. Non è raro il caso di coppie che "stanno insieme" per molti anni e solo quando decidono il matrimonio capiscono di non amarsi, di sentirsi più fratelli che innamorati.
Sempre più frequentemente questo capita nei primi mesi di matrimonio. La coppia "chiusa" ingenera poi il fraintendimento che certi aspetti sgradevoli dell'uno o dell'altro potranno essere cambiati dopo il matrimonio. Aspettativa questa che il matrimonio puntualmente smentisce.
Sarebbe auspicabile proporre nelle parrocchie, con i modi possibili di aggancio, cammini specifici per ragazzi e giovani che stanno vivendo relazioni affettive, magari accompagnati da giovani sposi più sensibili, per attuare una preparazione remota per quelli che saranno i momenti decisivi della scelta del matrimonio.

La decisione del matrimonio: "ci sposiamo in chiesa?"
L'ideale è veder maturare la decisione del matrimonio all'interno di un percorso di fede nella parrocchia. Sempre più spesso, invece, la coppia che chiede di sposarsi non frequenta assiduamente la comunità ecclesiale. Eppure la scelta di sposarsi in chiesa, sebbene fatta a volte per tradizione o per motivi tutt'altro che spirituali, rappresenta un'occasione propizia per riallacciare un rapporto.
Per quanto riguarda le coppie più lontane, anche l'iscrizione della data del matrimonio può essere un'occasione buona da sfruttare con accortezza, offrendo un'accoglienza calda e ricca di misericordia. Di solito manca ancora almeno un anno al matrimonio, durante il quale si possono creare occasioni di riflessione sulla scelta del matrimonio in chiesa. Può essere utile anticipare un'indagine spontanea, iniziare un colloquio su quelle che saranno le domande portanti del processicolo matrimoniale, facendo riflettere anche su quelle condizioni che rendono invalido un matrimonio. In questo primo approccio si cerchi di motivare la coppia a compiere, insieme ad altre coppie, un percorso di riflessione sul matrimonio. Naturalmente ha rilevanza il fatto che i fidanzati che chiedono di sposarsi vadano a costituire il proprio nucleo familiare all'interno del territorio della stessa parrocchia. Questo apre la coppia, infatti, ad una relazione più solida nel tempo con la vita della parrocchia stessa. In caso diverso è utile un contatto tra il parroco che accoglie i fidanzati per il matrimonio nella sua comunità e il parroco della parrocchia di destinazione. La benedizione della casa può essere per quest'ultimo una prima occasione favorevole di incontro.

Il matrimonio "prima, durante e dopo"
I fidanzati sono chiamati a compiere la preparazione prossima al matrimonio.
Questa serie di incontri comporta l'impegno a intraprendere un cammino che aiuta le giovani coppie a instaurare un rapporto più forte con la parrocchia. Indipendentemente dalle modalità e dai tempi richiesti (secondo le esigenze di ogni interparrocchialità) gli incontri si configurino come esperienze forti di vita cristiana e non solo come catechesi e parenesi sul matrimonio. Con il coinvolgimento di altre coppie già sposate si sperimentino giornate di incontro e di fraternità per la formazione umana e spirituale dei futuri sposi. Non sono da tacere le difficoltà della vita matrimoniale e vanno specificate le responsabilità maggiori che comporta il matrimonio sacramento rispetto al matrimonio solo civile. Si attui opportunamente un discernimento di quelle coppie che appaiono più disponibili a continuare il cammino dopo la celebrazione del matrimonio.
È quanto mai opportuno, in prossimità della celebrazione del matrimonio, che le coppie siano presentate alla comunità durante la celebrazione eucaristica domenicale. Nei limiti del possibile è da favorire la partecipazione di alcuni membri della comunità alla celebrazione del matrimonio, per esempio di quelli che frequentano quotidianamente l'Eucaristia, privilegiando in quel giorno soltanto la Messa di nozze. È importante anche stabilire anticipatamente una data per far ritrovare in un momento di festa tutte le coppie di giovani sposi e, per quanto è possibile, andarle a trovare nei primi mesi di matrimonio.

Lo stupore del primo figlio: paternità e maternità al difficile esordio
La nascita del primo figlio è un momento molto delicato e complesso. Non sono poche le coppie che dilazionano a lungo l'arrivo di un figlio e poi trovano difficoltà nel concepirlo o nel portare a termine la prima gravidanza.
La nascita di un bambino rimane comunque e sempre un momento di gioia indicibile per la coppia. Sia lui che lei, sebbene in maniera diversa, avvertono lo scarto tra il loro contributo al Mistero e l'esito sproporzionato del loro gesto d'amore che è la meraviglia di un bambino che si intesse nel grembo della madre. Gli odierni strumenti di indagine permettono di entrare dentro il mistero della gestazione materna e lo stupore che ne deriva è prontamente spettacolarizzato dalla televisione e dagli altri media. Una donna incinta è ancora una delle "manifestazioni del sacro" unanimemente riconosciute ed accolte. La donna stessa percepisce questo suo ruolo ed è presa da un senso di vertigine che la pone dinanzi alla potenza della vita che vuole venire al mondo e dinanzi alla sua debolezza e fragilità. Il senso religioso delle donne incinte è accentuato dalla loro condizione psicologica che le fa temere per sé e per la sorte del nascituro. Dunque, l'attesa di un figlio pone la coppia dinanzi a domande nuove a cui la fede può dare le giuste risposte. Si richiede in tal senso un'attenzione pastorale più puntuale. È opportuno che si inserisca durante una Messa festiva la prevista benedizione delle donne incinte.

Lo battezziamo?
Nella nostra realtà diocesana quasi tutte le coppie decidono di battezzare i propri figli. Il battesimo può essere o un momento affrontato con superficialità o un'occasione privilegiata di riflessione. Nella catechesi che prepara al battesimo si cerchi di attenzionare la reale condizione della coppia e di entrare nel suo vissuto aprendola al grande ruolo educativo che essa deve svolgere in tutta l'età prescolare del figlio: tra 0 e 6 anni. La catechesi prescolare, infatti, è affidata in massima parte ai genitori (a volte anche ai nonni o agli zii). Non si sottolinea forse abbastanza l'importanza di questa fascia di età per la catechesi. Tra 0 e 6 anni il bambino ha già determinato in gran parte il suo carattere, si è costituito una prima germinale (ma già operativa) visione del mondo e ha più o meno sviluppato il suo senso religioso. Un'idea sbagliata di Dio e della realtà, comunicata a quell'età, può produrre delle forti resistenze ad una prospettiva di fede nel momento in cui da solo, il ragazzo ormai adolescente, si porrà le domande sul senso della vita. La preparazione al battesimo può essere felice occasione per motivare i genitori ad esercitare questo compito sottolineando l'importanza dell'educazione religiosa per la salute psicoaffettiva dei figli. È bello consegnare loro il Catechismo dei bambini e attivare un confronto che permetta anche a loro di recuperare "l'alfabeto della fede" per poter parlare di fede ai loro figli. Si insista anche sul ruolo del padre e non solo della madre.
Oggi i ruoli sono molto più intercambiabili e vanno dunque rivisitati, sebbene il linguaggio ancora tenda a privilegiare la madre nel ruolo educativo (matrimonium) e il padre nel ruolo di sostegno economico (patrimonium) della famiglia. Proprio nel cambiamento culturale in atto è cresciuto enormemente il ruolo educativo delle scuole materne.
Si curi il rapporto con gli educatori di queste scuole e anche con i bambini. Si può così suscitare, nel caso in cui la coppia non frequenti già la parrocchia, il primo approccio di un bambino alla figura del sacerdote, magari in contesti creativi e di svago più capaci di imprimersi nella memoria dei bimbi.


Abitare la casa: famiglia ed educazione cristiana dei figli

Centralità della famiglia e corresponsabilità della parrocchia
L'inserimento di un bambino nella catechesi parrocchiale non deve impoverire, ma piuttosto potenziare il ruolo della famiglia nell'educazione cristiana dei figli. Se guardiamo la prassi biblica della catechesi, scopriamo subito il ruolo preminente della famiglia. All'interno del popolo di Israele i due cardini della fede (l'unicità di Jahvè come Signore e il suo intervento liberatore in Egitto) sono affidati alla trasmissione familiare. pensiamo, come esempio, alle parole dello shemà: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai" (Dt 6,4-7). La notte di Pasqua, nel contesto rituale della cena ebraica, il bambino più piccolo della famiglia deve chiedere al padre perché si stanno mangiando le erbe amare e a quel punto il padre racconta l'esodo del popolo di Israele attraverso le acque del Mar Rosso (cf. Dt 6,20ss). Ma così è stato anche per i cristiani in tanti secoli.
È la famiglia il cuore della trasmissione dei valori. Il ragazzo, insieme a tutto il patrimonio di gesti e di parole che fanno parte della cultura e dell'educazione dei genitori, riceve in modo semplice la fede in Gesù, figlio di Dio, morto e risorto per noi. Quanto vale un gesto comune della famiglia! Una preghiera prima di intraprendere un'attività, il segno di croce a tavola, la spiegazione di alcune parole della fede. Per quanto una parrocchia possa organizzare una buona catechesi ed avere bravi catechisti-educatori, la consegna del cherigma cristiano rimane compito prioritario e insostituibile della famiglia. In famiglia il bambino comincia a fare spontaneamente delle domande sulla fede (sempre, per esempio, dinanzi al Crocifisso). È quello il momento in cui il bambino riceve il primo annuncio della fede, che avviene sempre per trasmissione orale. La risurrezione non può essere spiegata, ma solamente annunciata perché possa essere creduta "sulla parola", come accadde a coloro che ascoltarono gli apostoli (fides ex auditu). L'annuncio di un padre e di una madre al figlio ha tutta la credibilità del loro ruolo. Il bambino si fida dei suoi genitori in tutto e anche in questo. Diventato ragazzo, si interrogherà sulla fede ricevuta, ma più importante del suo ragionamento sarà la fiducia con cui aveva accolto il primo annuncio. Ci sembra importante che le famiglie partecipino alle feste cristiane liturgiche, ma anche alle feste patronali con le loro processioni o rievocazioni visive dei racconti evangelici. Proprio in esse avviene spesso il primo annuncio della fede ai bambini, con l'apprendimento del segno di croce e delle prime preghiere. In tal modo il bambino percepisce il patrimonio della fede come qualcosa che appartiene a tutta la sua famiglia e al contesto sociale in cui vive.

Il completamento dell'Iniziazione cristiana
Alla luce di ciò che abbiamo detto si coglie quanto sia superato il modello scolastico nella catechesi parrocchiale, con le sue classi, i suoi catechisti-maestri, le sue interrogazioni. Nella catechesi il bambino non deve vedere una fotocopia (spesso sbiadita) della vita scolastica. Deve respirare un'atmosfera diversa, a cominciare dalla disposizione del luogo dove si svolge. Molto si deve puntare sulla creatività e sull'entusiasmo dei catechisti. Un catechista che non conquista la fiducia dei ragazzi, che non si pone in maniera umanamente credibile davanti a loro o che racconta la risurrezione di Gesù come a scuola un insegnante può parlare della scomposizione degli insiemi, ha davvero poche probabilità che quell'annuncio diventi gioiosa comunione tra lui e il suo gruppo di catechesi. In particolare il catechista-educatore deve privilegiare la modalità del narrare. Il racconto biblico, infatti, come ogni racconto, per sua natura non si pone come un contenuto da memorizzare, ma possiede una carica simbolica capace di entrare in maniera spontanea nel vissuto esperienziale del ragazzo. Nel rispetto anche della gradualità, può essere proponibile privilegiare l'ascolto della Parola in una liturgia domenicale senza la Messa per i ragazzi più piccoli (6-8 anni), inserendoli pian piano nel contesto della celebrazione eucaristica di tutta la comunità.
Quali che siano, comunque, il percorso e le tappe previste per completare l'Iniziazione cristiana, la trasmissione dei contenuti di fede va fatta di pari passo con l'esperienza di fede. Questo approccio, più esistenziale ed esperienziale, non può che stimolare ed esigere una più stretta collaborazione con la famiglia. Ciò non significa delegare esclusivamente alla famiglia la missione di educare alla fede i propri figli, ma vivere l'esperienza della complementarietà della famiglia domestica con la famiglia parrocchiale. Ci sono, infatti, esperienze che soltanto la famiglia può trasmettere, mentre rimane indiscutibile il ruolo socializzante della parrocchia come agenzia educativa "altra", in cui il bambino può aprire un raggio più ampio delle sue relazioni rispetto alla famiglia e può viverle in maniera meno istituzionale rispetto alla scuola.
La parrocchia ha dunque un ruolo educativo specifico a cui non deve assolutamente abdicare.

La prima Eucaristia dei ragazzi: primo culmine e sorgente per la vita
La comprensione di fede dell'Eucaristia e della celebrazione domenicale è il punto di arrivo e l'obiettivo di tutta la catechesi di Iniziazione. La "prima comunione" nel nostro contesto culturale ha ancora una forte connotazione antropologica di iniziazione alla vita sociale e quindi trova una forte adesione numerica delle famiglie che ancora chiedono il sacramento per i loro ragazzi. Ma l'abbandono della Messa domenicale da parte di un gran numero di ragazzi giunti all'adolescenza ci mostra la difficoltà che incontra la catechesi nel raggiungere il suo traguardo.
Attualmente nelle parrocchie della nostra diocesi si stanno seguendo due percorsi. Il primo ha posticipato la cresima rispetto alla prima eucaristia dei ragazzi, invocando il principio di una più cosciente assunzione di responsabilità ecclesiale da parte dei ragazzi al momento della conferma dei propri impegni battesimali. Il secondo lega i due sacramenti cresima-eucaristia alla stessa celebrazione, evidenziando maggiormente il carattere di maturità spirituale che richiede la partecipazione all'eucaristia e il significato che essa ha di accompagnamento nella crescita della persona. È grave errore entrare in polemica sulle modalità e i tempi della recezione di questi sacramenti. Il tempo e le forme di sperimentazione in atto costituiscono infatti una garanzia per il raggiungimento della prassi più corretta in sintonia con il cammino di tutte le Chiese che sono in Italia. Il punto dolente che ci affligge è quello di constatare l'abbandono della partecipazione dei giovani alla vita della parrocchia a partire dall'adolescenza. I nostri ragazzi purtroppo sempre più spesso affrontano una tappa fondamentale della loro vita senza di noi.

E adesso, quando ci vediamo?
Questa domanda è cruciale. Il "volersi rivedere", infatti, può nascere solo dentro un cammino più ampio rispetto alla catechesi per ricevere i sacramenti, solo se la vita parrocchiale e la vita del ragazzo non si sono separate. I gruppi cresima, se vogliono diventare dei gruppi post-cresima, devono attivare dinamiche di gruppo che favoriscano la coesione e l'interesse dei ragazzi. Una delle questioni fondamentali da affrontare nella pre-adolescenza e adolescenza è quella dell'affettività e della sessualità. Normalmente i ragazzi non hanno fiducia di poter affrontare tali questioni in famiglia e in parrocchia e preferiscono vivere le loro prime esperienze e risolvere le loro curiosità lontano dalla famiglia e dalla parrocchia. Proprio a questo punto famiglia e parrocchia dovrebbero interagire fornendo ai ragazzi delle risposte serie ai loro bisogni.
I moralismi in questa fase servono solo a far crescere il pregiudizio che una cosa è la vita di fede e un'altra cosa è la vita affettiva reale. In questa fase così critica un ruolo importante possono giocare le associazioni e i movimenti. In essi si privilegia molto il tema dell'amicizia, della solidarietà e della carità. Questi valori normalmente trovano disponibili all'impegno i ragazzi, i quali hanno l'esigenza di sperimentare la loro crescita come qualcosa di bello e di utile agli altri.
Ci sono realtà ecclesiali in cui prevale il modello di catechesi che tende a coinvolgere tutta la famiglia nell'itinerario di fede: è ciò che avviene in alcuni movimenti ecclesiali, nelle cellule di evangelizzazione e nelle comunità ecclesiali di base. In questi tipi di esperienze, più che i contenuti della catechesi, vengono privilegiati lo scambio intergenerazionale della fede e il contesto testimoniale in cui i figli possono apprendere uno stile di vita cristiana centrato sull'ascolto della parola di Dio e sul confronto con altri fratelli.
Anche la comunità parrocchiale può favorire questa integrazione tra adulti e ragazzi, attraverso la valorizzazione di celebrazioni liturgiche, come quelle della Sacra Famiglia, oppure attraverso le forme della festa e del pellegrinaggio, o recuperando la benedizione della casa (con tutti i componenti la famiglia e il vicinato).

Adornare la casa: famiglie e ministerialità
Le famiglie nella parrocchia sono il segno del mistero della comunione ecclesiale e rappresentano un'enorme potenzialità pastorale. In primo luogo la coppia, per il fatto di esistere, richiama al mistero sponsale di Cristo con la sua Chiesa. Due coniugi sono, al solo vederli, un segno dell'amore di Dio; la loro semplice presenza è esercizio di un prezioso ministero, quello cioè di rendere visibile la tenerezza e l'amore di Cristo! Quando una coppia comprende pienamente che la sua stessa esistenza, contrassegnata dalla sequela di Cristo, è di per sé un annuncio del Vangelo, può essere coinvolta nella maturazione di altre coppie cristiane. È bello vedere coppie cristiane accompagnare altre coppie cristiane (particolarmente quelle giovani), con le quali sappiano condividere le ansie e le difficoltà. Importante è caratterizzare questo tipo di esperienze, già attive in diocesi, con la centralità della parola di Dio e della persona di Gesù Cristo. In questo modo la coppia riscopre la fonte della propria spiritualità sponsale e recupera con energia il proprio ruolo educativo verso i figli e la propria esemplarità nei confronti degli altri membri della società e della Chiesa. Non si escluda la possibilità che una o più famiglie si facciano carico della catechesi ai propri figli e anche ad altri ragazzi, che in questo modo possono recepire un modello di vita magari diverso da quello che trovano a casa nei loro genitori.
Ci fa piacere spesso notare intere famiglie (genitori e figli) coinvolte nella vita parrocchiale. La presenza attiva dei figli comporta naturalmente un'ulteriore prova di maturità della coppia e della famiglia, che viene a misurarsi con un contesto sociale, la parrocchia, in cui la dimensione affettiva del nucleo familiare si estende alla gratuità ecclesiale dei rapporti di fede.
Questo porta alla famiglia il bene di un confronto più ampio e la possibilità per ognuno dei suoi membri di discernere più profondamente la volontà di Dio. La famiglia diventa luogo di discernimento vocazionale.
I genitori cristiani veri assecondano le inclinazioni e le scelte dei figli cercando di collocarle sempre nell'ottica del Vangelo e chiedendo per loro, nell'umiltà della preghiera, il bene più grande dello Spirito. Gesù, infatti, dice: "Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? […] Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!" (Lc 11,11.13). Naturalmente questi genitori vanno aiutati. È auspicabile una sempre maggiore collaborazione tra pastorale familiare, pastorale giovanile e pastorale vocazionale; cosicché anche una scelta di vita particolare, come può essere quella sacerdotale o religiosa, venga vista dalle famiglie e dalle comunità come un dono di Dio e un segno della loro fecondità. Naturalmente non possiamo pensare più a una famiglia statica, immobile nel territorio parrocchiale. Come dice bene la Nota Pastorale "Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia", il legame con la parrocchia oggi è più complesso, "sembra allentato perché i suoi confini non racchiudono più tutte le esperienze della sua gente; ma risulta moltiplicato, perché la vicenda umana si gioca oggi su più territori" (n. 10). In questa situazione la parrocchia rimane tuttavia "un punto di riferimento unitario perché anche la fede non subisca una frammentazione o venga relegata in uno spazio marginale dell'esistenza" (Ib.).
Ecco allora che anche la mobilità della famiglia e i suoi contatti esterni alla parrocchia stessa ne rivelano il volto missionario. Questa mobilità consente alla famiglia di frequentare luoghi e ambienti bisognosi di evangelizzazione, anche oltre i confini parrocchiali, in cui la presenza istituzionale del parroco difficilmente arriva.
La pratica dell'ospitalità permette alla famiglia una missionarietà meravigliosa che a nessun'altra realtà può essere delegata. Una casa cristiana aperta all'ospitalità, come la casa di Betania, favorisce l'incontro personale e spontaneo, in un clima di calore e di accoglienza, di credenti e non credenti e di persone di altra fede religiosa o lontane dalla Chiesa. Se è vero che la famiglia cristiana che accoglie vede nell'ospite Cristo stesso, è vero anche che chi amorevolmente viene accolto vede in chi lo accoglie un annunzio semplice e non proselitistico della fede cristiana.
In questo modo la famiglia realizza un altro fine importante della pastorale odierna: essa propone in maniera efficace la cultura che affonda le sue radici nell'humus del Vangelo e che è diversa da quella dominante. Tutte le famiglie sono uno scrigno di cultura. Esse possono, pertanto, risultare fondamentali in quel ruolo di mediazione che ha la parrocchia nei riguardi del "Progetto culturale orientato in senso cristiano" sia per una lettura cristiana dei fenomeni sociali sia per animare un confronto sereno con la cultura del nostro tempo.
Importante è anche individuare nella comunità parrocchiale il carisma di evangelizzazione che alcune famiglie possiedono. La famiglia ha spesso una maggiore capacità di penetrazione in quei contesti familiari in cui si è consumato un lutto o è in corso una grave malattia o ci sono situazioni umane di difficoltà ed emarginazione. È lì che può esercitare un vero e proprio ministero della consolazione.
Nella parrocchia, famiglia di famiglie, il parroco ha un ruolo determinante ai fini dell'ordine e della comunione. In quanto saggio e prezioso collaboratore del vescovo, esercita nella parrocchia, per suo mandato, la cura della casa di Dio e se ne fa custode. Egli con sapienza, rispettando l'identità di ciascuna famiglia della comunità, ne valorizza i doni e i ca-rismi, ponendosi nei confronti della grande famiglia parrocchiale come il padre, che dà suggerimenti e ricostruisce il buon ordine, e come lo sposo che con tenerezza e amore risana i conflitti ed esalta la bellezza della sua comunità, facendosi per essa immagine di Cristo Sposo, come dice san Paolo della comunità di Corinto: "Io provo per voi una gelosia divina, avendovi promesso ad un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2Cor 11,2).
Questa dimensione non toglie al parroco il suo ruolo di fratello e di amico, e anche di figlio della sua stessa comunità; perché mai monti in superbia e da coloro ai quali insegna, anche sappia umilmente apprendere. Figura da riscoprire e da valorizzare è il diacono permanente. La sua particolare condizione di sposo e di padre, di uomo impegnato nel mondo del lavoro e di ministro ordinato, lo rende prezioso segno per le famiglie. Egli rappresenta, infatti, una figura esemplare e per la famiglia domestica e per la famiglia ecclesiale. Il diacono porta nella parrocchia le istanze della famiglia con i suoi travagli, le sue aspirazioni, i suoi drammi e le sue croci e porta nelle famiglie che è chiamato a servire la ricchezza della vita di grazia sperimentata in parrocchia.

Case naufragate
È normale che una coppia e una famiglia attraversino momenti di tensione e di crisi. Quando queste vengono affrontate da soli, senza il sostegno della fede e l'aiuto di altre famiglie credenti, allora "il vento e la tempesta" si abbattono su quella casa e la famiglia naufraga nell'incomprensione, nella lite, nella separazione.

L'amore infedele: tradimento e perdono
Dopo il dolore per la perdita di una persona cara o per la scoperta di essere gravemente ammalati, il dolore psichico più forte è questo: scoprire di essere traditi da chi si ama. Solamente una coscienza più profonda dell'amore di Dio può permettere a chi ha tradito e a chi è stato tradito di fare del tradimento una verifica e una purificazione del proprio rapporto, attingendo alla sorgente del sacramento che si è celebrato il giorno del proprio matrimonio. Solo il perdono nel suo profondo senso cristiano, infatti, può sanare una ferita tanto sanguinante. A meno che non ci sia mala fede e volontà ostinata, la coppia cerchi di capire da quale malessere, o del singolo o di entrambi, il tradimento sia stato provocato e cerchi di porvi rimedio. In queste situazioni viene messa a dura prova la solidità della propria esperienza di fede; ma è possibile ricominciare: Dio sa far nuove tutte le cose.

L'amore dolente: fedeli all'altro nonostante l'altro
C'è un dolore e una pena che alcuni accettano di portare sempre con sé. Sono le persone separate non per propria scelta, che hanno lasciato libero il coniuge di seguire la strada di una nuova relazione e che hanno deciso di mantenersi fedeli al sacramento, nonostante l'altro abbia ormai dichiarato di aver chiuso il rapporto. Sono persone spesso guardate con diffidenza, in quanto considerate "libere", e che su-biscono lo scacco supplementare dell'isolamento sociale. Spesso anche le comunità non sono pronte a sostenere persone che hanno fatto questa scelta. Stanno nascendo, grazie a Dio anche in Italia, associazioni di coniugi separati fedeli al sacramento, per un sostegno reciproco e la ricerca di un percorso spirituale specifico.

L'amore senza sacramento: il bisogno insopprimibile dell'altro
Non tutti, tra i battezzati, fanno la scelta di rimanere fedeli al sacramento. Spesso la solitudine, il bisogno di un equilibrio affettivo perduto, l'incapacità di gestire il rapporto con i figli, l'uscita da uno stato depressivo provocano la decisione di costituire un nuovo legame e di renderlo visibile e permanente. Questa situazione può toccare le comunità anche in famiglie abituate alla frequenza domenicale. Il fatto che raramente coniugi divorziati e risposati siano presenti nella comunità, se da una parte dice una loro presa di distanza e un certo rancore nei confronti della Chiesa perché non possono accostarsi alla mensa eucaristica, può anche voler dire una certa incapacità da parte delle comunità di accogliere questa nuova situazione e di integrarla nel vissuto della parrocchia. Si tratta di aprire un dialogo con questi fratelli e di prospettare un cammino che offra loro un particolare percorso spirituale.

L'amore innocente: i figli "tra" padre e madre separati
I figli dentro questo menage familiare soffrono, perché devono imparare un modo diverso di relazionarsi con i propri genitori rispetto ai propri amici e coetanei. Sebbene oggi la diffusione del problema porti ad una sua (a volte superficiale) sdrammatizzazione, rimane il dovere di aiutare questi ragazzi a conoscere un modello di famiglia che non corrisponda necessariamente alla propria situazione. La parrocchia ha un ruolo particolarmente importante perché in genere nella nostra diocesi anche i coniugi separati tendono a voler inserire i loro figli nel normale iter di catechesi per l'Iniziazione cristiana. Usiamo delicatezza e carità verso gli uni e verso gli altri. Proprio i figli potrebbero essere il motivo di un ritorno alla Chiesa di persone che a volte hanno covato grande risentimento nei suoi confronti.

La casa del Re: gli invitati alla festa "dai crocicchi delle strade"
Ci viene detto qual è la debolezza della parrocchia: essa ha a che fare con tutti e senza discriminazioni. Ma proprio questo la rende un punto di riferimento nel territorio, una casa possibile per tutti. Dunque, come per San Paolo, nella sua debolezza sta la sua forza. Debolezza vittoriosa del Vangelo!
Se alcuni invitati hanno altro da fare, la parrocchia, come la casa del Re della parabola (cf. Lc 14,23), si riempie ugualmente di tutti gli invitati "dai crocicchi delle strade" e con tutti fa famiglia. Essi sono i poveri, oggi sempre più in aumento, soprattutto tra le famiglie di disoccupati. Sono gli anziani e i malati abbandonati. Sono le famiglie in cui uno dei membri è detenuto in carcere, la cui povertà materiale, ma più spesso culturale e morale, produce un'inestricabile struttura di male. Sono quelle persone che vivono il dramma della separazione forzata dai familiari a motivo del loro mestiere itinerante (i naviganti e tanti altri costretti per lavoro a viaggiare continuamente) o per la piaga ancora viva dell'emigrazione.
Sono vicino e incoraggio caldamente la parrocchia che dinanzi a queste emergenze cerca di fare quanto è nelle sue possibilità. Non possiamo e non dobbiamo lasciarla sola!
Le strutture della Caritas e le associazioni di volontariato in primis hanno questo compito di sostegno alla fatica delle parrocchie. Strumento della carità sono il Centro d'accoglienza Badia Grande, il Centro diurno per malati psichici, il Centro di accoglienza Caritas di Alcamo, i numerosi Centri di ascolto Caritas parrocchiali e il Centro "…e mi hai vestito", boutique per i poveri.
È già presente nel nostro territorio il segno profetico di una "famiglia allargata". Auspichiamo che sorgano altre famiglie in cui gli sposi facciano la scelta coraggiosa di accogliere e dare una famiglia a persone in difficoltà. Molte già operano in Italia riunite in associazioni come quella "Papa Giovanni XXIII" fondata da don Oreste Benzi.
Tre situazioni vorremmo, infine, evidenziare che possono entrare nel vissuto della famiglia e condizionarla; ma esortiamo a considerarle con uno sguardo di fede e di misericordia: la sterilità, la disabilità, l'omosessualità.
La sterilità colpisce ancora una certa percentuale di coppie. Oggi alcune di esse superano il problema attraverso i progressi della medicina; è questa una cosa buona di cui ringraziamo il Signore. Bisogna però che le coppie senza figli siano avvertite delle modalità che portano alla fecondazione e alla nascita di un figlio, perché ciò non avvenga andando contro la visione morale evangelica. La materia è intricata. Il problema può sfociare nell'estrema, nefasta e inaccettabile soluzione di ricorrere alla fecondazione eterologa. Aldilà delle teorie scientifiche sull'origine dell'uomo (la Bibbia non ha la pretesa di essere un libro di scienza), la catena genealogica che racconta la nascita di tutto il genere umano da una sola coppia primordiale dice il bisogno che ciascun uomo ha di conoscere le proprie radici, di sapere qual è il soggetto a cui deve la vita. Come i figli di Adamo ed Eva sapevano chi poter riconoscere come sorgente della loro vita, così ogni figlio ha diritto di conoscere chi lo ha generato, per una reciproca assunzione di responsabilità.
È troppo facile liquidare le questioni etiche sulla fecondazione artificiale come semplici questioni di natura religiosa; la sfera etica, infatti, coinvolge anche l'ambito scientifico. Parlando ad una coppia cristiana mi sentirei di dire che la sterilità è un dono difficile, ma è un dono; nulla può sfuggire al piano di Dio, che in via eccezionale, ha fatto nascere figli da coppie sterili; è una vocazione diversa, che non segue il piano della natura, ma quello della Grazia. Bisogna capovolgere il punto di vista. Le scelte di adottare un figlio o di donarsi agli altri nella carità sono vie di santificazione, non certo vie di fuga per gente frustrata; vanno assunte come compimento della volontà di Dio, e quindi nella pace. Piuttosto che accanirsi nel volere un figlio, è cosa migliore vivere la sterilità fisica e conquistare la difficile ma esaltante fecondità da cui non sono escluse anche le famiglie con figli: la fecondità spirituale!
Anche la presenza del disabile in famiglia viene vista sempre più spesso come fonte di benedizione. Auspico che nella nostra diocesi cresca una pastorale specifica per le persone disabili e ciò sia di sostegno alle loro famiglie. Un segno bello è quello della Fondazione Auxilium, che da anni opera in questo campo. Sia le nostre strutture, sia le nostre comunità devono ancora progredire. Le famiglie sono in questo più avanti e hanno molto da insegnare su come si vive accanto ai disabili e quale contributo essi possono dare alla qualità della vita di fede.
Vorremmo, infine, porre l'attenzione ad un aspetto della famiglia su cui poco riflettiamo per tabù, per paura o per malinteso moralismo. Ci riferiamo al caso in cui uno dei membri di una famiglia scopra e riveli la propria omosessualità. In verità questo caso è statisticamente molto al di sotto della reale incidenza dell'omosessualità all'interno della popolazione. La famiglia, infatti, a chi vive questa dimensione affettiva, non appare sempre capace di sopportare questa diversità; capita allora che questa rivelazione avvenga in ambienti e situazioni che non aiutano certo l'integrazione sociale, ma lasciano l'omosessuale in un ghetto isolato e segreto. Cosicché può verificarsi che un membro della famiglia soffra indicibilmente e la famiglia non ne sappia nulla, o, se intuisce, preferisca non affrontare il problema.
La paura di essere subito giudicati e mandati tra le fiamme di Sodoma e Gomorra impedisce, nella maggior parte dei casi, il rapporto esplicito con la Chiesa e con i sacerdoti. Senza voler dirimere una questione dai risvolti morali molto complessi, ci sembra giusto esortare ad una maggiore preparazione spirituale e psicologica, dei sacerdoti e di tutti gli operatori pastorali a saper cogliere il dramma che spesso sta dietro il volto triste e smarrito di persone che ci stanno accanto e spronare le famiglie a fare altrettanto.


La casa in festa nel "Giorno del Signore"
La parrocchia, casa tra le case e accanto alle case, famiglia di famiglie, realtà cenacolare, è il primo volto della Chiesa nel territorio, quello che più immediatamente appare. Da sempre essa "ha cercato di dare forma al Vangelo nel cuore dell'esistenza umana" (Il volto missionario…, n.4) e deve continuare a farlo. Il suo modello per il raggiungimento di quella Comunione che abbiamo indicato come meta nel nostro Progetto Pastorale, è il Cenacolo. Lo abbiamo esplicitato a lungo nei precedenti Piani Pastorali. con questo Piano Pastorale, aggiungiamo più decisamente che le famiglie, anche oggi, sono protagoniste della costruzione di questa Comunione cenacolare come lo erano le famiglie della Chiesa primitiva, nelle cui case "tutti insieme spezzavano il pane in letizia e semplicità di cuore" (At 2,46). E come allora, anche oggi, nella casa parrocchiale, il primo giorno della settimana, quello in cui "il Cristo Risorto ci ridona come un appuntamento nel Cenacolo" (Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, n.58), tutte le famiglie condividono l'Eucaristia come segno di Comunione dentro la grande famiglia parrocchiale. È bello vedere la ministerialità di una famiglia nella liturgia: il bambino chierichetto, il padre ministrante, accolito o diacono e la mamma che proclama la parola di Dio o si impegna a rendere accogliente e festosa la parrocchia nel Giorno del Signore. Sono cose che vediamo e che ci riempiono di speranza per il futuro della nostra Chiesa.
A conclusione auspichiamo che il Piano Pastorale possa servire da strumento nelle mani dei sacerdoti e degli operatori pastorali, ma anche da sussidio biblico-teologico per la formazione spirituale dei gruppi di famiglie e delle coppie che si preparano alla celebrazione del matrimonio.
A tutte le famiglie auguro buon cammino in seno alle famiglie parrocchiali e dentro la grande famiglia diocesana mentre invoco su tutti la benedizione di Dio e il materno aiuto di Maria, Sposa e Madre!



O Maria, Vergine e Sposa,
Tu che accogliesti senza esitare il progetto di Dio,
disponendoti a vivere l'esperienza
esaltante e dolorosa
di sposa e di madre,
ottieni alle nostre famiglie
la grazia di comprendere il mistero di amore
che Dio fin dall'eternità
ad esse ha riservato.

O Madre dolcissima,
conduci per mano la Santa Chiesa di Trapani
nella realizzazione dell'auspicato progetto
del rinnovamento della parrocchia.
Le parrocchie,
spazio vitale di Comunione e di fede,
realtà cenacolare,
si formino e vivano
sul modello della Santa Famiglia,
pongano al centro la famiglia,
l'accompagnino con amore
nella realizzazione della sua missione.

La famiglia,
necessaria cellula di Chiesa viva,
operi da protagonista
nella comunità ecclesiale,
si scommetta con amore
per la crescita nella fede
dell'uomo pellegrino nel mondo.

Con il tuo soccorso, o Madre,
in dialogo solidale,
in amicizia e fraternità
intendiamo costruire un tessuto di famiglie
aperte alla vita,
strumenti di storia salvifica.
Aiutaci, o Madre amabile,
a fare della famiglia
il segno privilegiato
dell'amore di Dio per l'uomo.

O Maria di Nazareth,
intercedi presso l'altissimo Dio,
Padre, Figlio e Spirito Santo,
Beata Famiglia Trinitaria,
icona perfetta di Comunione e di Amore
per ogni famiglia e per la parrocchia,
perché siano nel mondo
segno profetico di speranza,
aperte, disponibili, accoglienti
e sappiano narrare
le meraviglie del Signore.
Amen.




 
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