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Omelia Giovedì Santo, Messa Crismale PDF Stampa E-mail
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giovedì 28 marzo 2002

1)

Entriamo nel triduo sacro della settimana santa con questa solenne celebrazione della Messa Crismatis e il nostro cuore è colmo di gioia, una gioia purissima che sgorga dal cuore inondato dall'amore di Cristo: "Canterò per sempre l'amore del Signore"(Sl.88). Popolo santo di Dio, presbiteri e vescovo siamo convocati dallo Spirito in questa chiesa Cattedrale, segno dell'unità, dell'apostolicità e della cattolicità della chiesa nel territorio di questa diocesi. La chiesa che è in Trapani, obbediente al suo Signore e Maestro Cristo Gesù benedetto nei secoli, si dispone a consacrare solennemente gli oli che, distribuiti alle comunità ecclesiali della diocesi, saranno la materia per l'amministrazione dei sacramenti del battesimo, della cresima, dell'Ordine e dell'unzione dei malati. La Spirito del Signore agisce in profondità nell'animo dei credenti e infonde forza, energia e vita attraverso il segno dell'olio benedetto che consacra i sacerdoti, i profeti, i re della nuova alleanza nel sangue di Cristo Signore.

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Siamo chiamati a immergerci nel mistero della Pasqua. Corroborati, confortati e aiutati dalla grazia sacramentale, che dobbiamo far rivivere in noi prenderemo più viva coscienza del dono di amore che Cristo Gesù ci ha fatto chiamandoci alla comunione vitale con Lui attraverso il sacramento del battesimo, daremo testimonianza profetica per il sacramento della cresima, mostreremo la gioia del servizio ministeriale per il sacramento dell'ordine sacro. "Il Signore mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri"(Is.61,1). "A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen"(Ap.1,6). La chiesa è realtà innestata in Cristo sacerdote, profeta e re che comunica a coloro che Egli chiama e dona i ministeri, attraverso i quali viene edificata nel tempo come tempio vivo del Signore. Noi popolo sacerdotale, profetico e regale imploriamo dal Divino Spirito, nel giorno cenacolare per eccellenza, la grazia della comunione ecclesiale intensa, forte, concreta e visibile. Noi siamo la chiesa che nel clima mistico del cenacolo si carica di fede robusta, convinta, eroica, chiesa che pensa nella fede, progetta nella fede, opera nella fede.

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Ministri straordinari dell'Eucaristia, catechisti, operatori della carità, ministranti, chierichetti e quanti altri si pongono al servizio della causa di Dio, insieme ai ministri ordinati, siamo riuniti in questo spazio cenacolare, luogo sorgivo della nostra esistenza ecclesiale. Il luogo specifica e qualifica l'identità di una persona, di un evento, di un popolo. Noi siamo il popolo del cenacolo. Nel cenacolo siamo nati come chiesa. A questo luogo di grazia idealmente ci rifacciamo, indirizziamo la nostra mente e il nostro cuore per vivere l'atmosfera e la pregnanza dell'Evento che carica quel luogo di significato per noi. Nel cenacolo è la nostra ragione d'essere, al cenacolo e al mistero d'Amore che ivi si è consumato guardiamo con fede, del cenacolo intendiamo vivere la forza misteriosa della grazia che sperimentiamo attraverso i sacramenti.

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Al cenacolo guarda con interesse particolare il presbiterio di questa santa chiesa trapanese che accoglie l'invito di Giovanni Paolo II nella Novo Millennio ineunte: "Duc in altum". L'invito a gettare al largo le reti è rivolto alla chiesa tutta, ma in maniera particolarissima è rivolto ai sacerdoti, ministri di grazia, generosi e geniali costruttori del Regno, amici del Signore Gesù, chiamati a guidare la barca della chiesa tra i marosi della storia tormentata e affascinante di questo inizio del terzo millennio. Questi nostri tempi difficili e problematici richiedono a noi sacerdoti un supplemento di amore, una carica in più di entusiasmo, di generosità e di ottimismo, una buona dose di fantasia e di creatività, una tensione decisa alla santità e all'eroismo nel servizio pieno di Dio e dei fratelli più poveri. Il sacerdote non può accontentarsi di vivere così così, non può essere una mezza misura, non può adattarsi alla moda corrente, non può strisciare terra terra, non può essere meschino nei suoi desideri, nelle sue aspirazioni e nei suoi programmi di vita. Al sacerdote non è lecito barare, scansare le fatiche e i rischi, vivere nel compromesso, conquistare spazi di visibilità e di successo a scapito della verità, imitare e scimmiottare i comportamenti di un mondo fatuo, vuoto, frivolo, di copertina.

5)

Dal cenacolo arriva pressante a noi l'invito-imperativo alla santità della vita. Deve essere santo chi tratta le cose sante. La santità è tormento, passione e amore che fa ardere, bruciare e consumare per Dio, è fervore dello Spirito che infiamma l'animo umano di zelo per il cielo, è desiderio e anima di infinito, di luce e di eterno, è anelito di bellezza, è esaltazione dello Spirito verso ciò che è nobile e puro. Vivere di cielo è la splendida ed esaltante avventura alla quale il sacerdozio cattolico ci introduce. I nostri desideri, i nostri pensieri, i nostri progetti trovano motivazione, origine e significato in questa apertura verso gli sconfinati orizzonti del cielo. "Quae sursum sunt quaerite ubi Christus est in dextera Dei sedens non quae super terram"(Col.3,1-2). "Nostra autem conversatio in caelis est"(Fil.3,20). 5) Non c'è santità se non in una dimensione orante. La preghiera è anima della santità, alimento della vita interiore, respiro dell'anima. Nell'intimità del cenacolo vive Gesù la sua ultima pasqua terrena con gli apostoli e nella piena dei sentimenti che l'agitano trova nella preghiera conforto, affida alla preghiera il suo testamento, impartisce con la preghiera il suo insegnamento. La preghiera che Cristo unico e sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza rivolge al Padre è una preghiera che sgorga dal suo cuore oppresso dall'ingratitudine e segnato dall'abbandono. E' il cuore di Dio che pulsa di amore profondissimo per l'uomo. Attraverso la preghiera sacerdotale Cristo, vittima sacrificale che si offre al Padre per la salvezza degli uomini, affida al Padre quelli che hanno creduto in Lui e ai quali si appresta a dare il grande mandato di rappresentarlo sulla terra. È preghiera consacratoria, che trasforma il cenacolo in tempio sacro e l'azione che Gesù si appresta a compiere azione liturgica significativa ed esemplare.

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Alzarsi da tavola, cingersi il grembiule ai fianchi, prendere il catino con l'acqua, chinarsi ai piedi degli apostoli e lavarli sono gesti eloquenti che, accompagnati dall'invito-comando: "come ho fatto io fate anche voi" sono la consegna ufficiale fatta alla nascente chiesa di vivere nella logica del servizio come espressione autentica dell'amore liberante e salvifico. "Prese il pane lo benedisse, lo spezzò e disse: questo è il mio corpo, prendete e mangiate. Prese il calice, lo benedisse e disse: questo è il calice della nuova ed eterna alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati"(Mc.14,22-24). È suggellò questo rito della Pasqua con le parole-comando-mandato che rendono quei gesti e quelle parole attuali, significativi ed efficaci in ogni momento della storia: "fate questo in memoria di me"(Lc.22.19).

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Il sacerdozio è sgorgato dal cuore del Cristo pasquale ed è immediatamente riferito alla Pasqua. L'Eucaristia e il sacerdozio cattolico trovano nel cenacolo la loro origine e l'una dice richiamo essenziale all'altro, rapporto di necessaria dipendenza. La forza sorgiva e l'efficacia delle parole con cui Cristo accompagna il gesto dello spezzare il pane e dell'offrire il calice sono dati dalla volontà dello stesso Cristo, unico, eterno e sommo sacerdote della nuova alleanza il Quale ha voluto perpetuare nei secoli la sua presenza sacramentale nei suoi ministri e nel pane e nel vino consacrati. Dentro il mistero della Pasqua trovano significato e ragion d'essere il sacerdozio e l'Eucaristia. Entrambi questi sacramenti sono orientati alla Pasqua, alla perpetuazione della memoria della Pasqua. Il sacerdote, uomo dell'Eucaristia, è uomo pasquale. Il mistero pasquale dà spessore e senso alla vita di fede. Uomo pasquale e, quindi, uomo di fede è il sacerdote. Uomo della fede che si parte dalla tomba vuota ove risuona l'annuncio liberante dell'angelo: "è Risorto non è qui".

8)

Uomo della fede raggiunto dalla luce folgorante della vita che sconfigge la morte, della luce che fuga le tenebre, della grazia che distrugge il peccato. Uomo della fede coinvolto nell'Evento di vita nuova nello Spirito dal dono singolarissimo di una chiamata particolare: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi"(Mt.19,21). Uomo della fede che sull'Oreb del mondo ha incontrato come Mosè la gloria di Dio, ha contemplato il volto radioso di Cristo e ne è rimasto folgorato. Uomo della fede, raggiunto dalla Parola di Cristo, che ha rivoluzionato la sua vita, scombussolato i suoi progetti, dato una virata al suo vivere e l'ha posto sulla strada del servizio esclusivo, totalitario a Dio e ai fratelli. Uomo della fede con una marcia in più nel ministero dell'evangelizzazione e della testimonianza, i suoi occhi, infatti, hanno visto e contemplato e le sue mani hanno toccato il Verbo della vita. Uomo della fede solare, convinta, provata, sperimentata nel quotidiano dell'esistenza dove si gioca la vita, dove si costruisce la storia della salvezza, dove il Verbo ancora e sempre viene a porre la sua tenda in mezzo ai suoi, dove il suo invito forte e suadente risuona nell'animo e affascina, conquista, trascina. Uomo della fede coltivata nell'ascolto prolungato della Parola di Dio. Uomo della fede alimentata dalla preghiera umile, fervorosa, continua. Uomo della preghiera. La preghiera del peccatore e del profeta, dell'apostolo e del missionario, dell'uomo di Dio che affronta le battaglie della vita come Mosè con le braccia alzate verso il cielo. Quel cielo che si dischiude dietro la forza della preghiera. Quelle mani alzate che rendono contemporaneo il Cristo che si offre al Padre sulla croce.

9)

Il sacerdote è un apripista, è il primo della cordata, è colui che conosce i pericoli e le insidie della scalata e che perciò si attrezza bene per affrontarla responsabilmente. Egli sa che dalla sua vita ben spesa dipende la riuscita di tante altre vite che a lui si aggrappano, a lui si rifanno, da lui aspettano incitamento ed esempio. Il sacerdote non è sacerdote per se, ma per gli altri. Egli non si appartiene, ma è pura proprietà di Dio che lo usa per portare a compimento l'opera di salvezza. Il suo tempo, le sue doti, i suoi pensieri, il suo volere, la sua vita sono per la missione. Il sacerdote è un espropriato, un uomo consacrato, separato per Cristo. Trovo in questo essere proprietà di Cristo la ragione del celibato, dell'appartenenza senza ombre ed ostacoli a Cristo che lo fa essere disponibile, senza riserve, al servizio del suo Regno. Trovo in questo essere proprietà di Cristo la gioia esplosiva di una vita sacerdotale pienamente appagata, priva di frustrazioni, carica di amore, soffusa di tenerezza, segnata dalla misericordia. Trovo in questo essere proprietà di Cristo la forza dirompente della speranza che caratterizza l'essere e l'operare del sacerdote. Uomo della speranza certa, egli sa osare, rischiare, scommettere continuamente, non come un don Chisciotte ridicolo e perdente, ma come un Davide fiero e sicuro che affronta il Golia di turno con le armi della fede. Trovo in questo essere proprietà di Cristo la significatività di una missione che rende il presbitero unico nel suo essere e nel suo agire, non riconducibile in categorie umane ad alcuna altra figura del mondo. Egli è posto tra Dio e l'uomo in un compito di mediazione che trascende le capacità umane. È nella persona di Cristo che il sacerdote si muove, parla, agisce. Cristo ha voluto legare in maniera singolarissima e peculiare la sua persona e la sua missione alla persona del sacerdote il quale rende presente Cristo nella storia.

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Che sublime, immenso dono non ci è stato dato! "Misericordias Domini in aeternum cantabo"(Sl.88,2). Si, canteremo per sempre la misericordia del Signore. Aiutateci voi, sorelle e fratelli laici battezzati, a cantare la misericordia del Signore per quello che di grande, di bello, di significativo e di straordinario Egli compie in noi e per noi nel mondo. Amate incontrarci nel cenacolo, non disdegnate di unirvi a noi nello spazio necessario e fondamentale di vita cenacolare per vivere la Pasqua di resurrezione e di vita, per dare una marcia in più al nostro feriale segnato pesantemente dal peccato, per risvegliare la coscienza della chiesa in ordine alla sua missione nel mondo. Una retta visione del sacerdozio cattolico è condizione indispensabile per una retta e serena progettazione pastorale in ordine alla "comunicazione del Vangelo in un mondo che cambia".

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Dobbiamo trovare la forza e il coraggio di entrare dentro la modernità e piegarla verso il bene, orientando le enormi potenzialità che esprime la modernità verso ciò che conta ed è per sempre. Il Vangelo non teme la modernità, è per tutti ed è per sempre. Grave colpa è chiudere il Vangelo in schemi preconfezionati, imbalsamarlo e congelarlo in formule datate nel tempo, imbrigliarlo. È impresa ardua e missione esaltante la comunicazione del Vangelo in questo mondo che cambia, ma non è un'impossibile impresa. La forza di penetrazione del Vangelo non è legata a umane alchimie o a espedienti di mestiere. A noi ministri del Signore, a noi operatori pastorali incombe l'obbligo di lasciarci abitare dalla Parola, di avere una assidua frequentazione della Parola, di annunziarla, assaporarla nell'esercizio della lectio divina e della meditazione costante. I sacerdoti devono essere innamorati della Parola, cultori della Parola, capaci di raccontare il Vangelo con la parola e con la vita, annunciatori coraggiosi, geniali e competenti della Parola, evangelizzatori indefessi che amano spendersi con gioia per questa prima e nobilissima causa: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura"(Mc.16,15). Lo studio della Parola di Dio deve accompagnare il sacerdote nel suo quotidiano impegno pastorale, orientare e guidare le sue scelte di vita, ritmare i suoi tempi, caricare la sua missione di quella luce amica che si sprigiona dalla Parola accolta. Il popolo santo di Dio si aspetta sacerdoti specialisti della Parola, familiari della Parola, vere guide delle menti e dei cuori verso la verità che appaga e che salva. Da un cuore sacerdotale credente, da un sacerdote testimone della Resurrezione, da un sacerdote vero sacerdote discende un effluvio di grazia straordinaria, una conferma nella verità che è Cristo. Viviamo una stagione storica in forte fibrillazione per eventi e culture in perpetuo movimento che si oppongono, si squalificano e si annullano in una rincorsa del sensazionale, dello scoop, del nuovo a tutti i costi. Nel ginepraio di una globalizzazione selvaggia e scriteriata, sotto i colpi di una dissacrazione scientifica e martellante, sotto la spinta distruttrice di un terremoto che ha nome secolarizzazione, nell'utopia di un movimento antiglobal che si muove nel brodo culturale di aree politiche libertarie e materialistiche è obiettivamente difficile portare avanti la missione evangelizzatrice della chiesa, trova non pochi ostacoli il ministero del presbitero, ministro della Parola. Bisogna fare i conti con una società non più cristiana, inquinata da un battage televisivo apertamente ostile al Vangelo.

12)

Si richiede un supplemento di impegno, di amore, di preparazione, di santità da parte nostra. Il mondo è saturo di parole e vuole la testimonianza della vita. I santi sono i migliori veicolatori della Parola che salva. La santità della vita dà credibilità alla Parola, rende incisivo e attuale il Santo Vangelo. Da un cuore sovrabbondante dell'amore di Dio sgorga la Parola che, quale sorgente di acqua pura zampillante vita eterna, disseta e ristora. Prima ancora di risuonare nell'assemblea del popolo credente la Parola di Dio deve risuonare nella mente e nel cuore del presbitero, deve farsi strada nel suo animo, plasmandolo, educandolo, guidandolo verso la pienezza di vita in Cristo. Solo ciò che si è sperimentato può essere efficacemente donato. Il servizio della Parola pone il presbitero in umile atteggiamento di conversione; davanti alla Parola di Dio ci ritroviamo miseri e poveri, peccatori bisognosi del perdono di Dio. La Parola di Dio incontrata e assaporata rende il cuore docile, compassionevole, capace di comprendere più che giudicare, misericordioso. Il presbitero immerso nella Parola è guida illuminata, paterna, sicura delle anime a Dio. È luminoso e semplice, disponibile e premuroso, esigente e misericordioso, pronto a correggere e ancor di più a scusare e perdonare. L'azione sacerdotale sostenuta da una robusta preparazione culturale, da una frequentazione scientifica e sistematica della Parola di Dio fa presa nei giovani, incide sui processi culturali, trascina il popolo verso una fede più consapevole e matura.

Trapani, 28 marzo 2002
 
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