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Domenica delle Palme PDF Stampa E-mail
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domenica 04 aprile 2004
Liturgia della parola:
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23-56

“Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (Lc 19,38)

è il saluto che si accompagna agli osanna del popolo che accoglie festosamente Gesù.
I fanciulli agitano rami di ulivo e palme, i giovani stendono i mantelli al passaggio del Re Messia, che fa il suo ingresso trionfale in Gerusalemme a cavallo di un asino.
Questa scena di trionfo, questo tripudio di gioia, questo corale sentire per accogliere Gesù è come un lampo che squarcia di luce il cielo già buio per l’addensarsi delle nubi della passione.
I capi dei giudei hanno deciso di mettere a morte Gesù.
Lo reputano un sobillatore, un soggetto pericoloso, un sovvertitore della Legge mosaica.
Hanno un piano per catturarlo ed hanno trovato tra gli amici di Gesù uno disposto per denaro a tradirlo.
Nel tribunale chiamato a giudicare Gesù tutto è un imbroglio, è come se si recitasse una farsa, una commedia a soggetto dove i protagonisti recitano la loro parte dietro suggerimento.
Gesù è lasciato solo, in balia di gente cattiva e malvagia, desiderosa solo di liberarsi di Lui al più presto.
Dov’è la folla che l’applaudiva?
Dove sono tutti coloro che Egli ha beneficato, guarito, risuscitato da morte?
La folla c’è; una folla drogata da capi senza scrupoli che grida ebbra di sangue: Crocifiggilo! Crocifiggilo!
Dalla gloria al patibolo il passo è breve.
Cristo percorre sotto il peso della croce lo spazio che va dal tribunale al Calvario, dove l’attende la morte crudele riservata agli schiavi: la morte in croce.
L’incontro pietoso con le pie donne e la madre, il sollievo della croce portata per un tratto dal Cireneo sono il viatico verso il Calvario appesantito dalle urla, dai lazzi, dalle bestemmie, dalle frustate della soldataglia.
“Quando sarò innalzato tra cielo e terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32)
Quelle braccia spalancate sul mondo sono il segno di un amore che la morte non potrà spegnere, anzi il crocifisso diventerà per chi crede il segno più forte e più concreto dell’amore.
C’è tutta l’umanità di Cristo nel grido di dolore che prorompe dal suo cuore ferito dall’ingratitudine e dall’odio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34).
Il calice amaro della passione è da bere fino in fondo;
Gesù sperimenta l’abbandono totale: è l’ora delle tenebre.
Quell’ora suprema per cui il Verbo eterno del Padre si è fatto uomo, ha posto la sua tenda in mezzo a noi, è l’ora delle tenebre che diventa, e questo è il paradosso, l’ora della nostra salvezza.
“Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito” (Lc 23, 46).
Tutto si è compiuto e Cristo, chinato il capo, muore.
La terra trema, il velo del tempio si squarcia.
L’uomo-Dio Cristo Gesù è posto nella tomba.
 
Adoreremo la croce, staremo anche noi a vegliare davanti a quella tomba,
poiché all’alba del terzo giorno anche noi, come gli angeli, vogliamo annunciare l’unica verità che salva.
Cristo è risorto!
A questa verità ci porta la Settimana Santa
che oggi iniziamo a vivere con fede e con amore.
 
O Gesù dolcissimo,
il tuo volto sfigurato,
le tue membra inerti
giacciono nel sepolcro.
Io ti adoro, Signore Gesù,
morto per me.
Quella tomba
dove ti hanno deposto
non dice disperazione.
Essa rappresenta
il luogo da cui parte
la nostra fede in te,
amatissimo Dio con noi.
Vogliamo seppellire
il nostro egoismo
gretto e meschino,
le nostre miserie,
il nostro peccato,
la nostra incapacità di amare,
di perdonare,
di servire la causa del bene.
Risorgeremo con te,
Dio della vita,
nella volontà di crescere nel bene,
di puntare decisamente alla santità,
di fare del bene sempre,
a tutti e dovunque.
Amen.

 
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