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sabato 01 settembre 2001
PIANO PASTORALE 2001-2002

"Come ho fatto io, fate anche voi"

Per una parrocchia "nuova" all'inizio del terzo millennio
 
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Servire Cristo edificando la Chiesa


 
 

INTRODUZIONE

Cari fratelli nel Signore e figli amati,
 
            vi trovino queste mie parole nella condizione dei primi discepoli, i quali gioirono nel vedere il Signore!
 
            Partendo dal tema del Convegno Ecclesiale che la nostra Diocesi celebra ogni anno ad agosto, è consuetudine che il vescovo, forte delle riflessioni e del sentire della comunità diocesana, elabori poi il piano pastorale.
            Ho davanti agli occhi la Gerusalemme del Cielo, chiamata a vivere in comunione con il suo Signore e con gli uomini. Ciò per cui spenderemo energie e risorse sarà perciò rendere visibile già qui la Chiesa comunione, impegnandoci nel cammino che porta ad Essa.
            Il progetto pastorale, di prossima pubblicazione, come molti di voi già sanno per il fatto che i vari organismi diocesani vi hanno intensamente lavorato, avrà come linea guida: Da Babele a Gerusalemme, il cammino della comunione.
            Sulla speranza, anima della comunione, abbiamo scommesso fin dall'inizio del mio servizio episcopale alla chiesa che è in Trapani (cfr. i piani pastorali degli anni scorsi: Sul Tabor per sperare, Riconciliati camminiamo insieme verso Gerusalemme, La speranza non delude).
            Ci impegniamo ora in un cammino di rinnovamento della Chiesa, nella sua prima articolazione più visibile: la parrocchia. E' proprio la parrocchia il luogo dove i cristiani ancor oggi incontrano Cristo nella Chiesa.
 

1. Un'immagine per il piano:
La lavanda dei piedi


            Alla comunità parrocchiale, chiamata giustamente dal popolo "la chiesa", gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, fanno la stessa richiesta che alcuni fecero all'apostolo Filippo: "Vogliamo vedere Gesù" (Gv 12,21) (Novo Millennio Ineunte n.16).
            Come mostrar loro il volto autentico del Signore, e come noi stessi possiamo contemplarlo? Certamente possiamo farlo "restando ancorati alla Scrittura e alla testimonianza degli apostoli" (NMI n.17).
 
            Poiché ogni incontro richiede un tempo e uno spazio, trovo che in particolare un'immagine del Santo Vangelo ci aiuta a capire qual è, ancora oggi, il tempo e lo spazio privilegiato per incontrarci con Gesù; là dove condurre tanti nostri fratelli che ci chiedono di vederlo. Mi lascio guidare dall'evangelista Giovanni ed entro con lui in un luogo, il cenacolo, in cui si realizzò il momento di comunione più profonda che Gesù visse con gli apostoli prima della sua Pasqua; era il momento della sua ultima cena con loro.
            "Mentre cenavano... (Gesù) si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui era cinto" (Gv13,2.4 ).
            Quella cena fu tutta un atto d'amore che doveva consegnare alla comunità cristiana i gesti ultimi di Gesù, quelli da ripetere "in attesa che egli venga" alla fine dei tempi.
 
 

2. Nella lavanda dei piedi
 il volto di Gesù          


            Ci chiediamo a questo punto: come si espresse questo Amore di Gesù in quell'ultima notte, prima del suo compimento all'alba della risurrezione?
 
            Questo amore si espresse nei gesti compiuti a tavola, che Gesù lasciò come un "memoriale" da ripetere dopo la sua Pasqua: diede il suo corpo come pane, il suo sangue come vino "in remissione dei peccati".
            Giovanni, però, non fa nessun cenno al pane e al vino e neanche alle parole di Gesù riferite dagli altri Vangeli e da San Paolo nella prima lettera ai Corinti (11,23-26).
 
            Egli, invece, come se per un attimo interrompesse lo svolgimento di quella cena, racconta di essa un fatto assolutamente inedito, un gesto che Gesù compì come all'interno di essa, nel cuore del memoriale da lasciare alla comunità.
 
            E' evidente che, quando scrive, Giovanni ha davanti una comunità che già da anni celebra l'eucaristia. Sostituendo al racconto dell'istituzione quello della lavanda dei piedi egli introduce l'idea che esiste un altro memoriale della comunità da ripetere insieme alla cena, quello della carità vicendevole. Seguiamo infatti per un attimo la conclusione di quel gesto: "Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica" (Gv 13,12-15).
 
            Gesù, donando il suo corpo e il suo sangue, aveva detto: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19); lavando i piedi ai discepoli consegna ai discepoli il significato d'amore contenuto in quel dono: "Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi". Non accogliere questo comando dell'amore significa, dunque, tradire il senso stesso della cena.
 
 

3. Dove e quando
incontrare Gesù oggi


            A questo punto mi chiedo e trovo subito una risposta: quali sono il luogo e il tempo in cui quella pagina del vangelo rivive nel cammino storico della Chiesa?
 
            La parrocchia, figli dilettissimi! è la parrocchia il cenacolo di oggi, in cui la comunità dei credenti, presieduta da un presbitero e in comunione con il suo vescovo, rivive la comunione di quella cena.
            La domenica, giorno del Signore Risorto; la domenica il tempo favorevole! In quello stesso cenacolo Gesù cenò e lavò i piedi ai discepoli, ma apparve anche da Risorto per donare loro la Pace
soprannaturale della Pasqua; ed effuse, come dono ultimo del Padre, l'alito dello Spirito Santo, manifestatosi con potenza nelle lingue di fuoco il giorno di Pentecoste, inizio dell'evangelizzazione del mondo e nascita storica della Chiesa a Gerusalemme.
            Il cenacolo è luogo teologico, dunque, in cui trova concretezza l'attesa cosmica di salvezza, in cui trovano realizzazione le profezie veterotestamentarie, da cui parte l'avventura salvifica, unica e definitiva, dell'uomo sulla terra.
            Saranno dunque i gesti di Gesù, durante la lavanda dei piedi nel cenacolo, a guidare la nostra riflessione sulla parrocchia secondo due direzioni: verso l'interno, cioè nella sua strutturazione di carismi e ministeri, nella sua visibilità della messa domenicale e nel suo rapporto con la diocesi; e verso l'esterno, cioè nella sua indispensabile apertura al territorio di cui fa parte, alle componenti sociali più fragili, alla città come spazio politico con cui interagire, e al mondo che rapidamente cambia.
 
 

QUADRO I
"Si alzò da tavola"


 

4. Alzarsi da tavola:
in piedi per servire


            Mentre gli apostoli cenavano con Lui, "Gesù si alzò da tavola". E' difficile rendere nella nostra lingua la suggestione che suscita questa espressione. Giovanni infatti non usa il verbo "alzarsi", ma il verbo "svegliarsi",  usato nel Nuovo Testamento anche per dire la risurrezione. Ci piace pensare a questo "alzarsi da tavola" come a un risorgere (alzarsi-svegliarsi) per il servizio. Ciò che ha fatto Gesù, lo fa la comunità eucaristica domenicale: essa si alza risorta dalla cena pasquale e, alimentata dal corpo e sangue di Gesù, trova nuove energie per il suo donarsi nel servizio.
 
            "Alzarsi da tavola" significa, dunque, riscoprire il valore e la forza di vita che si sprigiona dalla parrocchia quando vive pienamente la cena eucaristica nel raduno domenicale. E' l'invito espresso chiaramente da tutti i vescovi italiani negli Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000: Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Qui leggiamo al n. 47: "Ci sembra molto fecondo recuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua funzione storica concreta a partire dall'Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno". Questi, infatti, "usciranno dalle mura della chiesa con un animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della speranza che abita i credenti (cfr.1Pt 3,15)" (Ibidem n.48).
 

5. La parrocchia, luogo in cui, da sempre nella storia,
ci si alza per servire


            Recuperare la centralità della parrocchia significa, dunque, rileggere il suo cammino storico e, alla luce di questo, avviare il rinnovamento che essa esige nel presente.
 
            Essa è nata dalla missione stessa degli apostoli e dal loro primo "piantare le chiese". Gli apostoli, infatti, già nella prassi neotestamentaria, si servirono di collaboratori, i vescovi-presbiteri, da lasciare nelle varie comunità per esercitare la presidenza della cena eucaristica e il ministero della parola (predicazione-insegnamento), abilitandoli a ciò "mediante la preghiera e l'imposizione delle mani" (1Tm 1,12).
            Passata la generazione degli Apostoli, i loro successori assunsero stabilmente il nome di vescovi; si chiamarono invece presbiteri coloro che resero presente la comunione con il vescovo parlando e agendo a nome suo, là dove l'espansione della comunità cristiana nel territorio non consentiva più ad un vescovo di presiedere un'unica liturgia domenicale.
 
            Tra la fine del III e del IV secolo tutto questo era già un dato di fatto, in relazione anche alla diffusione del cristianesimo in tutto l'Impero romano.
 
            Il Concilio di Trento ribadì l'importanza della parrocchia.
 
            A partire dal Concilio Vaticano II si è riacceso il dibattito sulla funzione della parrocchia. La nascita di nuovi movimenti non ancorati alla parrocchia e la scelta di alcuni paesi (la Francia in primo luogo) di dirigere l'azione pastorale alle differenti categorie sociali indipendentemente dalla loro distribuzione nel territorio, ha fatto pensare ad alcuni che fosse finito il ruolo storico della parrocchia. Di fatto, oggi i movimenti riscoprono il valore che ha l'inculturazione del proprio carisma nel territorio delle varie chiese locali e sentono la necessità di un ancoraggio più solido della loro spiritualità alla vita quotidiana; le esperienze pastorali "per categoria" si sono rivelate in genere un fallimento là dove sono state assolutizzate. Il dato certo è che, là dove svetta un campanile e c'è una chiesa che raduna la comunità cristiana di un determinato territorio, il processo di secolarizzazione ha dovuto confrontarsi "sul campo" con i valori del vangelo incarnati visibilmente dalle comunità parrocchiali; viceversa la comunità parrocchiale ha dovuto confrontarsi con la modernità imparando a discernere e ad assumere il bene che porta con sé.
 
            E' questa la conclusione a cui giunge anche il Papa nella Catechesi Tradendae (n. 67): "Alcuni hanno forse accettato con eccessiva facilità che la parrocchia fosse giudicata sorpassata, se non addirittura destinata a scomparire a tutto vantaggio di piccole comunità più adatte e più efficaci. Lo si voglia o no, la parrocchia resta un punto capitale di riferimento per il popolo cristiano, ed anche per i non praticanti".
 
            I vescovi italiani puntano ora più decisamente sulla rinascita delle parrocchie negli Orientamenti Pastorali per il prossimo decennio (cfr.nn. 47-49 ) riaffermando quanto dicevano al n. 42 di Comunione e comunità: "La parrocchia costituisce, di fatto ancora oggi, la prima e insostituibile forma di comunità ecclesiale".
 
 

6. In parrocchia:
alzarsi per servire nel territorio


La fisionomia della parrocchia, il suo dinamismo pastorale si configurano in base al popolo che vive in un determinato territorio, alla sua cultura, tradizioni, sensibilità umana, allo specifico che caratterizza il suo vivere e il suo operare.
 
            C'è un proprium della nostra provincia che la fa diversa dalle altre provincie della Sicilia; c'è un proprium anche del territorio della nostra diocesi e, dentro di essa, delle nostre 87 realtà parrocchiali.
 
            Non si può pensare al rinnovamento della parrocchia senza un'attenta, puntuale, razionale e, per quanto è possibile, scientifica lettura del territorio.
 
            Da essa vengono fuori notevoli luci ed ombre, ricchezze e povertà, potenzialità e debolezze che, conosciute e valutate alla luce della Parola di Dio e del Magistero della chiesa, ci faranno compiere quel giusto e sano discernimento per non correre invano nel progetto di rinnovamento che intendiamo portare avanti.
 
Non possiamo ignorare che il concetto di territorio non ha più la staticità del passato. La nostra diocesi ha dei collegamenti stradali che consentono di attraversarla in brevissimo tempo. Il rapporto con il centro, rappresentato dalla Cattedrale, è diventato più facile: lo dimostrano tutti gli eventi giubilari; ma anche la partecipazione corale a liturgie come quella del Giovedì Santo (messa crismale) o alle ordinazioni sacerdotali. Più facile anche il collegamento tra i vari paesi. Più rapide tutte le comunicazioni.
 
            La collaborazione pastorale è un' esigenza avvertita da tutti e può nascere solo dal rapporto di comunione tra le comunità parrocchiali e i loro parroci. E' per il raggiungimento di questo fine che mi è sembrato utile proporre, nel territorio della nostra diocesi, la distinzione di tre zone pastorali e, nell'ambito di ciascuna zona, la creazione delle interparrocchialità; vanno incoraggiate anche le unità pastorali quali forme concrete entro cui si esprime il dinamismo della comunione.
 
            Sarà l'assemblea domenicale ad esprimere pienamente l'identità singolare di ciascuna parrocchia.
 
 

7.  La parrocchia: cenacolo
della comunità eucaristica
e casa dei battezzati


Restando fermo il fatto che l'obiettivo da raggiungere è il senso pieno di appartenenza dei fedeli ad una comunità parrocchiale riunita a celebrare eucaristia, bisogna oggi considerare alcuni fattori: in primo luogo il fatto che tanti battezzati non frequentano l'assemblea eucaristica e hanno un senso scarso di appartenenza alla chiesa.
 
            Questi cosiddetti cristiani "della soglia" a volte ritornano alla pratica della messa domenicale attraverso l'incontro con i movimenti o con testimoni della fede al cui cammino si uniscono: e per essi non sempre l'incontro con una comunità coincide con la propria parrocchia.
 
            Infine si costata una grande mobilità, prima non registrabile, dei singoli fedeli; tanti trascorrono molto tempo nel luogo del proprio lavoro; qui spesso creano i loro rapporti umani più significativi, lontani magari dal proprio quartiere; oppure possiedono un doppio domicilio, che alternano in base alle esigenze familiari.
           
            Questi fattori richiedono di trasformare la parrocchia "nuova" in casa di tutti i battezzati e, ancora, di non intendere i confini parrocchiali come "trincee", ma di accettare il percorso di ogni battezzato in vista del bene supremo, che è l'incontro con Cristo.
 
            Ciò che conta è non abbandonare il gregge di Dio, né permettere che si disperda.
 
            Perciò lo zelo per le anime ci costringe a ripensare con intelletto d'amore tutta l'azione pastorale della nostra chiesa a partire dalla parrocchia, cellula prima dell'organismo ecclesiale.
 
            "Alzarci da tavola" significa riscoprire la parrocchia come "ovile", casa dove far stare al sicuro questo santo gregge.
 
            Ci si può "rimettere a tavola" solo dopo aver servito; così fece Gesù dopo che ebbe lavato i piedi ai suoi discepoli.
 
 

QUADRO II
"Depose le vesti"


 

8. Deporre le vesti:
fondamento di ogni servizio


Il gesto di deporre le vesti, è anticipatorio del momento in cui Gesù sarà spogliato delle vesti nel duro cammino della sua Passione, quando mostrerà il suo volto di Servo sofferente, "uomo dei dolori che ben conosce il patire". Nella sua lettera ai Filippesi San Paolo ci spiega il senso di questo spogliamento: Gesù non fece prevalere la forza della sua divinità, ma, assumendo la condizione di schiavo e divenendo simile agli uomini, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce (cfr Fil 2,6-11). L'abbassamento umile e obbediente è la via attraverso cui Gesù compì la volontà del Padre. Atteggiamento che egli conservò dinanzi ai suoi persecutori e sulla croce.
 
            Nella lavanda dei piedi, pur essendo il Maestro e Signore, assumendo la condizione dello schiavo, egli si chinò sugli apostoli per la loro purificazione.
 
            Ecco il fondamento di ogni servizio!
            La comunità cristiana sa che la cena che condivide è con il Risorto, ma, pur essendo "partecipe della natura divina", non se ne inorgoglisce; essa rivestita della grazia di Cristo - e infatti "quanti sono stati battezzati in Cristo si sono rivestiti di Cristo" (Gal 3,27) - si spoglia di ogni presunzione umana e, come fece Lui, depone le vesti e condivide fino in fondo (sino alla fine!) l'umanità di tutti, priva di ogni arroganza (Cfr Col 3, 12-17).
 
            E' questa la condizione indispensabile attraverso cui la comunità parrocchiale può realizzare quelle priorità che indicherò meglio alla fine del nostro piano: l'accoglienza, l'ascolto, l'annuncio.
 
"Deporre le vesti" significa pertanto conoscersi come si è, e conoscere senza veli e pregiudizi la realtà; significa approdare alla verità delle cose, come fece Gesù che, spogliandosi liberamente della sua divinità, poté scendere nella condizione vera dell'uomo, quella di Adamo peccatore, bisognoso di salvezza.
 
            In questa accettazione e assunzione piena della realtà, la Chiesa può imitare il suo Maestro e Signore anche nella sua condizione di Servo, immergersi nella follia della croce seguendo Cristo povero, deriso, abbandonato e sapendo trovare gioia nella sofferenza a causa del Vangelo.
            Dunque ogni comunità parrocchiale s'impegni a conoscere il quartiere in cui vive, le sue povertà e le sue risorse; prenda coscienza della vita economica, sociale, morale e religiosa del proprio territorio.
 
            Ogni buon parroco sa quanto è importante "censire" il territorio della propria parrocchia. Secondo la metodologia più opportuna è bene conoscere i livelli economici delle famiglie, il loro status sociale e le eventuali differenze ; individuare all'interno del territorio parrocchiale le condizioni di attecchimento dei mali storici della mafia, della microcriminalità, o della corruzione politica; conoscerne le sacche di povertà, e i mali morali che l'affliggono; cogliere la portata di fenomeni quali l'immigrazione, l'emigrazione, la disoccupazione; individuare la presenza di cristiani di altra confessione, dei Testimoni di Geova o i simpatizzanti di altre sette, la consistenza di quanti sono invischiati nelle pratiche magiche o superstiziose, di quanti, infine, vivono semplicemente una religiosità naturale o professano apertamente il loro ateismo e la loro indifferenza.
 
Costoro sono l'umanità che Gesù è venuto a salvare. Sono il corpo ferito del Signore da portare alla locanda, la pecora caduta nel dirupo su cui spargere il balsamo dell'amore.
            Sono quelli che ci costringono a fare un miglio, e noi ne facciamo due, che ci tolgono la tunica e noi gli diamo anche il mantello.
 
            Con alcuni apriremo un dialogo, altri li soccorreremo, per tutti soffriremo, allo scopo di completare nel nostro corpo i patimenti di Cristo Gesù.
 
            La Chiesa, Suo Corpo, esprime la tenerezza e la pazienza di Dio. Non si scandalizza, non alza la voce, ma spera senza stancarsi, al di là di ogni umana speranza.
 
            Deporre le vesti significa anche guardare senza pregiudizio alle realtà pubbliche e alle istituzioni civili presenti nel territorio.
 
            Pensiamo alle scuole, alle pro-loco, alle associazioni culturali e ricreative, alle municipalità o alle loro delegazioni, alle sedi delle forze dell'ordine.
 

QUADRO III
"Prese l'asciugatoio
e se lo cinse alla vita"


 

9. Prendere l'asciugatoio.
Cingerselo attorno alla vita


            Gesù prese l'asciugatoio. Fu un gesto funzionale, ma necessario al raggiungimento dello scopo. Il gesto in sé potrebbe sembrare senza valore, se quest'asciugatoio non fosse servito ad asciugare i piedi dei discepoli e ad indicare così le dinamiche battesimali del servizio: "Voi siete mondi" (Gv 13,10), "dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri... come ho fatto io" (Gv 13,12-15).
 
            Così nella comunità parrocchiale ci possono essere tanti gesti apparentemente funzionali, ma che, di fatto, consentono di sperimentare la realtà della comunione.
 
            Essendo la parrocchia un luogo in cui la comunità vive, essa necessita di locali e di attrezzature idonee alla sua natura e funzione.
 
            La pulizia e il decoro della chiesa e dei locali parrocchiali creano le condizioni minime dell'accoglienza e danno un senso di ordine e di serenità. L'attenzione all'arredo liturgico, ai paramenti, alla suppellettile sacra deve corrispondere a quella cura che qualunque famiglia ha per le sue cose più belle. Ogni ambiente, per quanto possibile, deve essere predisposto per la sua funzione. E' importante che il popolo di Dio aiuti i suoi parroci in quest'opera spesso nascosta, ma già essa stessa, prima autentica testimonianza di servizio.
 
            La ministerialità della comunità parrocchiale passa anche attraverso l'uso delle sue strutture, e si arricchisce della consapevolezza, della professionalità e della disponibilità dei battezzati.
 
            "Cingersi l'asciugatoio attorno alla vita" significa anche non demonizzare nessuno degli strumenti che la realtà moderna ci mette a disposizione; come dice un'antica massima: "ciò che è buono è di tutti", purchè serva a raggiungere le finalità dell'apostolato.
 
            L'uso del computer allevia già molti dei doveri "burocratici" delle parrocchie, e rende più agevole il lavoro intellettuale e l'organizzazione pastorale dei parroci.
 
            La realtà telematica, che introduce nel cosiddetto "villaggio globale", ha delle potenzialità utilissime. Un sito Internet può essere un veicolo permanente di informazione e di collegamento con disparate realtà. Gli indirizzi di posta elettronica sono un modo veloce e poco impegnativo per comunicare la stessa cosa a molte persone; e tante sono le famiglie che ne dispongono. Ma non sono da trascurare i tradizionali mezzi attraverso cui la parrocchia dialoga con il suo territorio spesso compiendo, senza grandi proclami, una vera tessitura di rapporti umani e un'operazione culturale di tutto rispetto: volantini, fogli, giornalini, manifesti; tutti strumenti preziosi per la comunicazione. In questo ambito il laicato potrebbe essere di prezioso aiuto nella decodificazione e nell'apprendimento dei nuovi linguaggi mediatici.
 
            L'uso di questi mezzi può improntare una seria  preparazione dell'evangelizzazione, essere di aiuto alla promozione umana; ma può entrare anche ordinatamente nello svolgimento della catechesi e nell'organizzazione del tempo libero (diapomontaggi, videoproiezioni, cineforum).
 
            Fondamentale è all'interno della parrocchia il discernimento dei carismi che arricchiscono i laici collaboratori del parroco.
            La gestione economica della parrocchia (consiglio affari economici), l'attenzione ai suoi beni culturali, la conoscenza delle leggi sulla solidarietà e il volontariato: sono tutti ambiti in cui si può rivelare preziosa la loro competenza e il loro impegno.
 
            La conoscenza delle realtà presenti nel territorio ha bisogno di essere accompagnata da una giusta informazione sulle problematiche che esse suscitano.
            Così la presenza di altre confessioni religiose spinge alla catechesi sull'ecumenismo, la presenza delle sette richiede un'informazione corretta riguardo alle loro specificità, l'individuazione delle problematiche sociali esige una lettura più approfondita del territorio e uno studio dei fattori scatenanti. Sarà insomma la collocazione nel territorio a qualificare, per così dire, la specifica "vocazione" di ogni comunità. Saranno queste differenze una ricchezza in più per la nostra chiesa, un patrimonio di esperienze da difendere e mettere a disposizione degli altri; non da contrapporre agli altri, né da erigere a modello assoluto. La conoscenza dei problemi, unita alla sapienza teologale e all'amore vicendevole, è il migliore antidoto alla confusione culturale, al relativismo morale, al sincretismo religioso.
 
 

QUADRO IV
"Voi mi chiamate
Maestro e Signore
e dite bene, perché lo sono"


 

10. Gesù è il Maestro


            Prima di lasciare il suo "memoriale della carità" Gesù si attribuì personalmente i titoli di Maestro e Signore: "Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono" (Gv 13,13). In quell'ultima cena Gesù Maestro compì le parole della Scrittura e si offrì Signore nei segni del pane e del vino. Si arriva dunque alla vera carità di Cristo solo attraverso l'ascolto della Parola e l'adorazione del Signore Glorificato. Come già abbiamo evidenziato introducendo il piano pastorale, l'autentica carità vicendevole è, per così dire, intrinsecamente eucaristica, e quindi essa stessa "fonte e culmine" della vita del cristiano.
 
            Oggi ci rallegriamo dei tanti passi che le comunità cristiane hanno fatto dopo il Concilio nella conoscenza delle Sacre Scritture. Tanto è stato fatto, ma tanto ancora resta da fare.
 
            Bisogna incoraggiare gli incontri biblici nelle parrocchie e formare sempre più i laici alla conoscenza delle Scritture. Ne trarrà beneficio la ministerialità tutta della nostra chiesa.
            E' la Parola che chiama, convoca, esorta, corregge e consola.
            Ripartire da Cristo è giocare la vita sulla sua Parola, fidarci di Lui e affidarci a Lui, accettando la sconvolgente proposta della sua chiamata in un atteggiamento di pura fiducia: "Non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti" (Lc 5,5).
 
            Anche la pastorale delle vocazioni metterà al primo posto una lettura sapienziale ed esistenziale della Parola di Dio.
 
            Il modo migliore per riconoscere e contrastare la secolarizzazione invasiva consiste nell'immergersi in una più profonda conoscenza di Dio. Conoscere la Scrittura è conoscere (vedere) Cristo, e in Lui il volto del Padre: "Chi vede me vede Colui che mi ha mandato" (Gv 12,45). La Vita e la Parola di Gesù sono la guida illuminante per conoscere e far propri i pensieri di Dio.
 
            In particolare, nella celebrazione eucaristica domenicale, la cura della liturgia della Parola preparerà degnamente la mensa del cuore a ricevere questa Parola fattasi carne nel sacramento del pane.
 
 
            Si abbia cura che i lettori siano ben preparati, orientandoli, nel discernimento, alla ministerialità istituita.
 
            L'omelia si attenga, quanto più possibile, al testo sacro e al senso della celebrazione, attualizzando la Parola di Dio nel "qui ed ora" della vita dei fedeli.
 
            La catechesi, qualora diventi più biblica ed esistenziale, non mancherà di suscitare cristiani più innamorati di Dio e del prossimo, impegnati con più competenza nell'annuncio, nell'istruzione religiosa, nella ministerialità di fatto.
 
            La frequentazione assidua della Bibbia abituerà i battezzati a scoprire i "semi della Parola" sparsi in tutte le situazioni e in tutti gli aspetti della vita (semina Verbi), contro ogni pessimismo o scoraggiamento.
           
            A questo ascolto della Parola di Dio si unisca l'ascolto dei Padri della Chiesa, della Tradizione vivente del Magistero e dei semplici testimoni.

QUADRO V
"Se dunque io, il Signore..."


 

11. Gesù è il Signore


            L'immagine della lavanda dei piedi che ho scelto, ci aiuta a raccordare idealmente ogni celebrazione domenicale alla celebrazione tipo del Giovedì Santo; questa, infatti, racconta l'Istituzione della cena con l'integrazione giovannea del gesto umile di Gesù di lavare i piedi ai suoi discepoli. Ogni Pasqua della settimana si collega direttamente al Triduo della Pasqua annuale. Nella cena eucaristica domenicale noi riconosciamo in Cristo il Maestro (Liturgia della Parola) e il Signore (Liturgia eucaristica), e facciamo bene, perche Lui lo è. Se dunque Lui, il Maestro e Signore, ha lavato i nostri piedi abbassandosi fino a noi nella condizione del Servo, allora anche noi dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri (a questo ci richiama, nella liturgia, la presentazione dei doni, la preghiera del Signore e lo scambio della pace); dobbiamo vivere poi fuori, nel mondo e nella storia, una vita eucaristica di servizio.
 
            La domenica è il Giorno del Signore risorto, "giorno di gioia e d'allegrezza".
           
            L'assemblea eucaristica che si raduna nel cenacolo-parrocchia vive l'esperienza dei discepoli di Emmaus e, per la fede, riconosce Gesù nello spezzare il pane. Da Lui attinge, come ad una sorgente inesauribile, lo Spirito d'Amore, Acqua necessaria per lavarsi i piedi gli uni gli altri e per lavare i piedi al povero. Per questo non basta mangiare alla mensa della Parola se non ci si accosta all'altra mensa del pane della vita eterna.
 
            Occorre far crescere il senso di responsabilità dei credenti affinché si accostino alla comunione eucaristica con piena coscienza e senza superficialità; "ciascuno, infatti, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore mangia e beve la propria condanna" (1 Cor 11, 28s).
 
            Attorno all'altare ci siano laici ministranti ben preparati per il servizio liturgico e con loro, secondo una veneranda tradizione, i chierichetti.
            E' cresciuta ed è ben qualificata nelle parrocchie la presenza di ministri straordinari; essi testimoniano visibilmente, anche con i loro sacrifici personali, la carità che dall'eucaristia domenicale sgorga dal cuore della chiesa verso gli ammalati. I parroci ne curino volentieri la formazione e la vita spirituale.
            La domenica è anche il giorno del riposo, della festa, delle relazioni umane, vera "sosta che rinfranca l'anima".
            La stessa celebrazione eucaristica deve esprimere quanto più possibile la relazione tra culto e vita ed essere momento espressivo della condizione esistenziale, della cultura e delle emozioni di coloro che vi partecipano. Le attività della settimana siano pertanto orientate alla preghiera domenicale, momento in cui tutte le realtà comunitarie s'incontrano nella comunione della cena.
           
            I ritmi della vita moderna hanno cambiato molto le abitudini e gli orari delle attività parrocchiali. Ci sia comprensione tra i laici e i presbiteri: ognuno porti avanti la fatica delle proprie responsabilità cercando di comprendere le esigenze e le difficoltà degli altri, crescendo così nella fiducia vicendevole.
 
            La centralità della domenica non esclude "l'importanza che, nella vita cristiana, ha avuto ed ha ancora per molti fedeli la partecipazione quotidiana alla celebrazione eucaristica e il culto eucaristico – in particolare, l'adorazione eucaristica –, che danno continuità al cammino di crescita spirituale". (C.E.I, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia n.48).
 
            In particolare, l'adorazione eucaristica potrebbe diventare momento di preghiera forte per chiedere al Signore il dono di nuove vocazioni sacerdotali e religiose.
 
            Non c'è preghiera cristiana che non abbia il suo legame con l'eucaristia. E' lodevole la pratica ormai frequentissima, sia personale che comunitaria, della celebrazione di Lodi e Vespri; sono preghiere per eccellenza "legittime" e orientate al sacrificio della messa, attraverso cui anche i laici innalzano a Dio "salmi, inni e cantici spirituali" e contemporaneamente offrono la propria vita come "sacrificio vivente a Lui gradito".                    
 
            Nel rispetto dell'anno liturgico anche le forme di religiosità popolare trovino un posto nell'attenzione delle parrocchie. Esse possono costituire un prezioso veicolo del senso cristiano della vita, ben radicato nel cuore della gente, e preparazione ad una più incisiva e moderna inculturazione del Vangelo.
 
 

QUADRO VI
"Come ho fatto io
fate anche voi"


 

12. Lavarsi i piedi gli uni gli altri:
il gesto del più grande
amore reciproco


            Gesù, lavando i piedi dei suoi discepoli, esprimeva simbolicamente quel lavacro da cui sarebbe nato il suo Corpo, la Chiesa.
Egli infatti avrebbe dato se stesso per Lei - si sarebbe cioè fatto schiavo sulla croce - per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla Parola (Cfr. Ef 5,26). E infatti dal costato di Cristo crocifisso sgorgarono sangue ed acqua.
 
            Il comando di Gesù ("come ho fatto io, fate anche voi"), inserito nel contesto della cena, rimanda alla condizione battesimale, ovvero alla rinascita dei credenti "dall'acqua e dallo Spirito Santo". Gesù disse infatti a Pietro: "Se non ti laverò non avrai parte con me" (Gv 13,8).
 
            Così come nel memoriale della cena condividere il pane significa condividere il Corpo di Gesù, nel memoriale della carità lavarsi i piedi gli uni gli altri significa servire il Corpo di Gesù che è la Chiesa. E poiché il corpo non è separato dal Capo, servire gli altri significa servire Cristo edificando la sua Chiesa. Gesù stesso ebbe a dire: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me" (Mt 25,40) . Si serve Cristo negli altri. Questo libera da ogni pretesa di ricompensa umana e fa entrare nel mistero profondo della vera carità  che "tutto crede, tutto spera, tutto sopporta": così una comunità può sperimentare il dono della comunione nella libertà dei figli di Dio.
 
            Il dono teologale della comunione va ricercato coltivando nel cuore l'atteggiamento del perdono e della misericordia.
 
            Nelle parrocchie la celebrazione comunitaria della Penitenza, l'uso appropriato delle messe della Riconciliazione, un congruo tempo fissato per le confessioni individuali e l'accompagnamento spirituale, potranno essere mezzi adeguati per coltivare questo atteggiamento orientandolo al servizio.
 
            E poiché la Chiesa è questo mistero di comunione, l'efficacia e la fecondità della parrocchia, dipende principalmente da una comunione reale, vissuta innanzitutto con il vescovo.
            "Intorno al vescovo, come a servitore dell'unità nella carità, si stringono i membri del popolo di Dio, con vincoli di fede, di amore e di obbedienza attiva, responsabile, affinché l'unità della fede e della carità diventi evidente ed esemplare nella concorde azione pastorale" (CEI, Comunione e Comunità n. 40).
 
            Al parroco, quale rappresentante del vescovo nella parrocchia e sotto la sua autorità, compete il ruolo ministeriale di alimentare questa comunione, insegnarla, renderla visibile nell'eucaristia, testimoniarla.
 
            La comunione del parroco con il vescovo è  garanzia di fecondità pastorale; è in questa grazia che trova senso la sua azione ministeriale.
 
            Questa comunione è esigita dal sacramento dell'ordine. L'essere del sacerdote, infatti, si fonda sulla sua partecipazione del ministero episcopale.
 
            La ricerca della comunione, nutrita di ascolto, di dialogo e di preghiera, appassioni i presbiteri, li conquisti, li faccia essere protagonisti di santità.
           
            La comunione con il vescovo si manifesta anche attraverso la collaborazione che la parrocchia stabilisce con tutte le realtà e gli organismi diocesani.
            Gli organismi della curia (con i suoi uffici diocesani per i diversi ambiti della pastorale) e il consiglio pastorale diocesano sono indispensabili strumenti di mediazione pastorale tra la diocesi e la frammentazione del suo territorio nelle cellule vitali delle parrocchie.
 
            Un legame particolare invochiamo tra le parrocchie e il nostro seminario. La preghiera del popolo di Dio si innalzi perché il Signore non faccia mancare alla nostra chiesa giovani generosi disposti a servirlo nella santa via del sacerdozio.
 
            La comunione e il servizio caratterizzino l'intera vita delle parrocchie nella manifestazione dei molteplici carismi che lo Spirito vi suscita.
 
            Gruppi, movimenti e associazioni che sono presenti nelle parrocchie hanno già fallito la loro missione se non si "lavano i piedi gli uni gli altri" nel dono pasquale della pace che Gesù ha lasciato ai discepoli nel cenacolo.
 
            Essi sono chiamati a mettere a disposizione i propri talenti per l'edificazione della comunità, senza invidie, gelosie e divisioni, le quali sono "figlie del diavolo".
            Dinanzi alla tentazione di una deriva intimistica che attraversa il popolo credente e relega la fede nel privato, essi hanno l'alto compito di manifestare l'indole comunionale della Chiesa dentro e fuori la parrocchia.
 
            Infatti "per vivere nello Spirito di Cristo bisogna rimanere nel suo Corpo" (S. Agostino, Ep. 185,11).
 
            Saranno gli organi di partecipazione della parrocchia, in particolare il consiglio pastorale, sotto la guida del parroco, a coordinare la loro azione pastorale e quella di tutte le realtà parrocchiali (congregazioni, confraternite) secondo il carisma di ognuno, che resterà sottomesso a quello fondante dell'unità nell'amore. "A ciascuno infatti è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune ...Ma tutto si faccia per l'edificazione" (1 Cor 12-14).
           
            L'azione pastorale delle parrocchie è faticosa perché è "a tutto campo", si rivolge cioè a tutti, a ognuno secondo il proprio stato, età e condizione.
 
            Qual è il criterio preferenziale da seguire nella destinazione delle proprie forze? Sicuramente la povertà evangelicamente intesa: povertà di chi è senza amore, senza fede, senza diritti, senza valori, senza pace, senza verità, senza salute; e infine senza denaro. In questo senso la scelta per i poveri non è preferenziale, ma obbligatoria; e la carità, assistendo tutti secondo le possibili risorse umane, innanzitutto li amerà.
 
            Questa povertà, ai nostri giorni, sembra colpire particolarmente due realtà: i giovani e la famiglia.
           
            Tutti abbiamo una grande responsabilità: trasmettere alle nuove generazioni i valori spirituali della nostra tradizione cristiana, "per rispondere adeguatamente ad una sete di senso che pure si è manifestata" (C.E.I, Comunicare il Vangelo..., n.51) ad esempio nelle Giornate mondiali della Gioventù.
 
            Inoltre "Se non sapremo trasmettere ai giovani un'attenzione a tutto campo verso tutto ciò che è umano – la storia, le tradizioni culturali, religiose e artistiche del passato e del presente – saremo corresponsabili dello smarrirsi del loro entusiasmo, dell'isterilirsi della loro ricerca di autenticità, dello svuotarsi del loro anelito alla vera libertà" (Ibidem).
 
            La parrocchia può ancora fare molto per loro, anche se l'organizzazione del loro tempo libero in gran parte ormai gli sfugge.
            Difficile è trovare laici adulti disponibili a spendersi per i giovani; questo indica che il mondo degli adulti ha ancora troppi pregiudizi nei riguardi del mondo giovanile.
 
            Ci sia una maggiore disponibilità alla comprensione e al dialogo con i giovani, e cresca il numero degli animatori giovanili disposti a ben formarsi per una così impegnativa opera.
 
            La formazione di generosi operatori pastorali è importante anche per una nuova attenzione da portare alla famiglia. Essa è l'ambiente educativo e di trasmissione della fede per eccellenza. Questo compito tuttavia è fortemente frenato dal contesto sociale odierno, in cui il dialogo è difficile e i ritmi di vita sono troppo accelerati.
 
            La parrocchia può offrirsi come luogo in cui la famiglia ritrova una sua dimensione di incontro e di unità.
 
 

QUADRO VII
"Sapendo queste cose,
sarete beati
se le metterete in pratica"


 

13. Vivere la beatitudine
della testimonianza


            Andiamo a concludere queste riflessioni del nostro piano pastorale. Ci ha guidati l'immagine di Gesù chino a servire i discepoli. Il suo amore sino alla fine ci spinge a chiedere un nuovo impegno nelle parrocchie.
 
            La tentazione più grave, in cui cadono le forze vive del laicato, è quella di scegliere l'esodo dalla parrocchia per cercare maggiore vitalità e formazione altrove. Il laico che abbandona la parrocchia la priva di un dono.
 
            Piuttosto che abbandonare la parrocchia restiamoci dentro ad animarla, vivificarla, ripensarla con amore.
 
            Leggendo questo scritto si potrebbe pensare arduo il cammino proposto. Crediamo che proporre tre priorità possa essere utile per iniziarlo. Ci spingono le parole di Gesù: "Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica" (Gv 13,17). Non possiamo dunque soltanto "sapere", dobbiamo anche "mettere in pratica", testimoniare.
            Il Signore che non abbandonò il profeta Elia stanco ed affamato non farà mancare a noi il suo aiuto.
 

14. L'accoglienza


            Questa è la prima delle priorità.
 
            L'accoglienza è il primo gesto concreto dell'ospitalità.
 
            Essa consiste in piccole cose da fare (le informazioni utili all'ingresso della chiesa, gli ambienti ben disposti), ma soprattutto in gesti d'amore.
 
            Si promuova la ministerialità dell'accoglienza individuando quei fedeli che, spinti dalla carità di Cristo, per un dono suo, sanno farsi volto amico, voce rassicurante, sorriso benevolo per quanti si  accostano alla "soglia" della chiesa. 
 
            In senso più ampio l'accoglienza è un atteggiamento da coltivare in tutti, facendo cadere i muri del pregiudizio e di ogni privilegio. Questo dono è tanto più importante in una realtà ormai multietnica, multilinguistica e multireligiosa.
 
 

15. L'Ascolto


            L'accoglienza si fa ascolto, e quindi dialogo, comunicazione vera.
 
            Ascoltare è uscire dalla paura che può generare l'intelligenza, la cultura e le sensibilità degli altri. E' accogliere ogni diversità come un dono, e non come un ostacolo.
 
            Non manchino in ogni parrocchia i centri di ascolto Caritas.
 
            Siano debitamente formati i volontari dell'ascolto, accolgano con amore, sappiano entrare nel cuore dei fratelli e delle sorelle e li aiutino a prendere coscienza che vera povertà è non amare, non vivere secondo Dio, non avere una coscienza retta. Solo così è possibile iniziare il cammino del ritorno.
 
            Alla scuola di Gesù Maestro, come abbiamo già detto, la parrocchia troverà nella Parola di Dio la guida sicura.
 
 

16. L'Annuncio


            L'accoglienza e l'ascolto sono essi stessi già un annuncio e una prima forma di evangelizzazione. L'amore infatti ha dentro di sé la forza stessa del Vangelo che tocca i cuori e li rivolge a Dio.
 
            Paolo apostolo, consapevole di questo suo primo impegno e dovere di apostolo, ha scritto: "Guai a me se non predicassi il Vangelo" (1 Cor 9,19).
 
            Ricercare e sperimentare forme inedite di evangelizzazione, sfruttando tutti i moderni strumenti di comunicazione, è l'assillo che deve guidare la nostra chiesa nell' areopago dei tempi moderni.
 

17. La speranza,
compagna inseparabile
dell'azione pastorale


            Vi ho scritto, figli diletti, con il mio affetto paterno per voi.Ma quali che siamo, la vostra speranza non sia deposta in noi. Da vescovo, mi abbasso a dire questo: voglio rallegrarmi di voi, non essere esaltato. Non mi congratulo affatto con chiunque avrò scoperto che ripone in me la speranza: va corretto, non rassicurato; deve cambiare, non è da incoraggiare... La vostra speranza non sia riposta in noi, non sia riposta sugli uomini"( Agostino, sermone 340).
 
            Ancoriamo la nostra vita alla speranza, diamo luminosità e prospettiva di salvezza all'orizzonte della storia umana.
            Senza la speranza tutta l'azione pastorale rimane sterile, il nostro credo nel Signore Risorto privo di significato.
 
            "Senza la speranza noi saremmo non solo uomini infelici e degni di compassione, ma tutta la nostra azione pastorale diverrebbe infruttuosa; noi non oseremmo intraprendere più nulla. Essa è più forte delle ripetute delusioni e dei dubbi faticosi perché attinge la sua forza ad una fonte che, né la nostra disattenzione né la nostra negligenza, possono portare all'esaurimento.
            La sorgente della nostra speranza è Dio stesso, che mediante Cristo, una volta per tutte, ha vinto il mondo" (Giovanni Paolo II, Discorso ai vescovi dell'Austria in occasione della visita "ad limina" (06.07.82),: AAS 74(1982),1123).
 

18. conclusione


            E' la parrocchia, ne siamo ancora convinti, il luogo in cui rispondere alle grandi sfide del nostro tempo. Non abbiamo formule magiche. Ci sforziamo innanzitutto di capire. Un Piano pastorale è anche questo.
           
            D'altronde cosa dice il Papa nella Novo Millennio Ineunte?: "No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!
            Dunque "il programma c'è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare per vivere in Lui la vita trinitaria, e trasformare con Lui la storia, fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste"(NMI 29).
 
 

INVOCAZIONE ALLA VERGINE DEL CENACOLO


 

O Vergine Maria,
o cuore amorevole di Madre,
tu che a Nazaret hai accolto la Parola
che nel tuo seno si è fatta carne,
ottieni alle nostre parrocchie
dall'Emmanuele figlio tuo,  la grazia
di divenire casa ospitale ed amica,
grembo materno che accoglie la Parola,
la incarna nella vita di ogni giorno,
la serve con amore.
Sperimentino, o Madre,
le nostre parrocchie
lo Spirito del cenacolo
risuoni in esse il cantico di lode
e di ringraziamento,
celebrino nella gioia e nella comunione
la divina Eucaristia,
sperimentino la forza e il dinamismo misterioso dello Spirito
nell'esercizio della carità.
O Vergine del cenacolo,
fà che le nostre parrocchie
diventino luoghi di formazione umana,
teologica, cristiana,
vere comunità accoglienti e in ascolto
dei bisogni dell'uomo in situazione.
Benedici, o Maria, il nostro impegno
ad operare con passione
per il rinnovamento della parrocchia,
e ogni battezzato con il tuo soccorso
e sul tuo esempio
possa diventare, o Maria,
corresponsabile del mistero di salvezza.
Siano le parrocchie scuole di fede
in cui si accoglie
si ascolta
si annuncia
l'Amore del cristo Risorto.
Gloria a Lui nei secoli dei secoli.
Amen.
 
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