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Omelia Domenica delle Palme PDF Stampa E-mail
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domenica 24 marzo 2002

"Benedetto Colui che viene nel nome del Signore" così la folla accogliendoLo a Gerusalemme acclama Gesù di Nazaret. È il momento trionfale, l'ora della glorificazione per questo re mansueto e mite che cavalca un'asina. Gesù va a Gerusalemme per vivere l'ora decisiva, la sua ora, quella per la quale Egli, che è Dio con il Padre e lo Spirito Santo, ha umiliato se stesso, si è fatto uomo, obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Il ricordo dei miracoli strepitosi da Lui compiuti, i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono mondati, i morti ritornano alla vita, le folle vengono sfamate con cinque pani e due pesci, fa accorrere a Lui la folla. Quella folla è composta da un popolo semplice facilmente influenzabile e orientabile. C'erano tanti bambini e giovani tra quelli che accolsero Gesù con palme e ramoscelli d'ulivo. Al canto di benedizione, all'osanna spontaneo, libero e gioioso fa riscontro nel racconto della passione il crocifigge blasfemo della stessa folla manovrata dagli scribi e dai dottori della legge. Questa era gente del potere che mal sopportava di vedere emergere qualcuno e che questo qualcuno avesse seguito e per di più fosse salutato re. I potenti trovano sempre i gregari, coloro che si vendono la coscienza per denaro o per favori. Questo accadde allora e forse accadrà sempre. La folla innalza e la folla deprime, osanna e condanna, vive in una fluttuazione perenne, si vende al padrone più forte. Basta che ci sia il tribuno più furbo, più carismatico e la folla cede alla tentazione di mostrare i muscoli, di piegare tutto e tutti alle proprie richieste. Dai noglobal del G 8 di Genova alla grande manifestazione di Piazza di ieri a Roma, senza entrare nel merito politico di queste manifestazioni, c'è qualcosa di inquietante che s'agita nella società italiana che in atto vive sul crinale della piazza dove questa folla potrebbe azzerare la democrazia e far scivolare l'Italia verso forme di totalitarismo e di regime, purtroppo presenti in varie parti del mondo. Gerusalemme è l'emblema delle nostre città, dei nostri paesi dove Cristo Gesù, anche oggi, trova a volte accoglienza festosa, altre volte ostilità e disprezzo. È la chiesa e il suo messaggio di amore che nella nostra società, chiusa ai valori dello spirito, trovano il popolo pronto a gridare il crocifigge. "Beati voi, aveva ammonito Gesù, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e mentendo diranno ogni sorta di male per causa mia, rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli"(Mt.5,11). "Hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi"(Gv.15,20). La chiesa vive il martirio. Non v'è stagione della chiesa senza martirio, senza effusione di sangue. È di questi giorni la notizia dell'uccisione di un arcivescovo Colombiano e di un missionario in Uganda, E' una lista interminabile di uomini e di donne che per seguire Cristo, condannato innocente, si offrono e soffrono per il Regno. Il grido del Salmista "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" non è il grido disperato di chi ha smarrito la fede ed è senza punti di riferimento, ma è il grido del giusto che anela alla giustizia, che chiama Dio a giudice di quanto gli viene fatto, che sperimenta l'abbandono di amore di Dio e chiama aiuto. La mamma che lascia il bambino solo perché impari a camminare, in un certo senso lo abbandona a sè, ma è un abbandono di amore che servirà al bambino per acquistare autonomia. Attraverso la sofferenza e dentro la sofferenza, vivendo questo abbandono di amore noi diventiamo capaci di camminare nei cieli di Dio, liberi, appagati, pienamente conquistati dall'amore di Cristo che ci rende arditi, coraggiosi, testimoni, martiri. Stare dentro la passione significa camminare con Cristo, addentrarci nel mistero del dolore che in questa settimana santa ci porterà a contemplare Cristo Gesù deriso, calunniato, beffeggiato, torturato, flagellato, coronato di spine, dileggiato, crocifisso e risorto. Stare dentro la passione significa non essere semplici spettatori, curiosi e intriganti, ma partecipi del mistero del dolore e della morte redentiva di Cristo. Stare dentro la passione significa vivere più intensamente la comunione con Cristo nella preghiera, nella partecipazione alla liturgia, nell'ascolto devoto della Parola di Dio, nel clima di raccoglimento, di contemplazione, di silenzio adorante. Stare dentro la passione significa dominare noi stessi, vivere secondo la Spirito e non secondo la carne, praticare la penitenza e il digiuno, esercitare le opere di carità. Stare dentro la passione significa prendere la grande, l'unica, la sola decisione che ci porta a salvezza: scegliere Cristo. Bisogna scegliere Cristo come criterio di giudizio del nostro operare, come guida nel nostro cammino, come fratello e amico, come giudice buono e misericordioso, come gioia dell'anima, come forza di vita a cui aggrapparci fermamente, saldamente e definitivamente. Veramente il Signore Gesù è il nostro Dio e il nostro tutto? Chiediamocelo, in questi giorni, fratelli e sorelle carissimi, e dalla risposta che con sincerità e verità daremo prenderemo le nostre decisione, metteremo in atto tutto ciò che serve alla conversione del cuore perché il dolore crocifisso non cada nel vuoto, ma porti frutti di grazia e di vita nuova in ciascuno di noi.

Trapani, 24 marzo 2002
 
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