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Piano Pastorale 2003-2004 PDF Stampa E-mail
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sabato 30 agosto 2003
Indice articolo
Piano Pastorale 2003-2004
Contemplare
Uscire
Accompagnare
Narrare
Celebrare
Vivere in Cristo
Conclusione
Santa Maria della strada

2. Andare sulla strada (uscire)

La casa evoca il calore e l’intimità di una famiglia riunita. La strada, invece, evoca una condizione di insicurezza, di pericolo, di solitudine, di povertà o traviamento morale, oppure una totale libertà senza regole.
Le situazioni “estreme” della vita umana facilmente trovano come scenario la strada.
La strada è il luogo della prostituzione di uomini e donne vittime dello sfruttamento, o dell’accattonaggio di tanti immigrati pilotato dalla malavita, o della solitudine cosciente di tanti barboni, o anche della tragica esistenza dei “bambini di strada” esposti alla violenza e all’abuso di adulti senza scrupoli.
 
La strada è anche il simbolo della liberazione da ogni schema morale. Il libro di Kerouac, On the road (Sulla strada), ha segnato diverse generazioni e per molti ancora è l’emblema della libertà sessuale, del libero uso delle droghe e dell’alcool, o anche di un rapporto immediato, primitivo, con la natura e con se stessi.
Nel film Thelma e Louise la strada di due donne, intrisa di sangue e di violenza insensata, termina in un burrone, scelto come via suprema di libertà: un suicidio che sembra fare il verso ironico ad un altro tragico epilogo, quello di Gioventù bruciata, film in cui i giovani protagonisti bruciavano le loro vite sulla strada in assurde performances automobilistiche.
 
La strada”è anche quella immaginata da Federico Fellini: nel suo film omonimo la piccola prostituta protagonista getta uno sguardo puro sulla realtà e prova a fare della strada un luogo di innocenza e di fedeltà. O quella di David Linch; nel film Una storia vera l’anziano protagonista fa molte miglia di strada a 7 Km l’ora pur di riconquistare l’affetto del fratello con cui da 10 anni non si parla.
La strada, dunque, può anche essere luogo di incontri, di nuove relazioni possibili, di cammini che conducono a nuove mete.
 
Da sempre i cristiani hanno attinto dalla strada forza di purificazione, di santificazione, di comunione e di solidarietà. Il pellegrinaggio è una strada spirituale che spontaneamente il popolo di Dio percorre. Pensiamo a ciò che da sempre ha significato il pellegrinaggio in Terra Santa per tutta la cristianità, o i grandi pellegrinaggi europei verso Santiago di Compostela, Fatima, Lourdes o Padova, o quelli nazionali come in Polonia verso Czestocowa o in Italia a Loreto; e pensiamo al silenzioso fluire di tanti pellegrini verso i santuari mariani della nostra diocesi anche nel profondo delle ore notturne. La forza simbolica della strada, metafora della vita, promana dalla stessa Storia della salvezza.
 
Le “strade” nella Bibbia percorrono deserti, valicano montagne e attraversano miracolosamente le acque per far passare illesi uomini in pericolo, gli schiavi, i bisognosi di una patria. E la venuta del Messia sulla terra è preannunciata dal Battista come un colmarsi di valli e uno spianarsi di montagne per aprire una strada nuova nel deserto. Da allora quanti si trovano sulla strada, “nelle tenebre e nell’ombra di morte”, possono incontrarvi Colui che “come Sole che sorge viene a visitarci dall’alto per guidare i nostri passi sulla strada della pace” (Lc 1, 78s).
E’ sulle strade del mondo che Gesù si fa Strada (“Strada, verità e vita”) per quanti hanno vagato a lungo senza meta e desiderano il calore della casa del Padre (“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me, Gv 14,6).
Anche noi, come il Buon Samaritano, sulla strada possiamo incontrare i “feriti” del nostro tempo da condurre al tepore della locanda (non è forse questa locanda simbolo della Chiesa?) per versare sulle loro piaghe “il balsamo della consolazione e il vino della speranza” (prefazio comune).
 
Andare sulla strada significa incontrare l’uomo del nostro tempo nella sua situazione, qualunque essa sia, e quindi implica anche un uscire dai nostri pregiudizi, dalle nostre chiusure mentali, o dalle nostre opinioni inamovibili.
Come infatti possiamo intercettare le domande che l’uomo di oggi fa a se stesso (o ci vuole fare), se ce ne stiamo dentro le nostre sicurezze incapaci di uscire allo scoperto?
Solo sulla strada è possibile guardare alle varie realtà umane con intelligenza e amore e scoprire i semi di bene (semina verbi) nascosti, quasi imprigionati, di cui la vita è intessuta per farli emergere e portarli a compimento.
L’orizzonte di questa strada è ampio:”è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia, così pure della cultura, delle scienze, delle arti, della vita internazionale e degli strumenti della comunicazione sociale” (Evangelii nuntiandi, 70).
Non basta stare sulla strada, è necessario vivere la strada, luogo teologico e realtà di salvezza: stare dentro, farsi carico, soffrire sulla propria pelle “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi” (G S, 1), assumere in maniera critica modi di essere, di relazionarsi, di comunicare, di interagire.
Tenere le chiese aperte può essere un modo per uscire sulla strada, vivendo la strada, e affacciarsi al mondo esterno così come esso scorre, o offrire una piccola sosta per chi sulla strada vuole dare riposo alla fatica del suo cuore; nei quartieri a rischio, vigilare sul territorio anche nelle ore della notte, per capire meglio la loro situazione e prestarvi aiuto (le cosiddette ronde della notte).
I luoghi di villeggiatura e le località turistiche, così frequentate nella nostra diocesi per la bellezza del paesaggio e la ricchezza culturale del suo patrimonio storico artistico, sono una strada naturale di evangelizzazione, in cui l’incontro può diventare spontaneo e più semplice nel clima del riposo estivo; se, tuttavia, sappiamo uscire dal vicolo cieco dei facili moralismi.
L’ansia pastorale di una comunità parrocchiale che si apre veramente ai bisogni e alle domande del territorio comporta sempre dei rischi di incomprensione da parte dei “benpensanti”. O forse i benpensanti popolano proprio le nostre assemblee?
 
Eppure Gesù lungo la strada incontrava e guariva gli emarginati, ciechi, zoppi, paralitici e lebbrosi  che imploravano il suo intervento salvifico (“Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato”, Lc 17,19); risuscitava i morti (“Giovinetto, dico a te, alzati!”, Lc 7,14); rispondeva agli uomini che cercavano il senso della vita (“Maestro buono che cosa devo fare per avere la vita eterna?, Lc 18,18); e sulla strada svelava l’ipocrisia dei benpensanti del suo tempo (“Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”, Gv 8,7); e questi pii benpensanti ripetevano : “E’ andato ad alloggiare da un peccatore!”(Lc 19,7).
 
Ma i santi, sull’esempio di Gesù, ci hanno insegnato che ci si può sedere alla mensa dei peccatori, senza condividerne il peccato (Teresa di Lisieux). E’ questo che intendo quando invito a uscire dal cenacolo senza mai lasciarlo. Il cenacolo del cuore, dove inabita la Santa Trinità, cammina con noi, su tutte le strade.
Filippo “corse innanzi” al carro dell’eunuco per intercettare la domanda sul Servo sofferente e potergli dare una risposta. E non si chiese in quel momento: “Perché devo correre più forte di questo carro? Ma devo proprio mettermi a discutere con questo eunuco?”. Ma è la sua mediazione a provocare la domanda cruciale: “E come lo potrei se nessuno mi istrada?”. Questa mediazione fatta di compassione gli consente di dire una parola, ovvero la Parola per la conversione a Cristo dell’eunuco.
La fede ha bisogno di tanti che, come Filippo, siano capaci di ascoltare lo Spirito e di farsi guidare da Lui a costo di andare lontano dalla propria realtà quotidiana, sulle strade sconosciute della vera compassione. E non si può dire che Filippo non potesse avere altro da fare: risulta che fosse diacono, uno dei sette impegnato nel servizio delle mense, proveniente dalla lontana Cesarea, che svolgesse un ministero di evangelizzazione (evangelista, viene chiamato) e che avesse famiglia con quattro figlie da mantenere, “vergini, che avevano il dono della profezia” (At 21, 9).



 
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