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S. Alberto PDF Stampa E-mail
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luned́ 07 agosto 2000
L'apostolo Paolo invita i fedeli di Corinto a non perdersi d'animo, a essere veri, a non dissimulare, a non falsificare la Parola di Dio. L'apostolo ha coscienza di non dover predicare se non Cristo Gesù Signore. Si dichiara servo dei fedeli di Corinto, esprime con forza la convinzione che nel suo cuore rifulge la luce di Cristo che sconfigge le tenebre e si auspica che, con la propria testimonianza, possano tanti incontrare Cristo e innamorarsi di Lui. Questa coscienza dell'apostolo dovrebbe diventare consapevolezza di ogni battezzato, chiamato a far rifulgere nel proprio cuore la luce di Cristo e a rendere in tal modo testimonianza alla Luce per trascinare gli uomini alla luce. I Santi sono questi cultori della luce, gli innamorati di Cristo, i testimoni della luce. E' la luce della verità che Gesù proclama solennemente nel Santo Vangelo "và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi"(Mc.10,21). La povertà per il Regno è il valore che nel Santo Vangelo Gesù proclama come condizione indispensabile per la salvezza. Davanti allo smarrimento dei discepoli che trovano duro e quasi impossibile il linguaggio di Gesù "è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio"(Mc.10,25). Gesù rassicura e conferma: "tutto è possibile presso Dio"(Mc.10,27). Chi ha lasciato tutto a causa del Vangelo riceverà il centuplo quaggiù e in più la vita eterna. Si tratta di compiere una scelta radicale e decisiva per Dio, l'unica scelta pienamente appagante, rischiosa ma vincente, perdente per la logica corrente, ma non per quella evangelica. I Santi sono questi strani, inquietanti e scomodi personaggi che, lasciandosi guidare dalla logica del Vangelo, hanno saputo e voluto vivere e testimoniare il Vangelo. S. Alberto è uno di questi. Mi sono più volte interrogato su come si pone Trapani di fronte al suo santo.
Credo che lì dove splende la santità di un uomo o di una donna debba necessariamente instaurarsi tra i credenti e la figura del Santo un rapporto di comunione, di ammirazione, di imitazione, di santo orgoglio. Trapani è orgogliosa del proprio Santo? Riesce la santità di Alberto a parlare all'uomo trapanese di oggi?
Riesce a scuoterlo dal suo torpore, dalla sua pigrizia, dalla sua indifferenza spirituale?
Assisi parla, vive, si confronta, trova lustro in Francesco, povero per amore, giullare di Dio, libero cantore delle meraviglie del creato. I monumenti, l'arte, la letteratura, l'economia di Assisi deve tutto al suo più degno figlio: Francesco. E Trapani? Anche quest'annuale memoria liturgica di S.Alberto, ho l'impressione che la si viva sottotono. Sarà ciò causa dell'estate e lo spirito vacanziere dei trapanasi prende il sopravvento anche sui fatti di fede,
sarà perché la devozione al Santo si è andata via via affievolendo dietro l'urto di una secolarizzazione che tutto dissacra,
sarà perché la boriosa sufficienza, tipica del mondo moderno, trova perdente la scelta di S. Alberto, religioso Carmelitano, consacratosi a Dio nel triplice voto della povertà, castità e obbedienza.
Registro uno iato tra Trapani religiosa e il suo santo. Eppure la santità interroga anche oggi.
I Santi non passano inosservati, fanno problema con la loro vita controcorrente, con la loro scelta per Dio senza tentennamenti. Alla santità siamo chiamati come battezzati, all'ideale della santità dovremmo tendere con tutte le nostre forze. I Santi ci ricordano innanzitutto questa fondamentale verità. Ci ricordano che la santità è un ideale possibile poiché i santi non sono superuomini e superdonne, ma uomini e donne comuni, come noi. I Santi ci ricordano che
la santità è impegno costante a vivere nella fede, nella speranza e nella carità,
è gioia di una vita spesa per il Signore e per i fratelli. I Santi ci ricordano che
non sulle nostre deboli forze possiamo e dobbiamo fidarci,
ma in Dio dobbiamo porre la nostra fiducia. Egli è la nostra unica forza, il nostro unico sostegno, la nostra unica guida. I Santi ci ricordano che
il bene, se ci poniamo come strumenti docili nelle mani di Dio, si affermerà in noi e intorno a noi,
è possibile sconfiggere il male, l'odio, l'ingiustizia e far trionfare la verità, il bene, l'amore, la solidarietà, la giustizia. I Santi ci ricordano che
uscendo da noi stessi, dal nostro io gretto e meschino diventiamo costruttori di un mondo nuovo, di umanità salvata, liberata perché non schiava delle proprie passioni, del proprio peccato. I Santi ci ricordano che
Dio non è un di più, né un optional,
la fede in Dio non è l'oppio dei popoli,
il fidarsi di Dio ed affidarsi a Dio non è un alineante rifugio dei deboli,
vivere di Dio, con Dio e per Dio è l'avventura unica che dà senso e valore alla vita, la fede è la luce amica che rischiara il cammino dell'uomo sulla terra, lo orienta, lo finalizza, lo toglie dall'assurdo del caso e del fato. I Santi ci ricordano che
non è lecito disperare,
la morte non è la fine di tutto. La morte è l'ingresso nella vera vita "Dies natalis", infatti, è il giorno del transito da questa vita terrena alla vita eterna. I Santi ci ricordano che
il bene è possibile ed è realizzabile,
il cuore dell'uomo, che ha desideri infiniti, può acquietarsi in Dio, Infinito, Onnipotente, Onnisciente, Amore Sommo, Misericordia, il Solo che è capace di perdono senza limiti. Alla scuola dei santi impariamo ad essere uomini veri, capaci di riconoscere il nostro limite, la nostra miseria, il nostro peccato. Senza una dose forte di umiltà non ci può essere verità, non si dà cammino interiore vero, ricerca di Dio. I Santi non sono dei disincarnati che vivono staccati dal contesto socio - politico, incapaci di comprendere e far proprie le ansie, le speranze e i problemi dell'uomo in situazione. I Santi sono la risposta di Dio alle istanze di amore, di giustizia, di misericordia, di perdono che salgono dall'umanità. I Santi non solo non si astraggono, non si tirano fuori dalle istanze dell'umanità, ma si caricano di queste istanze, le fanno proprie e, nello specifico del carisma ricevuto dal Signore, si fanno cirenei delle croci, dei tormenti, dei problemi dell'umanità. Sull'esempio di S. Alberto siamo chiamati a farci santi in questo momento storico, in questo inizio del terzo millennio così problematico, così convulso, così schizofrenico. Una santità incarnata, dell'oggi, inscritta in questo territorio, in questa città. Non posso essere santo malgrado vivo a Trapani, ma debbo farmi santo perché trapanese, perché vivo qui, perché la provvidenza in questa città mi fa vivere e mi fa operare. La santità è gioia da condividere, è amore da spezzare, è bene da donare. Penso alla santità feriale dei giovani della comunità Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, che per un mese hanno vissuto, qui a Trapani, il loro giubileo fuori le mura. Sono giovani come i tanti giovani della nostra città, delle nostre parrocchie, ma
con una marcia in più,
con una fede non soporifica,
con una voglia enorme di scommettersi, di rischiare, di osare,
con un progetto di impegno missionario, di testimonianza gioiosa, di compromissione con gli ultimi ammirevole, sconvolgente, trainante. Hanno scelto gli ultimi, sono venuti a giocarsi le loro vacanze con i poveri del quartiere Milo,
con i carcerati di S. Giuliano,
con le mamme disperate che, dimentiche del 5° comandamento, acconsentono alla soppressione della creatura che portano in grembo. Questi giovani hanno compreso che la santità non è camminare per il mondo facendo finta di non vedere e di non sentire. La santità è inquietudine, è lasciarsi inquietare dall'uomo che vive, soffre, spera sulle strade di un mondo distratto, borghese, bugiardo, egoista. Se non ci poniamo nella logica della condivisione,
se non scendiamo dal piedistallo delle nostre sicurezze,
se non ci sbracciamo e non abbiamo il coraggio di sporcarci le mani,
se non paghiamo di persona,
se non condividiamo fino in fondo la croce dell'umanità
non possiamo parlare di santità, di vita secondo lo Spirito di Cristo. Finché ci sono fratelli e sorelle dimenticati da tutti,
reclusi in quartieri senza anima,
senza storia,
senza prospettive,
senza futuro,
finché non si danno risposte serie ai problemi del territorio
non c'è cammino di santità,
non c'è vita cristiana autentica. Non possiamo stare tranquilli,
non possiamo cullarci nel nostro perbenismo borghese,
non possiamo far finta di niente.
Essere cristiani, tendere alla Santità oggi e qui nella nostra Trapani vorrà dire:
essere voce di chi non ha voce,
farci prossimo del più debole,
gridare il nostro no all'ingiustizia,
allo strapotere di loby economico-politico-culturale,
alle dissennate scelte di parte che escludono i più deboli dai benefici di un benessere che doni dignità alle persone e le faccia essere veramente libere. Penso alla grave piaga della disoccupazione, causa prima della microcriminalità diffusa, penso all'evasione dall'obbligo scolastico di tanti bambini a cui viene negato in tal modo un futuro dignitoso, penso alle famiglie indigenti dove la mancanza del necessario per vivere procura sconforto, dissapori, divisioni, scarso senso di moralità, penso ai quartieri ghetto di questa nostra Trapani assonnata e supina, ricca di storia, ma dimentica del suo passato, della sua arte, dei suoi monumenti, dei suoi uomini illustri, dei suoi santi. Non ci è lecito sedere a mensa da soli,
non ci è lecito essere felici da soli,
non ci è lecito adorare Dio da soli.
La condivisione è la scelta che nella tensione verso la santità siamo chiamati a vivere. S. Alberto, religioso carmelitano,
scuota le coscienze di noi trapanesi,
ci trascini verso l'ideale della santità incarnata nell'oggi, ricca di operosità, promotrice di vera umanità,
smuova chiesa e istituzioni presenti sul territorio a pensare, progettare,
realizzare piani di intervento verso gli ultimi,
ci ottenga di essere piccole matite nelle mani di Dio che oggi, attraverso ciascuno di noi, intende scrivere la sua e nostra storia di salvezza.

Trapani 07 agosto 2000
 
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