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Convegno Ecclesiale Erice PDF Stampa E-mail
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venerd́ 25 agosto 2000
S. Messa "Il Signore mi afferrò con la sua potenza, il suo Spirito mi prese e mi portò in una valle tutta coperta di ossa"(Ez.37,1). L'immagine di Dio che con la sua potenza ci afferra è forte, dice tutta la grandezza dell'amore di Dio che è all'origine della nostra vita, del nostro essere e del nostro operare. La missione profetica nasce da questo intervento potente di Dio nella vita di Ezechiele, quell'essere afferrati da Dio dice appartenenza a Lui, diventare sua proprietà. La persona del Profeta non si appartiene più, lascia a Dio l'iniziativa di condurla dove Lui vuole. La realtà che sta davanti ad Ezechiele è triste: una valle piena di ossa aride, ma secondo il comando del Signore Egli parla alle ossa aride e queste, visitate dallo Spirito, cominciano a rivivere. Nella valle della vita quanta morte, desolazione, aridità non c'è, quanta insipienza e cattiveria non dilaga ovunque! La chiesa è chiamata a proclamare la Parola di Dio, che è sorgente di vita, di conversione, di novità positiva. Sulla Parola di Dio accolta si gioca la felicità dell'uomo, il superamento del limite, del peccato, del male. La Parola di Dio non è data per blandire le coscienze, non è accomodante, non favorisce il comodo e quieto vivere, ma è spada che penetra nel profondo, è fuoco che arde e distrugge, è forza esplosiva e dinamica che muove le coscienze, le inquieta, le spinge a conversione. La profezia consiste nel coraggio di annunciare senza sconti la Parola di Dio anche se scomoda, nel coraggio dell'impopolarità per le verità proclamate. La profezia nella chiesa deve far esplodere la potenza della verità nelle coscienze dei credenti, chiamati a confrontarsi continuamente con Cristo e il suo Vangelo. Nell'areopago del mondo moderno nuovi linguaggi e nuove tecniche di comunicazione vanno ricercati e usati; c'è necessità di abbandonare le vecchie impostazioni e le obsolete metodologie pastorali per misurarci con nuove impostazioni e innovative metodologie pastorali. La liturgia, la catechesi, la carità non si poggiano sulle fragili stampelle di un già visto e già sentito, ma richiedono attenzione alle nuove sensibilità, ai nuovi gusti con la capacità di assumerli e sublimarli in modi di essere, di esprimersi, di pregare, di evangelizzare, di stare dalla parte degli ultimi. Non siamo chiamati a fare archeologia nel vivere la pastorale, ma a sperimentare, a innovare, a captare il futuro con sguardo e cuore profetico nel solco di una memoria, di un passato che si fa storia di salvezza nell'oggi giovane ricco di novità. Mi ha commosso tutto il percorso della giornata mondiale della gioventù; la capacità e lo sforzo della chiesa e del Papa di calarsi nella realtà del mondo giovanile, di assumerlo nel linguaggio, nello stile, nel calore festoso e impegnativo di chi è giovane e ha coscienza di avere davanti un futuro. Mi hanno scosso e fatto riflettere: veglie di preghiera innovative, catechesi a ritmo di stadio, testimonianze e canti, in cui l'esplosione del nuovo non solo non ha condizionato lo Spirito, ma ha favorito l'azione dello Spirito sui due milioni di giovani presenti all'evento. L'amore di Dio è da sempre e per sempre; fonda la perenne giovinezza della chiesa, la sua attualità. "Eterna, Signore, è la tua misericordia" con verità abbiamo cantato e il salmo 106 ci ha fatto ripercorrere la storia della potenza salvifica di Dio per Israele, immagine del nuovo popolo dei salvati e di ogni uomo che vive sulla terra. La forza vivificante della Parola di Dio rende viva la chiesa, la fa camminare nella tensione della carità, unica legge che riassume tutta la legge e i profeti. "Ama il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il comandamento più grande e più importante"(Mt.22,37). "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri"(Gv.13,35). La colletta ci ha fatto pregare così: "O Dio, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio". Dio prima di tutto e soprattutto, il primato di Dio nella nostra vita abbiamo chiesto al Signore come grazia delle grazie, come dono di salvezza. Non c'è primato di Dio lì dove c'è disprezzo per l'uomo, non c'è attenzione al fratello, prevale l'indifferenza verso l'altro poiché "Se uno dicesse: io amo Dio, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede"(Gv.4,20). Non c'è primato di Dio lì dove non si coltiva la vita secondo lo Spirito di Cristo, non si prega, non si vive in docile ascolto della Parola di Dio. La nostra chiesa trapanese, in questi giorni di convegno, si è lasciata afferrare dallo Spirito, con docilità ha accettato le provocazioni e gli stimoli che, coloro che ci hanno con saggezza, competenza e professionalità accompagnato, ci hanno dato.
Ossa aride sono tutte le incrostazioni ideologiche, i pregiudizi, la malafede, le false sicurezze, i dogmatismi settari. Se ci apriamo allo Spirito vivrà in noi la giovinezza, l'elasticità, la verità, l'umiltà della ricerca, la logica della comunione. Programma di vita fondante ogni altro programma è l'assunzione del comandamento di Cristo: Amatevi come io vi ho amato. Le scelte pastorali devono essere supportate, accompagnate e seguite dall'esercizio della vita della carità, quella carità che San Paolo nella lettera ai Corinti descrive paziente, benigna e che non si adira, non si gonfia, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Una comunità cristiana è veramente tale se il dinamismo della carità la muove, la orienta, l'accompagna. Penso ad un presbiterio unito, in comunione profonda di intenti, che con stile amorevole e fraterno vive la gioia della propria donazione a Cristo e ai fratelli. Penso ad operatori pastorali animati dallo Spirito della concordia, disponibili, impegnati nella costruzione del Regno. Penso a tutti i battezzati di questa nostra amata comunità diocesana impegnati nei campi più diversi dell'economia, della politica, del mondo della cultura, chiamati a vivere il loro servizio nel fervore di un impegno animato e vivificato dalla Carità di Cristo. Affido queste intenzioni alla Vergine Santa, tempio prezioso di Dio Carità, perché la nostra chiesa diocesana possa vivere e testimoniare la carità di Cristo, fondamento di ogni progettazione pastorale, di ogni servizio. "La speranza non delude". Risplenda la speranza sul volto delle nostre comunità.
Annunciate,
gridate,
testimoniate,
vivete,
organizzate la speranza,
affermate con la vostra vita che è possibile e non è utopica la speranza se Dio è con noi, se la relazione con Lui è forte, consapevole, permanente. Da questa fondamentale verità discende ogni comportamento del cristiano, chiamato a rendere la città degli uomini città di Dio, città della pace, della giustizia, del diritto, dell'amore.

Erice 25 agosto 2000
 
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