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Piano Pastorale 2003-2004 PDF Stampa E-mail
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sabato 30 agosto 2003
Indice articolo
Piano Pastorale 2003-2004
Contemplare
Uscire
Accompagnare
Narrare
Celebrare
Vivere in Cristo
Conclusione
Santa Maria della strada

3. Salire sul carro dell’altro (accompagnare)

Il di più che il Signore ci chiede è “questo correre innanzi” al carro dell’altro, lo sforzo gratuito che non aspetta l’altro, ma lo raggiunge nella sua situazione esistenziale. Il cristiano non si attacca al carro di nessuno, ma fa in modo di salirvi per aprire un dialogo. “Salire sul carro” dell’altro, significa rispettare la sua velocità, i tempi della sua crescita e della sua maturazione. Il “carro” dell’eunuco è tutto il suo mondo. Filippo non lo giudica e non lo contesta; ciò che gli interessa è la persona, cioè l’eunuco con la sua domanda buttata lì apparentemente per caso, ma che invece vuole sciogliere un’angoscia probabilmente portata da sempre nel cuore.
Un uomo eunuco ancora al tempo di Gesù era molto disprezzato. La prescrizione del Deuteronomio era durissima:”Non entrerà nella comunità del Signore chi ha il membro contuso o mutilato. Il bastardo non entrerà nella comunità del Signore; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione” (Dt 23,2). Bisogna aspettare l’ultima letteratura profetico sapienziale per una parola di speranza: “Non dica l’eunuco: ecco io sono un albero secco!” (Is 56,3), “Anche l’eunuco la cui mano non ha commesso iniquità e che non ha pensato cose malvage contro il Signore riceverà una grazia speciale per la sua fedeltà, una parte più desiderabile nel tempio del Signore” ( Sap 3,14); ma il pregiudizio era certamente ostinato. Spesso un eunuco era potente perché messo a custodia di ricchezze e di harem di donne (cf. Est 2,14) su cui non avrebbe potuto mettere le mani; ma era considerato comunque un essere inferiore, uno senza possibilità di avere figli e quindi senza discendenza, senza futuro, inutile, un morto vivente! Essere sfortunati e tristi è essere “come un eunuco che abbraccia una vergine e sospira” (Sir 30,20). E’ questa la tristezza dell’eunuco che Filippo incontra sulla strada da Gerusalemme a Gaza.
 
Pensiamo quale curiosità e quale desiderio nasceva nel suo cuore a leggere il profeta Isaia: un uomo va a morire innocente come un agnello mansueto, eppure… avrà una discendenza! (cf. Is 53,7-8).
Potrebbe anche capitare a qualcun altro? - si chiede quell’uomo su quel carro - potrebbe capitare anche a me, eunuco della regina Candace? Potrebbe questa morte che sento nel cuore trasformarsi in vita?”. “E’ possibile diventare fecondi dopo essere stati eunuchi?”; è questa la vera domanda che Filippo legge e intercetta nel cuore dell’eunuco.
Persone anche battezzate, ma lontane dalla Chiesa, fanno delle domande a volte provocatorie. Dietro una domanda c’è sempre un problema. Ti chiedono magari: “Scusi, cosa pensa la Chiesa dei divorziati?...”. Dietro c’è di sicuro la sofferenza di un divorzio; chi fa la domanda probabilmente sa bene cosa dice la Chiesa del sacramento del matrimonio, ma, in quel momento ha bisogno di essere accolto nella sua condizione di divorziato, con tutto il dramma della sua storia, di sapere che anche per lui c’è una possibilità di vita nella comunità cristiana, e che la Chiesa è ancora sua madre. Non possiamo tenere a mente delle risposte preconfezionate; piuttosto, prima ancora di dare una risposta, dobbiamo provare a intercettare il senso profondo della domanda; intercettare ed evangelizzare la domanda, perché sia l’altro a trovare la risposta, a riconoscere il peso morale della propria situazione senza restarne schiacciato.
 
“Salire sul carro” dell’altro non è facile. Richiede una vera formazione all’accompagnamento, quella via di mezzo tra compassione e distacco che consente un reale intervento e una relazione di vero aiuto. Sarebbe bello far crescere in numero e qualità questi momenti formativi. Già l’anno scorso, riflettendo sul cammino dei due discepoli verso Emmaus,  abbiamo evidenziato la meravigliosa pedagogia dell’accompagnamento sviluppata da Gesù. Rimando a quello. Molti punti in comune si possono trovare con il nostro brano. Il ricorso alle scienze umane, sebbene richieda prudenza e un discernimento sull’antropologia che sta dietro alle varie scuole di pensiero, tuttavia si rivela uno strumento importante per chi non vuole vivere il Vangelo solo come un fatto sentimentale, ma come un impegno di vita che può realmente cambiare la vita dell’altro. Non dobbiamo infatti separare le componenti della persona (corpo, psiche, spirito) che ne costituiscono l’unità.
Una seria verifica della modalità di approccio (ovvero: perché siamo saliti proprio su quel carro?) consente quella libertà e gratuità che caratterizza il nostro Filippo: compiuto il proprio mandato l’accompagnatore si mette da parte e l’altro rimane libero. Nel salire sul carro non vi si deve rimanere impigliati e l’amore spirituale per l’altro deve vincere sull’amore psichico: ciò che nasce infatti dalla carne è carne, e ciò che nasce dallo Spirito, è Spirito (Cf. Gv 3,6).
 
Sarebbe bene che gli operatori pastorali, inseriti in una parrocchia, o facenti parte di un Gruppo, di un Movimento, di un’Associazione, conoscessero bene le varie spiritualità presenti nella nostra Chiesa e anche i luoghi dello Spirito in cui si può fare esperienza di incontro personale con Dio. La santità di singole potenti personalità ha segnato strade differenti di santificazione, ma tutte portano a Cristo, tutte convivono mirabilmente nella Chiesa. Ogni persona ha una propria sensibilità spirituale e fa parte dell’accompagnamento indirizzarla sulla strada più adatta. Anche questo è un gesto di libertà, che non mancherà di avere la sua ricompensa.
 
Auspicabile sarebbe anche il recupero più vitale di una pastorale orientata ai vari ambienti, senza separarla dalla pastorale ordinaria delle parrocchie.
Lasciando come punto fermo che l’eucaristia domenicale è l’incontro fondamentale della comunità parrocchiale, è pure vero che per quanto riguarda la formazione cristiana l’attuale mobilità non sempre consente un inserimento degli adulti nella catechesi parrocchiale ordinaria. Un’attenzione alle singole realtà (la cosiddetta pastorale d’ambiente) può anche essere rispettosa di cammini specifici che altrimenti potrebbero annacquarsi o risultare impossibili (pensiamo agli artisti, ai medici, ai professionisti in genere, agli agricoltori o a quanti svolgono lavori che impegnano anche la domenica). Anche questi sono “carri” su cui bisogna salire.

 
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