Piano Pastorale 1998-1999
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martedì 01 settembre 1998
Sul Tabor per sperare

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Carissimi fratelli e sorelle, figli e figlie della santa Chiesa di Dio che è in Trapani,
sono contento di avere iniziato con voi quel tratto di cammino che il Signore, nella sua infinita bontà e sapienza, ci darà di vivere, cammino ritmato dall'ascolto e dalla contemplazione dell'eterna Parola, dalla celebrazione dei divini misteri, dall'esercizio quotidiano del servizio e della testimonianza della carità.

Alla Trinità santissima va l'adorazione, il ringraziamento, la lode e la gloria per la grazia della comunione ecclesiale cui siamo chiamati fin dall'eternità.

Crediamo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, nostra madre e maestra. Amiamo la Chiesa culla della fede, tempio vivo dello Spirito Santo, generatrice di santi, santa e insieme bisognosa di purificazione, campo di Dio in cui cresce l'amore, la gioia, la vita vera. Serviamo la Chiesa edificio di Dio la cui pietra angolare è Cristo unico salvatore dell'uomo ieri, oggi e sempre. Offriamo alla Chiesa fedeltà, impegno, generosità, zelo. Costruiamo la Chiesa attraverso l'esercizio della ministerialità di cui, in forza del battesimo, siamo stati arricchiti.

Vigila su di noi, materna, Maria di Nazaret, che ci ha dato il sole di giustizia, Cristo redentore, lei Odigitria, solerte nell'indicarci la via che è Cristo, lei immacolata regina del cielo e della terra, "umile e alta più che creatura termine fisso d'eterno consiglio".

Al Convegno Ecclesiale di Erice, lo scorso agosto, Dio ci ha donato un tempo d'intensa comunione; da esso riceviamo forti spinte e numerosi indizi per l'azione pastorale del nuovo anno.

Desidero ora raccogliere alcune indicazioni lì emerse che indirizzino la nostra azione pastorale, guardando ancora all'icona evangelica da cui, nel Convegno, ci siamo lasciati illuminare.


L'Icona del Tabor


L'avvenimento appartiene al secondo periodo del ministero pubblico di Gesù. I tre sinottici trasmettono il racconto (Mt 17,1-9; Mc 9,2-10; Lc 9,28-36) con delle differenze e lo pongono tra la confessione messianica di Pietro (Mt 16,13-20; Mc 8,27-30; Lc 9,18-21, che segna una svolta nel ministero di Gesù), la prima predizione sul destino del Figlio dell'uomo (Mt 16,21; Mc 8,31; Lc 9,22), le condizioni per seguire Gesù (Mt 16,24-28; Mc 8,34-9,1; Lc 9,23-27) e la guarigione del fanciullo indemoniato (Mt 17,14-21; Mc 9,14-29; Lc 9,37-43) e il secondo annuncio del destino del Figlio dell'uomo (Mt 17,22; Mc 9,30-32; Lc 9,44-45). L'autore della 2 Pt 1,16-18 se ne serve per rinsaldare la speranza dei cristiani nella parusia. Il tema è conosciuto anche dalla letteratura apocrifa (Apocalisse di Pietro 15-17; Atti di Pietro 20; Atti di Giovanni 90; Atti di Tommaso 143). Nella riflessione patristica, sia orientale che occidentale, e medievale la trasfigurazione è presente con grande rilievo come tema teologico, cristologico, spirituale, iconografico e liturgico. Ognuno dei tre racconti dei vangeli evidenzia degli elementi comuni alla tradizione (la montagna, la gloria, Mosè ed Elia, le tende, la nube) e delle differenze che manifestano alcune caratteristiche proprie di ogni evangelista.

Il commento esegetico si riferisce alla narrazione della Trasfigurazione di Luca (9, 28-36).

Gesù insieme ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sale sul monte. L'evangelista non si interessa alla localizzazione né al rilievo (alto = Mc 9,2), anche se la tradizione posteriore, dal-l'inizio del III sec. in poi, lo ha identificato con il monte Tabor in Galilea. Il monte, esprime la vicinanza con Dio, nell'Antico Testamento è il luogo della rivelazione per eccellenza, in cui Mosè ricevette le tavole della legge (cfr. Es 31,18) e dove Elia stesso salì (cfr. 1Re 19,8). Per Gesù il monte è anche il luogo della preghiera solitaria e notturna: "Se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione" Lc 6,12. Per Luca l'intenzione di Gesù non è di manifestarsi ai discepoli, ma di pregare: la preghiera precede ed introduce la trasfigurazione (cfr. v. 29: "mentre pregava"), che scaturisce da questo rapporto intimo con il Padre. In questo vangelo la preghiera costituisce il momento appropriato e privilegiato per le manifestazioni divine, infatti con la sua preghiera Gesù si pone alla presenza di Dio e ne riflette la Gloria (cfr. Il battesimo: 3,21).

Il momento della trasfigurazione è presentato dall'evangelista non con il verbo usato dagli altri due sinottici che significa "avere una metamorfosi" (cfr. Mt 17,2; Mc 9,2), probabilmente perché tale espressione poteva essere dai suoi lettori, provenienti dal paganesimo, intesa come le metamorfosi delle divinità pagane. L'espressione usata, invece, "il suo volto cambiò d'aspetto" (letteralmente: "l'immagine del suo volto divenne altra") sembra richiamare il linguaggio con cui la Scrittura descrive l'esperienza di Mosè: "quando scese dal monte Sinai... non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui" (cfr. Es 34,29-30).

L'ulteriore descrizione del colore delle vesti richiama il linguaggio apocalittico. Il colore bianco candido e sfolgorante simboleggia, infatti, la condizione celeste, riflesso della divinità e della Gloria (cfr. Dn 10,6; 12,3; Ez 1,4.7; Ap 2,17; 6,2).
La presenza di Mosè ed Elia probabilmente richiama la legge e i profeti (Antico Testamento), che trovano in Gesù il loro compimento. Si possono anche considerare profeti escatologici in relazione o alla fine dei tempi o alla venuta del Messia e quindi la loro presenza indicherebbe l'arrivo dei tempi messianici. Luca non si accontenta di riferire che Mosè ed Elia parlavano con Gesù, ma dà anche il contenuto della loro conversazione: "la sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme" (cfr. 9,31). Il termine "dipartita" (letteralmente: "esodo"), cioè uscita, partenza, evoca l'esodo biblico che anche Gesù deve compiere per realizzare il piano di Dio (morte, resurrezione ed ascensione) a Gerusalemme, luogo che Luca propone come centro della storia della salvezza: punto di arrivo della vicenda di Gesù (cfr. Lc 9,51-24,53) e punto di partenza della vita della Chiesa (cfr. Atti degli Apostoli).

La reazione dei tre testimoni è una lotta contro il sonno (cfr. v. 32) che potrebbe indicare un "sonno teologico", cioè la loro inintelligenza e lentezza di cuore nel credere (cfr. 24,25) e che solo il Risorto potrà allontanare. Incomprensione che viene ancora più evidenziata dalle parole di Pietro: "Maestro è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia" e dal commento dello stesso evangelista: "Egli non sapeva quel che diceva".

Probabilmente viene usata la parola "tenda" perché ha un valore religioso, nell'Antico Testamento greco infatti traduce la tenda dell'Arca, nel deserto, dimora di Dio in mezzo al suo popolo durante l'esodo, prefigurazione della sua futura e definitiva abitazione tra gli uomini. Potrebbe anche richiamare le capanne nelle quali gli israeliti abitano durante una settimana in occasione della festa dei tabernacoli: ricordo dell'esperienza dell'esodo (cfr. Lv 23,42) e speranza estesa ai popoli (cfr. Zc 14,16-19). In questa proposta di Pietro vi può essere inoltre un'allusione alle tende celesti (cfr. 16,9) per trasferire sulla terra la dimora che i giusti hanno nelle "tende" del mondo futuro.

La risposta divina alla proposta di Pietro viene con la nube che li avvolge e la voce del Padre. La tenda ha la funzione di riparare, la nube viene ad "adombrare"; la tenda è tessuta dalle mani dell'uomo, la nube è di origine celeste; la tenda immerge nell'oscurità, la nube è "luminosa" (cfr. Mt 17,5) e richiama il simbolismo dell'Antico Testamento dove è segno della presenza invisibile di Dio e della sua Gloria (cfr. Es 24,15-18; 40,34-38; 1Re 8,10-12; Ez 10,3-4). Il valore simbolico della nube può essere precisato ulteriormente perché essa non ricopre soltanto i tre personaggi, ma anche i tre testimoni, ciò dimostra che i discepoli non sono soltanto spettatori, bensì implicati in un avvenimento che certamente li supera e tuttavia li riguarda.

La voce divina: "Questi è il figlio mio, l'eletto" (cfr. v. 35), differentemente da quella del battesimo (cfr. 3,22), in cui si rivolge a Gesù con la seconda persona, si esprime qui in terza persona. Mediante la combinazione di due citazioni (cfr. Sal 2,7 e Is 42,1) sono affermati due titoli di Gesù che sintetizzano ciò che la scena della trasfigurazione ha messo in luce: lo stretto legame tra la gloria che compete a Gesù e la necessità di passare attraverso la sofferenza. "Il mio figlio" rivela qualcosa sul mistero della sua persona in rapporto con Dio Padre che lo manifesta nella "sua gloria" vista dai tre discepoli. "L'eletto" vuole, invece, suggerire il titolo caratteristico del servo del Signore chiamato a soffrire.

L'imperativo "Ascoltatelo" insegna l'atteggiamento che l'uomo deve assumere nei confronti della missione evangelizzatrice del Salvatore. Nella tradizione biblica il verbo "ascoltare" ha una densità di contenuto che non si riscontra nella nostra lingua, infatti non si tratta solo di "dare ascolto" a quanto dice il Figlio di Dio, ma soprattutto di "prestare obbedienza" a tutte le sue parole (cfr. Dt 6,4-9). La formula "ascoltatelo" si ricollega probabilmente a quanto detto per il profeta della fine dei tempi "pari a" Mosè (cfr. Dt 18,15). Alla luce di questi rilievi si comprende più chiaramente che ciò che Gesù comanda è voluto da Dio, è espressione della sua volontà e di conseguenza esige piena obbedienza da parte dei discepoli.


Il Piano Pastorale

1. La scelta di assumere nel Convegno la prospettiva del "Progetto culturale", orientato in senso cristiano, coniugandola con l'attenzione alla vita secondo lo Spirito di Cristo, vale a dire la vita di ogni battezzato nella sua risposta alla chiamata alla santità si è rivelata assai fruttuosa.

Essa ci ha consentito di riprendere la rotta nella quale le Chiese d'Italia navigano dal 1995 dopo il Convegno di Palermo e nella quale già la Diocesi si era avviata dal '96.

Ci appare inequivocabile che la frattura tra la fede e la cultura, da tempo denunciata e adesso messa decisamente a fuoco, chiama la comunità dei credenti a una lettura sapienziale degli avvenimenti della storia. Tale lettura sarà nuova, in quanto logori sono i linguaggi e le forme nei quali ancora ci muoviamo e ci esprimiamo a più di trent'anni dal Concilio Vaticano II, alle soglie del terzo millennio. Ci sforzeremo di compierla alla luce dell'intramontabile Parola di Dio per ridare speranza all'umanità.

Per un nuovo modo di vedere e di agire, per un pensare nella fede si esige, però, una conversione del cuore e della mente, un'attenzione piena, oserei dire esclusiva, alla vita spirituale. Solo tale conversione dell'intera persona può dar luogo all'auspicata conversione pastorale, che noi, Vescovi della Chiesa che è in Italia, chiedevamo nella Nota pastorale seguita al Convegno nazionale di Palermo, Con il dono della carità dentro la storia, n. 23 (cfr. anche il Messaggio pastorale della C.E.Si Nuova Evangelizzazione e Pastorale n. 2), documenti, che raccomando alla vostra lettura meditata. Sembra ancor più indispensabile questo salto qualitativo nella terra di Sicilia, la quale detiene un patrimonio di cultura e di fede che non è lecito disperdere, una capacità di risalire la china che non ci è dato disattendere. Mi rifiuto di pensare la Sicilia con il cliché collaudato e propagandato di terra maledetta, con il marchio infame della mafia atea e assassina, della subcultura, del provincialismo ignorante e presuntuoso. Amo pensare la Sicilia solare, terra benedetta da Dio per le sue bellezze di natura, per le sue ricchezze d'arte, di storia e di fede, per la sua gente ricca di grande e calda umanità. I mali vecchi e nuovi di questa nostra terra richiamano la responsabilità della Chiesa: dobbiamo individuare le leve positive del nostro patrimonio culturale, senza snobbarlo e senza scimmiottare i modelli culturali più alla moda (cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli uomini di cultura, Catania, 4 Novembre 1994 e il Documento della Conferenza Episcopale Siciliana, Finché non sorga come stella la sua giustizia, Palermo 15 Maggio 1996).

2. Solo la vita nello Spirito di Cristo forma personalità forti e coraggiose, incanala le immense energie di bene nei sentieri della giustizia, della legalità e della fraternità. D'altra parte nel documento appena citato noi affermavamo che "per la nuova evangelizzazione e per il rinnovamento della società la prima e più necessaria risorsa sono uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori. Non basta aggiornare i programmi pastorali, i linguaggi e gli strumenti della comunicazione. Non bastano neppure le attività caritative. Occorre una fioritura di santità. Essere santi significa vivere in comunione con Dio, che è il solo santo, e, poiché Dio è carità, lasciarsi plasmare il cuore e la vita dalla forza della sua carità". In altre parole la nostra azione pastorale sarà efficace se tutti ci sforzeremo in ogni modo di tendere alla santità.

3. Se è vero che il Progetto Culturale non si identifica con la pastorale ordinaria della Diocesi tuttavia ne è l'humus, in cui matura e si sviluppa, le suggerisce uno stile e un metodo, rendendola attenta ai processi in corso. Se la prassi pastorale ci porterà a far tesoro di questi suggerimenti certamente acquisirà maggiore freschezza. Il Progetto Culturale di per sé è un processo dinamico di ricerca, di risposta, di proposta e di comunicazione, "teso a far emergere il contenuto culturale dell'evangelizzazione" (Progetto culturale orientato in senso cristiano. Una prima proposta di lavoro, a cura della Presidenza della CEI, n. 2). Esso mira a far prendere consapevolezza alla comunità cristiana della frattura tra la fede e la cultura dominante nel Paese, affinché si dia impulso all'opera di evangelizzazione della cultura e di inculturazione della fede. Da tale consapevolezza scaturisce una prassi pastorale capace di proporre la fede e la visione cristiana dell'uomo mediante esperienze e linguaggi significativi nell'odierno contesto culturale. Lo stile ed il metodo indicati sono quelli del "discernimento comunitario" (Una prima proposta di lavoro, n. 4) quale "espressione dinamica della comunione e metodo di formazione spirituale, di lettura della storia e di progettazione pastorale" (Con il dono della carità, n. 25). Avvertiti della frattura tra fede e vita, veniamo invitati a correggere e ripensare l'azione pastorale, che diversamente rischia l'irrilevanza (cfr. Evangelizzazione e testimonianza della carità, n 6).

La spiritualità come coltivazione della vita secondo lo Spirito del Risorto fa emergere la dimensione personale della risposta al dono divino, che è obbedienza al progetto di Dio, ascolto umile di "ciò che lo Spirito dice alle Chiese". Da una seria vita secondo lo Spirito di Cristo si sprigiona una creatività preziosa ed irrinunciabile per la vita della Chiesa. E chi di noi non si è nutrito con la lettura di grandi autori spirituali o non ha trascorso tempi di riflessione in luoghi e con persone che testimoniano con nuda forza l'Assoluto? Al Convegno stesso abbiamo voluto farne esperienza nella giornata di giovedì. Il giorno avanti le vibranti conversazioni di mons. Costanzo ci avevano richiamato i pilastri della vita secondo lo Spirito di Cristo: i sacramenti, vissuti come incontro personale con Dio in purezza di cuore, e l'ascolto della Parola, vissuto con una frequenza assidua e rispettosa dei testi.

4. Colgo il punto focale del rapporto tra il Progetto Culturale e la vita spirituale dei cristiani ed il loro contributo all'azione pastorale nel discernimento dei segni dei tempi. Esso è un atto complesso dell'intero popolo di Dio, che si compie attraverso un preciso cammino che la tradizione testimonia e la teologia delucida. Il Concilio aveva esortato a questo complesso e delicato atto del discernimento: "È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare attentamente, discernere e interpretare le varie opinioni del nostro tempo, e di saperle giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta" (Gaudium et Spes 44). Da uomini del nostro tempo, partecipi dei desideri, delle aspirazioni e delle esigenze dei nostri conterranei, siamo chiamati a leggere gli eventi della nostra storia mettendoli in relazione con i disegni di Dio. Questo non facile compito sapremo assolvere se saremo aperti e attenti alle tendenze di questa storia, intuendo le aspirazioni più diffuse e profonde dell'oggi, e, soprattutto, se saremo in sintonia con lo Spirito di Dio, il Quale ci guiderà a scoprire in che senso tali speranze e desideri sono un dono dall'alto e possono diventare strumento di grazia e redenzione per tutti. Conosciamo, è vero, l'ambiguità di tanti desideri del cuore dell'uomo, del nostro cuore, ambiguità che si riversa negli eventi stessi e che proviene dalle impurità che permangono in esso. Solo Cristo libera questo cuore da ogni schiavitù e noi, suoi discepoli, siamo chiamati a essere segno e strumento di quest'opera del Cristo portando innanzitutto la luce del discernimento del suo Spirito nel nostro e nel cuore di ogni uomo, per discriminare ciò che è buono da ciò che non lo è.

A questo discernimento ci apriamo fiduciosi a cominciare da quest'anno, ponendo subito in essere due condizioni indispensabili quali l'ascolto ed il dialogo, e coltivando due ambiti che ne sono in qualche modo conseguenza ma che contribuiscono ad affinarlo, la ministerialità e la formazione.

L'ascolto



5. Il Tabor, con il suo silenzio orante, è un evento di luce perché vi accade un dialogo che rimanda alla Pasqua. E' una manifestazione del Dio trino ai discepoli. È l'icona della Chiesa che cammina ogni giorno verso l'eternità beata con la sola luce che promana dal volto trasfigurato di Cristo risorto. Questo volto le si riflette ormai nella quotidianità storica, intrisa di gioie e dolori, di lotte e riconciliazioni, di quell'apparente ripetersi che nasconde, però, la potente guida divina e che lei sa individuare con sagace discernimento.

Discernere è vedere la storia con altri occhi, trasfigurata perché trasfigurati siamo noi, passati dalle tenebre alla luce di Cristo risorto. Affinché ciò sia possibile e abbia efficacia è necessario anzitutto l'ascolto. "Ascolta Israele, il Signore è il tuo Dio": un ascolto obbediente a Dio, del quale si riconosce l'azione nella storia.

Ecco l'inizio umile di un piano pastorale: l'ascolto come stile di Chiesa, come dimensione della fede, come risposta di carità, come ponte lanciato all'uomo chiuso nella solitudine devastante.

Mi sforzerò di promuovere una Chiesa che coltiva il ministero dell'ascolto.

Come avviene nella santa montagna, ascoltare richiede tacere, ricercare con determinazione il silenzio, aspettare i tempi di Dio nel suo manifestarsi per essere in grado di riconoscerlo anche nei modi in cui si manifesta. Sono convinto che non percepiremo le profonde aspirazioni del cuore umano se non udremo il loro grido in Dio, tramite Cristo. Ascoltare i problemi e le ansie del mondo senza essere immersi nella contemplazione ci trascina lontano dalla missione che ci è stata affidata, portando, infine, anche a tradire l'uomo stesso.

Siamo certi, infatti, e lo annunciamo, che solo in Cristo l'uomo ritrova se stesso. Al di fuori dell'ascolto contemplativo del Verbo scivoliamo in un attivismo pernicioso e in una miopia letale, che ci condurrà ad approntare mille iniziative, tutte sterili e vieppiù irrilevanti, oltre che ghettizzate.

È capace di ascoltare chi si allena al silenzio e al rispetto dell'altro; chi coltiva la meditazione e non ha paura di confrontarsi con la propria coscienza; chi opera un salutare discernimento alla luce della Parola di Dio; chi ama la verità che si presenta in molte sfaccettature, complessa; chi sa accettare la sfida del quotidiano scommettendosi con passione per l'affermazione dei valori veri; chi coltiva la speranza che, alla fine, il bene vincerà sul male; chi nella fede scommette tutto su Cristo visto, incontrato, toccato con mano; chi è capace di sognare ad occhi aperti un mondo più umano. Più fraterno, più giusto; chi con ottimismo sa coniugare vittorie e sconfitte senza mai abbattersi e si aggrappa alla potente mano di Dio; chi non si scoraggia e non demorde di fronte agli insuccessi subiti; chi fa delle beatitudini il proprio codice di vita.

Dagli antichi Padri del deserto al grande vescovo africano Agostino, da Bernardo a Teresa d'Avila, a Charles de Foucauld, una lunga ed ininterrotta tradizione testimonia che la capacità di ascoltare l'altro è proporzionale alla capacità di ascoltare noi stessi, di sapere entrare in noi ed ascoltare la voce di Dio che abita nell'intimo della nostra coscienza. Come dimenticare quella pagina dei Promessi Sposi, che descrive l'incontro dell'Innominato con il cardinal Federico: quell'uomo, crudele e rotto a tutti i vizi, si era aperto all'ascolto di Lucia, le cui parole nella notte avevano scavato in lui solchi profondi, dove adesso la parola del Cardinale può seminare speranza: "Quel Dio che tu cerchi è dentro di te".

Ascoltiamo l'uomo in Dio!

Il dialogo


6. L'ascolto apre al dialogo. Non abbiamo da portare avanti un nostro progetto, ma solo scoprire e seguire quello di Dio. Dio stesso, per altro, si rivela a chi si apre a Lui con docilità, anzi, egli sta alla porta e bussa. Con i tre discepoli del Tabor stiamo ritti dinanzi al Figlio, pronti ad incontrarlo sfigurato nella tragedia della passione dove Egli mostra noi a noi stessi: chiamati ad essere re, ma volendo ad ogni costo esserlo senza Dio e contro Dio, dobbiamo riconoscere che siamo quel Gesù di Nazaret presentatoci da Pilato: "Ecce homo". Come lo riconosceremo se non con gli occhi della fede? Incoronato caricaturalmente con rovi, munito con scettro di canna, deriso e umiliato, sfigurato fino a perdere ogni sembianza è l'uomo di ogni tempo e luogo che ha perso l'identità. Siamo spinti ad andare incontro a quest'uomo sfigurato perché investiti dall'alito dello Spirito nel mattino di Pasqua, dove incontriamo Gesù risuscitato dal Padre, assiso alla sua destra, Signore, trasfigurato per sempre; anche qui mostra a noi quel che siamo, nella fede, e quel che ogni uomo è chiamato ad essere, nella speranza: "Eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria " (Rm 8, 17). Al presente come Pietro, Giacomo e Giovanni, possiamo e dobbiamo vederlo glorioso nelle sembianze umili dello scorrere storico, possiamo vedere trasfigurata la quotidianità, perché insieme con lo Spirito la riportiamo nella scia di Gesù Risorto, nella sfera della sua azione.

Nel dialogo con Lui che conduciamo nei nostri cuori e che si manifesta, anche se non esclusivamente, nelle celebrazioni liturgiche, prime fra tutte quelle sacramentali, non solo lo contempliamo e ascoltiamo, ma lo supplichiamo portando a Lui il grido dell'umanità, lo imploriamo di intervenire, di alleviare, di illuminare: è un incontro sponsale!

La celebrazione eucaristica è il più grande incontro che ci sia concesso sulla terra: abbandonata ogni cosa, seguiamo Gesù nell'offerta al Padre, portando l'intera umanità con noi; ne usciamo ricchi di quel che il mondo avidamente cerca.

Il colore pasquale del dialogo, di cui parliamo, ammonisce che è un dono sia il dialogo con Dio sia quello con l'uomo. Nella sua infinita bontà Dio si apre all'uomo di sua iniziativa, senza che questi possa esigerlo; l'uomo riceve questa rivelazione divina come un dono umilmente accolto. È vero, Dio non viola la libertà umana, ma solo l'uomo può aprirgli le porte del suo cuore. Allora ripeto con il Pontefice: "Aprite, anzi spalancate le porte del vostro cuore al Cristo". Anche il dialogo tra uomini è un dono, dal momento che uno dei partner si può rifiutare o può mentire ingannando; sappiamo quanto sia difficile conquistare la fiducia dell'altro e quanto sia delicato mantenere i rapporti in sincerità e trasparenza. L'affidabilità di un uomo, pur sempre limitata, si fonda esclusivamente sulla tensione di questi verso la verità, cioè sulla rettitudine. Con l'umiltà della Vergine di Nazaret, donna dell'ascolto, rendiamo puro e umile il nostro cuore, perché Dio non disdegni di rivelarsi e perché l'uomo non tema di aprirsi. A noi, Chiesa di Dio in Trapani, la responsabilità di ascoltare e dialogare in Dio in parrocchia, in famiglia, nelle aggregazioni ecclesiali, ma anche con i responsabili della cosa pubblica, con istituzioni ed organizzazioni di ogni genere che lavorano per qualificare l'esistenza umana!


7.  L'ascolto e il dialogo abbisognano di momenti e luoghi particolari, dove ci si può incontrare più facilmente e dove il volto di Dio e degli altri si mostra più liberamente ad animi desiderosi di verità.

Nei luoghi della teofania, pertanto, siano curati l'accoglienza, il dialogo, la testimonianza con la parola e con la vita del Verbo visto e toccato con mano.

Penso ai Santuari mariani della Diocesi; penso ad Erice con la sua storia ultramillenaria scolpita nelle pietre, con il suo silenzio e la sua discrezione: c'è un progetto che si va delineando, La montagna del Signore, che necessita dell'impegno e delle energie di questa comunità diocesana pronta ad accogliere e coinvolgere altre componenti ecclesiali e non, soprattutto nel campo della formazione dei futuri presbiteri. Penso all'Eremo di sant'Anna, centro vivo di spiritualità, adatto a scolpire coscienze illuminate, orientate alla consacrazione totale a Dio nel servizio ai fratelli. Penso ai monasteri e ai conventi: non entri in essi il chiasso mondano, resti il silenzio a garanzia della vita religiosa, parli Dio all'uomo della tecnologia avanzata. Da questi luoghi della teofania verranno fuori i testimoni credibili del nostro tempo.

Alleniamoci al dialogo!


La ministerialità


8. Posti dinanzi a Cristo e agli uomini nel dialogo, siamo ammessi come Pietro, Giacomo e Giovanni al dialogo trinitario, scoprendo le profondità di Dio. Resi però umili e rispettosi della verità altrui attraverso la scuola del silenzio, siamo anche ammessi all'intimità degli uomini, e questo infine ci permette di scoprire la nostra identità. Ecco venir fuori i talenti, i carismi! Così l'atto del discernimento giunge alla sua fase cruciale, preparato da un lavorio che abbiamo lasciato compiersi in noi.

Affidato al popolo di Dio e sotto la guida dei pastori, il discernimento richiede lo sforzo di percorrere correttamente le tappe dell'ascolto e del dialogo. Solo così possiamo scoprire la chiamata di Dio per ciascuno di noi e ricevere il sostegno nella valorizzazione dei talenti scoperti e nel porre al servizio dei fratelli i carismi ricevuti.

L'esercizio della ministerialità consente di costruire una Chiesa secondo il volere di Dio, dove ciascuno nella verità di se stesso ha la possibilità di offrire agli altri il dono ricevuto. La guida del Vescovo e dei presbiteri, suoi collaboratori nel ministero pastorale, dà garanzia a tutti dell'armonizzazione dei carismi e dell'unità.

"Il carisma non è affatto un'arbitraria iniziativa del singolo all'interno della Chiesa. E' piuttosto la risposta suscitata dallo Spirito ad un bisogno concreto, una risposta incarnata nelle capacità personali, confortata dall'approvazione della Comunità e garantita dall'autorità dell'Apostolo. Il carisma autentico è essenzialmente a servizio della Comunità ecclesiale" (Giovanni Paolo II, Visita Pastorale, Mazara del Vallo, 8/5/93)

9. Esploda la vocazione alla ministerialità: a quella ordinata, a quella istituita, a quella di fatto!

Come non pensare alle vocazioni sacerdotali, indispensabili nel servizio alla comunione ecclesiale! Chiedo a tutti di tenere a cuore il Seminario, perché sia cenacolo di spiriti ardenti e abiliti i giovani a seguire il Cristo povero, umile e casto nella donazione totale del pastore che sacrifica la vita per le pecore. È richiesto al futuro presbitero che acquisisca una formazione umana robusta e matura, sostenuta da una preparazione culturale ampia e solida. Si curi la pastorale vocazionale, guardando tutti al Seminario come il Tabor da cui discenderanno nelle nostre comunità parrocchiali i presbiteri secondo il cuore di Cristo.

Ministri ordinati sono anche i diaconi: auspico che quanti sentono nel cuore il desiderio di servire il Signore e la Chiesa più da vicino nell'ordine del diaconato non si vergognino di farsi avanti, di chiedere aiuto per un discernimento che un'équipe educativa condurrà e che la comunità dei diaconi e degli aspiranti diaconi verificherà nella preghiera e nell'ascolto della Parola.

Non dimentico, certo, né intendo disconoscere la ministerialità laicale, prima fra tutte quella che si espleta nella vita matrimoniale. La casa di Nazaret è luogo emblematico di ascolto, dialogo, servizio reciproco e comunione. I silenzi di Maria, il suo sostare in adorante contemplazione del mistero, il suo camminare nella via della fede come i "poveri di Jahweh", la mostrano modello della santità che assume i tratti del quotidiano, della ferialità vissuta con amore. Anche la famiglia, come ogni fedele impegnato in attività secolari, svolge un ministero proprio fondato sull'ascolto, sul dialogo, e necessita a sua volta di continuo discernimento per muoversi nel ginepraio delle proposte di una società al limite della trasgressione continua. Nel chiasso del mondo la famiglia credente, il cittadino cristiano, il discepolo di Cristo, costruttore della società del nuovo millennio, devono ritagliarsi spazi di silenzio e di deserto per ritemprare lo spirito, ricevere luce e rispondere al progetto di Dio. "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore" (Ef 4,11-14).

10. Se prima richiamavo la creatività spirituale, che esprime la libertà dello Spirito anche nei confronti delle necessarie pianificazioni pastorali, è bene che adesso esprima la mia obbedienza allo Spirito, il quale soffia come vuole e quando vuole, e non è certo appannaggio esclusivo dei Vescovi o di un solo Vescovo: sono pronto ad accogliere chiunque si faccia avanti per iniziare con lui il cammino del discernimento, secondo la parola dell'Apostolo: "Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (1 Tes 5,19-21).

La Parola di Dio ricorda che l'autentico discernimento ecclesiale conduce all'unità e all'armonia, sotto la guida degli Apostoli, per quanto umile e limitata sia la loro persona.

"Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4,15-16). La libertà personale, che mette a frutto i talenti ricevuti, e la coralità di un popolo, condensata e rappresentata nell'istituzione, non sono affatto in opposizione, ma trovano l'equilibrio nel corretto funzionamento della disciplina ecclesiale. A tal proposito la mente corre ai diversi movimenti sorti da alcuni decenni nella Chiesa, e presenti in Diocesi, i quali hanno ravvivato la fede di molti, ma sono anche maturati in obbedienza al Magistero, correggendo qualche stortura che arrecava danno al popolo di Dio.

11. Nella cospirazione all'unità ed all'armonia la parrocchia è segno di comunione, è cellula vitale del Corpo mistico, non certo superata, ma nemmeno sganciata o contrapposta alle altre parrocchie. Anzi per fronteggiare più adeguatamente alcune problematiche, che per loro natura superano le dimensioni parrocchiali, dovrà farsi strada lo strumento dell'interparrocchialità, attraverso cui l'armonia delle parti segnerà lo stile della nostra Chiesa. Con un raggio ancora più ampio le zone pastorali, coordinate da un vicario episcopale, tenteranno di innescare un processo virtuoso che porti la comunità diocesana ad uno stile sinodale, con l'auspicio, se Dio vorrà, di un sinodo per la nostra Chiesa.

Esploda la ministerialità nella nostra Chiesa particolare!


La formazione


12. Chiamati a non rimanere fanciulli, ma a crescere nell'uomo interiore con la forza dello Spirito, ci è necessario curare la formazione spirituale e culturale di ogni membro del Corpo di Cristo. Il cammino costante e non ostacolato della fede conduce a tale crescita. Con gioia vediamo sacerdoti e laici che avvertono il bisogno pressante della qualificazione teologica, indispensabile per quel pensare nella fede che è richiesto dal Progetto Culturale. Lo studio della teologia non solo non diminuisce o ostacola il cammino spirituale, ma anzi lo irrobustisce mettendo in grado ciascuno di rendere ragione della speranza che è in lui. La teologia infatti è intelligenza della fede, che abilita il credente ad un servizio più qualificato nella Chiesa.

È ricchezza della nostra Chiesa l'esistenza dell'Istituto di Scienze Religiose e di scuole di formazione teologica e biblica.

13. È opportuno ribadire il valore ineludibile dell'accompagnamento spirituale, non solo per i sacerdoti medesimi e i laici più impegnati, ma per ogni credente che vuole andare spedito verso il Signore rispondendo alla sua chiamata in qualunque condizione di vita. La volontà di Dio non è mai generica, ma ha un disegno per la persona nella sua imprescindibile singolarità: la santità è personale. L'accompagnamento spirituale assicura il discernimento per la persona singola della volontà di Dio su di lei; fermarsi solo ai momenti comunitari in fase recettiva e in fase attiva salta la fase più delicata del processo del discernimento, che porta il cristiano alla maturità di fede.

È necessario accentuare la valenza educativa della prassi pastorale sia nei momenti espliciti di iniziazione al mistero cristiano e di catechesi settoriale sia nelle celebrazioni e nelle iniziative pratiche.

14. Ci accorgiamo tutti, e ci è stato ricordato al Convegno di Erice, di dover favorire il passaggio da un impianto devozionale della fede del popolo di Dio, e della rispettiva cura pastorale ad esso rivolta, ad un impianto testimoniale della fede stessa, nutrito dalle celebrazioni liturgiche e dalla preghiera, educato dalla catechesi, operativo nella testimonianza della carità, sostenuto dal discernimento spirituale. A nessuno è lecito disprezzare l'impostazione devozionale della fede del nostro popolo. Un po' ovunque in Italia si sono avute frizioni tra il cattolicesimo cosiddetto impegnato, nato da gruppi, movimenti e associazioni, e quello popolare - devozionale; tali frizioni sono segno di una fase adolescenziale del processo: il nuovo modo di vivere il cristianesimo secondo una fede testimoniale nella sua fase nascente si pone in comprensibile discontinuità col vecchio. Da noi, penso soprattutto ai confratelli presbiteri e agli operatori pastorali, si richiede un equilibrio umano e una maturità di fede per essere guide sicure in un momento di passaggio come quello in cui viviamo.

La cura delle devozioni fu d'altronde la forza e l'originalità della pastorale in età moderna fino al nostro secolo, assicurando vincoli saldi e resistenti di appartenenza ecclesiale ad una larga fascia di persone. Adesso ci appare il limite di questa impostazione pastorale, ma è nostro compito lavorare per favorire il passaggio suddetto, evitando la riduzione ad un cristianesimo di élite. Oltre ad occuparci, con sforzo meritorio, degli "impegnati", di coloro cioè che la grazia di Dio conduce nei nostri ambienti attraverso mille strumenti, perché qualifichino la fede, non è perdere tempo dedicarci ad uno studio approfondito della nostra religiosità popolare, e a continuare le sperimentazioni concrete di fermento delle persone che si dedicano alle feste popolari in forma di Comitati, di Deputazioni, di Confraternite, di Ceti, perché finalmente si proceda con più decisione e accortezza al suddetto passaggio: penso alla Processione dei Misteri e alle iniziative simili della Settimana Santa e del Natale, come pure alle feste patronali e rionali. Non è un segno, su cui operare il discernimento, il fatto che tale religiosità costituisce ancora uno zoccolo duro, permettendoci di ascoltare e dialogare con un numero non indifferente di battezzati?

15. Nello sforzo del passaggio ad una fede meno intimistica e salottiera, meno privata e sdolcinata, e più robusta e consapevole, per il quale intendo spendere le mie energie, come vi ho detto più volte, chiamo tutti a fare corpo (la disgregazione è opera del diavolo che è spirito di divisione), per assumere ciascuno la nostra parte di responsabilità confidando in Dio. 

La sfida raccolta dalle Chiese italiane con il Progetto Culturale orientato in senso cristiano diventa anche la nostra sfida nel piano pastorale di quest'anno, secondo le linee di fondo di un progetto pastorale per la Chiesa trapanese che andrà precisandosi nell'anno a venire intorno ai valori della comunione e del dialogo, della nuova evangelizzazione e della speranza. Attraverso questi alti ideali evangelici intendo percorrere con voi la via maestra, unica, della santità, della vita secondo lo Spirito di Cristo. Se non imbocchiamo con decisione questa via maestra, la pastorale diocesana risulterà scialba, tiepida e farraginosa.

L'imperativo è la formazione alla santità!

Conclusione


16. Da molti si potrà pensare che avrei potuto scegliere per tema del mio primo piano pastorale argomenti o metodi di trincea, che mirassero a rimpinguare le esigue fila o a guadagnare alla Chiesa trapanese una maggiore visibilità. Non mancano modi e problemi per gettarsi nella mischia con clamore. Non credo che si debba cedere a facili mode, quanto piuttosto essere in piena sintonia con l'unico Maestro e Signore. Riconosco che sarà uno sforzo non semplice, a partire dagli stessi presbiteri, quello di guardarsi dentro, di rispondere con spirito di sacrificio all'azione dello Spirito che vuole andare in profondità, tagliando e purificando. Chiedo al Signore e, vi supplico, chiedetelo anche voi con me e per me di illuminare la mia guida, perché tramite essa sia assecondata l'azione divina e mai ostacolata da alcuna passione mia personale. Sono consapevole che debbo, e per altro lo voglio con tutto il cuore, sottopormi per primo al fuoco purificante, ma sanante dello Spirito. Questo e non altro è il privilegio, carissimi confratelli nel ministero, di partecipare intimamente all'ufficio pastorale di Cristo, strettamente e indissolubilmente uniti a lui dal sacramento dell'ordine: poter offrire la vita per il gregge. Vogliamo farlo solo a parole? La speranza del Tabor è quella del seme che caduto in terra porta frutto solo se muore; anzi, a sentire san Paolo la tribolazione del ministero è vita e speranza per gli altri: "In noi opera la morte, ma in voi la vita" (2 Cor 4,12).

Non con le parole, ma con l'operosità costante, anche se nascosta, diamo speranza all'uomo.

Troppo spesso quest'uomo, per sua natura lanciato verso un fine, non riesce a guardare al futuro con fiducia. Con amarezza costatiamo il rifiuto di andare avanti, di pensare alla sua rinascita e lo vediamo persino rinchiudersi nella mentalità del nichilismo e della morte. Annunciamo la luce della Pasqua, che contempliamo nel volto trasfigurato di Cristo, Luce del mondo: essa ci assicura che Dio sta lavorando con noi e in noi per il futuro dell'uomo. Egli ci viene incontro dal futuro, e fermenta il nostro presente perché ci apriamo al futuro. Da credenti ci rivolgiamo al futuro attratti da Colui che ci restituisce la verità di noi stessi, sollecitati dallo Spirito a ricercare sempre nuove dimensioni della "Verità che ci ha consacrati". Salendo sul Tabor faremo da specchio perché la luce di Cristo illumini ogni uomo. Per questo la Trasfigurazione ci invita alla speranza certa non disgiunta dalla vigilanza.

Vi esorto a sperare con me; la speranza non è un oppio, ma una virtù guerriera che ci mette dentro un ardore e una forza straordinaria. Colorate di speranza le associazioni e i movimenti ecclesiali, le comunità parrocchiali e gli impegni pastorali, i nostri paesi, la politica, l'economia, la vita civica.
Fratelli e figli carissimi, con il Cantico dei Cantici anche noi cerchiamo l'amato del nostro cuore e sentiremo nell'intimo risuonare la voce: "Alzati, amica mia, mia tutta bella e vieni".

Alzati, Chiesa di Trapani, sali sul Tabor, il tuo luogo di luce, di verità e di pace, per poter ancora e sempre sperare.

A Cristo Gesù trasfigurato, da cui riceviamo luce di verità, ardore di carità, ricchezza di speranza rivolgiamo la nostra preghiera:

O Gesù del Tabor, Signore della gloria,
vogliamo contemplarti,
desideriamo ardentemente ascoltarti.
Nel silenzio orante parla al nostro cuore
disponici al dialogo insegnaci ad amare e a perdonare
donaci ardore per la santità passione per il Regno.
Aiutaci a salire sul Tabor della verità, della giustizia e dell'amore.
Trafiggici con il tuo Spirito, conduci la tua Chiesa nei sentieri della speranza.
Trasformaci in segno luminoso della fede,
in Vangelo vivo, in messaggio di ottimismo e di serenità.
Muta i nostri cuori, modella le nostre menti,
ispiraci pensieri e propositi di santità,
guidaci a gustare l'estasi della comunione con la Trinità beata,
rendi Tabor le nostre famiglie,
concedi la grazia di gustare l'esperienza del Tabor al popolo santo di Dio,
al presbiterio,
al seminario,
ai monasteri e alle case religiose,
ai santuari mariani di questa Chiesa di Trapani che crediamo madre e maestra.
Facci Chiesa che cammina con coraggio per le strade del mondo
attenta al suo Signore e attenta ai fratelli,
Chiesa votata alla comunione,
consacrata per la missione,
generata dal tuo amore trasfigurante e glorioso
per varcare luminosi le soglie del 2000.
Certi del tuo aiuto,
forti della presenza della tua e nostra madre Maria,
icona dei credenti,
dalla quale imploriamo protezione e conforto,
saremo, con la tua grazia,
sul Tabor per sperare e canteremo riconoscenza, gratitudine, adorazione,
a Te, Gesù dolcissimo,
beatitudine di chi crede,
che vivi e regni con il Padre,
nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen

Vi benedico nel Signore


 

Schede di riflessione
Presentazione

Le schede che accompagnano il piano pastorale sono uno strumento di lavoro offerto a parrocchie, gruppi, movimenti e associazioni ecclesiali e a quanti sono impegnati in vario modo nella pastorale ordinaria della nostra Chiesa trapanese. Esse intendono:
  • manifestare ed esplicitare le dinamiche interne al piano sottolineando gli obiettivi e le vie per raggiungerli e ne costituiscono il necessario completamento;
  • supportare la riflessione su alcuni valori fondamentali della nostra vita di fede messi in crisi dalla cultura contemporanea;
  • spingere a maturare una consapevole opzione di fondo per Dio e a intraprendere la via esaltante della santità;
  • aiutare a colmare il fossato tra fede e vita.
Ogni scheda affronta una tematica del piano pastorale che si snoda su cinque parole chiavi ascolto - dialogo - formazione - ministerialità - speranza.
Auguro a questa nostra amata Chiesa di Cristo che è in Trapani di accogliere con animo docile e fedele il piano pastorale, "Sul Tabor per sperare" in quest'anno vigilare del grande Giubileo del 2000.
Possa essa, attraverso gli interrogativi di cui è correlata ogni scheda, sentirsi stimolata alla vera conversione della mente e del cuore, ardere di amore per la santità, esplodere nel desiderio, nella passione e nella tensione alla vita secondo lo Spirito di Cristo.

1. L'Ascolto
"Una Chiesa che coltiva il ministero
dell'ascolto" (r. c.* 7)

La rivelazione biblica è essenzialmente parola di Dio all'uomo. Ecco perché mentre nei misteri greci e nella gnosi orientale la relazione dell'uomo con Dio si fonda soprattutto sulla visione, secondo le Scritture la fede nasce dall'ascolto (Rm 10,17).Già essere creatura significa esistere per il pronunciamento divino di una parola (Gen 1), che ci costituisce fondamentalmente come esseri in ascolto, in attesa di un Dio che ci parla.Ascoltate, grida il profeta con l'autorità di Dio (Am 3,1; Ger 7,2).Ascoltate, ripete il sapiente in nome dell'esperienza e della conoscenza della legge (Prov 1,8).Ascolta, Israele, ripete ogni giorno il pio israelita per compenetrarsi della volontà del suo Dio (Deut 6,4).Ascoltate, riprende a sua volta Gesù stesso, la parola di Dio (Mc 4,3-9).Dandoci il Figlio unigenito, che è la sua Parola, Dio ci ha detto tutto.

Secondo il senso ebraico di verità, ascoltare, accogliere la parola di Dio, non significa soltanto prestarle attento orecchio, significa aprirle il proprio cuore (At 16,14), metterla in pratica (Mt 7,24), obbedire.Questa è l'obbedienza della fede richiesta dalla predicazione ascoltata (Rm 1,5; 10,14s).

L'uomo, però, non vuole ascoltare (Dt 18,16-19), ed è questo il suo dramma. È sordo agli appelli di Dio; il suo orecchio ed il suo cuore sono incirconcisi (Ger 6,10; 9,25; At 7,51).Ecco il peccato dei Giudei denunciato da Gesù: "Voi non potete ascoltare la mia parola... Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; se voi non ascoltate, è perché non siete da Dio" (Gv 8,43-47). Di fatto, Dio solo può aprire l'orecchio del suo discepolo (Is 50,5; 1Sam 9,15; Gb 36,10), "forarglielo" perché obbedisca (Sal 40,7s). Nei tempi messianici, quindi, i sordi sentiranno, ed i miracoli di Gesù significano che infine il popolo sordo comprenderà la parola di Dio e gli obbedirà (Is 29,18; 35,5; 42,18ss; 43,8; Mt 11,5).Da parte sua l'uomo è chiamato a capovolgere quest'attitudine di essere "non da Dio", questa errata prospettiva verso di sé, verso gli altri e verso il mondo; deve in altre parole convertirsi.Ascoltare è dono di Dio e, in risposta, decisione libera dell'uomo in vista dell'obbedienza.Senza questo capovolgimento è decisamente impossibile ascoltare e comprendere se stessi o gli altri; sarà sempre un ascolto alterato dall'io, che prepotentemente domina la scena e drammaticamente corre verso l'isolamento.

L'ascolto si compie nel silenzio dell'amore eterno del Padre per i suoi figli, nel quale egli dice: "Questi è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.Ascoltatelo".In questo silenzio ogni cosa è venuta alla vita.Nel silenzio Dio ci dichiara il suo amore: condurrò nel deserto la mia sposa per parlare al suo cuore (Os 2,16; Dt 8,2; 1Re 19; Mc 1,12s).Nel silenzio di Nazaret Maria conservava tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,19). Nel silenzio Gesù sta sulla montagna di notte, sta davanti ai giudici, sta sulla croce; e alla donna che esclama: "Beata colei che ti ha portato in grembo e allattato", risponde: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano" (Lc 11,27s).

Ascoltare Dio è accogliere Cristo e nello stesso tempo raccoglierci in lui.

Nel momento in cui decidiamo di ascoltarlo, sappiamo che Egli è là, segretamente presente.Ma in questo "segretamente" si nascondono tutte le difficoltà che ci attendono: questo silenzio pieno di Dio noi lo avvertiamo anzitutto come un vuoto, finché non saremo abituati a un capovolgimento completo del nostro modo di vivere.Siamo abituati a ricevere dall'esterno tutte le informazioni, in base alle quali dirigiamo la nostra vita; noi siamo ordinariamente rivolti alle creature, e a partire da esse riceviamo i dati che occupano la nostra mente; per il peso, poi, del peccato tendiamo a fermarci a queste.Dio non ci parla dall'esterno, ma all'interno; è necessario allora far compiere una piroetta alla nostra attenzione, se vogliamo ascoltarlo. E perché? Ma perché Dio, essendo nostro creatore, è più intimo a noi di noi stessi.

Ascoltare è arrestare la corsa di un'esistenza che si allontana sempre più dalla sua sorgente: "Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto" (Mt 6,6).

Questa conversione obbliga a rimettere ogni cosa a suo posto secondo il comandamento che riassume ogni altro: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutte le tue forze" (Mt 12,30).Rivolgendoci verso Dio, ritroviamo l'armonia nella quale siamo stati creati, riprendiamo il nostro posto dinanzi agli altri e, strappati all'isolamento, condividiamo in ogni nostra azione il progetto universale divino.

Mantenere mente e cuore nel silenzio: semplicissimo e insieme tanto difficile.Semplice, perché si tratta di non prestare ascolto ai rumori esterni (la città) ed interni (preoccupazioni, progetti, invidie, pigrizia, le mille cose); ci accorgiamo quanto è difficile non appena proviamo a tacere veramente cinque minuti bloccando le interminabili ore dedicate ad attività e discorsi.La difficoltà che avvertiamo dice proporzionalmente il nostro attaccamento alle creature piuttosto che al Creatore.Non bisogna illudersi che entrare nell'ascolto sia un gioco da ragazzi o mantenersi in esso sia scontato: è necessario decidersi.

ATTENZIONE
  • Spesso ci si trova con un processo di conversione non pienamente condotto a termine, non perfezionato nelle sue conseguenze, non coltivato nel tempo.
    Come si pensa di verificare la completezza della conversione?
    Conviene porsi la domanda se si sta seguendo il volere divino o quello proprio?
    Siamo convinti che la capacità di ascoltare l'altro debba presupporre la capacità di sapersi ascoltare?


  • L'ascolto investe la singola persona, la quale è inserita in un fascio di relazioni al di fuori della quale è inconcepibile.
    Come si pensa di favorire l'ascolto da parte della persona per se stessa, nella famiglia, nella parrocchia, nelle aggregazioni ecclesiali?
    Le nostre comunità sono luoghi in cui si ascolta?


  • Se non ci si da un programma, un minimo di regole, per quanto commisurate al proprio stato di vita, non si favorisce la scelta dell'ascolto.
    Come si pensa di rifare ordine nella vita personale innestata in quella sociale - comunitaria, trovando un giusto equilibrio?
    Si riesce a rispettare le priorità? In che modo coniugare nelle nostre comunità ascolto e silenzio, ascolto e discernimento?
    Come crediamo sia possibile attuare l'ascolto nelle relazioni familiari?


  • È forse bene ricordarsi di alcune pratiche (ascetiche, le si chiamava un tempo), intendendole però nel giusto senso, che non è quello di acquisire la perfezione qualora le si esegue puntualmente, ma di aiutarci a ricevere il dono gratuito di Dio, fornendo sostegni alla debolezza umana.
    In che senso la disciplina interiore dell'ascolto può diventare una forza operativa nelle comunità ecclesiali?

2. Il Dialogo
"L'armonia delle voci nel canto corale
è frutto della capacità dei singoli di ascoltarci l'un l'altro" (r. c. 8)

Convertiti e stabiliti nell'ascolto del Verbo incarnato, scopriamo la ricchezza delle profondità di Dio e del suo piano cosmico di comunione.Ci scopriamo uniti nell'incontro tra Dio e l'uomo in Cristo che costituisce la Chiesa.A partire dal dono pasquale ricevuto e conservato essa dialoga con Cristo e, in lui, con Dio e con gli uomini.A rendere possibile questo dialogo è lo Spirito effuso dal Risorto, il quale crea all'interno della Chiesa, vale a dire nel cuore dei credenti, quell'apertura necessaria al dialogo medesimo.Nella misura in cui la Chiesa è comunione di fede, di vita, di carità (cioè di Dio posseduto), è sacramento universale di salvezza; essa realizza e prolunga l'incontro di Cristo con gli uomini, per svelare a questi il loro mistero alla luce della rivelazione del Padre (GS 22; 92) e per servire alla loro liberazione da ogni egoismo e divisione.In ordine a questa funzione fondamentale di servizio salvifico degli uomini è per la Chiesa un dovere sacro accogliere i semi di verità sparsi ovunque dal Verbo, e riceverli come un prezioso apporto alla pienezza di Cristo (GS 44).Questo rapporto di recettività è costitutivo della Chiesa (Ecclesiam suam 60).

Il dialogo appartiene all'essenza stessa della Chiesa, come mezzo principale sia per attuare la comunione al suo interno sia per porsi nel giusto atteggiamento dinanzi ad ogni uomo.La Chiesa sarà autentica se si fa dialogo (LG 2); la sua cattolicità, che è la capacità e il dovere di incarnarsi in tutti i luoghi, in tutti i tempi, in tutte le realtà, implica la capacità e il dovere di accettare nel suo seno quanto di buono e di vero vi sia nelle differenze storiche degli uomini: ciò può essere attuato solo con il dialogo.

Quello di cui parliamo non è un dialogo qualunque, ma un evento puramente spirituale, cioè nello Spirito e per opera dello Spirito, il quale ne plasma la componente umana.Per accadere esso necessita da parte nostra di alcune condizioni, alle quali siamo tenuti perché la Chiesa compia la sua missione: uscire da se stessi per diventare disponibili; situarsi nel punto di vista dell'altro per comprendere; assumere su di sé il destino dell'altro; donare liberamente e gratuitamente la forza viva dello slancio personale; essere fedele; trattare l'altro come un soggetto personale, facendogli credito.L'amore s'indirizza al soggetto al di là della sua apparenza, vuole la sua realizzazione come persona, come libertà, quali che siano i suoi doni e le sue disgrazie.D'altronde la struttura stessa della persona è dialogale.Essa non è un ad se, ma è radicalmente tendenza verso un altro centro soggettivo.Il dialogo realizza quest'esigenza mediante l'intercomunicazione delle coscienze, per la quale l'altro vive in me e viceversa, in un dono reciproco del nucleo del proprio essere: "La vera vita è atto dialogico e comunione; è questo essere ed esprimersi insieme, per sempre" (Pasqualino).

Il dinamismo del dialogo è la carità, così come è emerso nel Concilio Vaticano II secondo le parole di Paolo VI: "La religione del nostro Concilio è stata principalmente la religione della carità.La religione del Dio che si è fatto uomo si è incontrata con la religione - perché tale è - dell'uomo che si fa Dio. L'antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio.Non sarebbe in definitiva questo Concilio un semplice, nuovo e solenne insegnamento ad amare l'uomo per amare Dio? Allora questo Concilio tutto si risolve nel suo conclusivo significato religioso, altro non essendo che un potente ed amichevole invito all'umanità di oggi a ritrovare, per via di fraterno amore, quel Dio dal quale allontanarsi è cadere, al quale rivolgersi è risorgere, nel quale rimanere è stare saldi, al quale ritornare è rinascere, nel quale abitare è vivere" (Discorso di chiusura del Concilio, 7 dicembre 1965).

La carità è dialogo di salvezza.

Questo dialogo prende l'iniziativa correndo ogni rischio, ma radicandosi nell'ascolto, nell'interiorità, dove si scopre il mistero dell'amore del Padre.Esso sorge indipendentemente dai meriti e dalla capacità di risposta di coloro ai quali è diretto e non pretende di imporre né di obbligare all'accettazione.Cerca piuttosto di illuminare, ponendosi accanto all'altro, per scoprire insieme il cammino proprio di ciascuno.Il dialogo di salvezza deve indirizzarsi a tutti senza discriminazione.Solo il rifiuto o la mancanza di sincerità dell'altro può legittimare la sua interruzione, ricercando alacremente la possibilità di una sua sollecita ripresa. Ciò suppone il superamento di tutti i pregiudizi e l'assunzione delle differenze come ricchezze nella complementarietà.L'unica via per quest'arduo compito rimane l'umiltà, per la quale nessuno osi sentirsi padrone assoluto della verità, né come singolo, né come istituzione, ma tutti ci disponiamo, sapendoci poveri, a ricevere la grazia che ci introdurrà attraverso il dialogo alla più profonda comunicazione e unità interpersonale.

Il dialogo prevede un tempo di maturazione, essendo un pellegrinaggio nella fede e nella speranza, fino al compimento della comunione perfetta nella patria celeste.In questo tempo le differenze, vissute come varietà di doni aiutano ciascuno a riconoscere la propria identità.E tale identità non si scopre in una ricerca individualistica, chiusa in sé; il modo con cui l'altro vive Dio, il mondo, le relazioni umane è indispensabile a ciascuno, perché questi scopra pienamente se stesso, portando dentro di sé questi vissuti altrui. Il singolo così non vive da solo le proprie relazioni, sapendo in anticipo quale contributo può dare agli altri, bensì universalizza la propria esperienza attraverso l'esperienza altrui e scopre infine il proprio volto e il proprio dono nel concreto farsi di questa inter-comunione reciproca.Il dialogo di salvezza attua una vera comunione interpersonale nello Spirito, elemento costitutivo della Chiesa, secondo quanto il Signore chiese al Padre: "Che tutti siano uno, come noi siamo uno" (Gv 7,21-22). Questa unità è quella trinitaria che ci è conquistata e donata a prezzo della croce del Figlio.

ATTENZIONE

  • La comunione attraverso il dialogo richiede un cammino con forme ben predisposte che lo agevolino.
    Quali forme troviamo già nelle strutture ecclesiali? Potremmo fermarci per analizzare la validità e l'efficacia?
    Troviamo qualcosa da correggere o da rifondare o vuoti da colmare?
    Siamo capaci di cogliere e di valorizzare i luoghi in cui si esprime la difficile arte del dialogo?


  • Si sono diffuse forme, praticate anche in Diocesi, di ascolto della Parola immediatamente legato ad un primo dialogo umano che aiuta nel discernimento del volere divino; di comunicazione di esperienze cristiane che accelerano la condivisione; di revisione di vita; di assemblee, oltre ai preziosi organismi di partecipazione.
    Come è possibile favorire queste e altre forme della comunicazione, dove sappiamo bene che determinante è il corretto funzionamento della loro dinamica?
    In che senso dialogare apre ed educa alla "correzione fraterna"?
    Pensiamo che l'interparrocchialità possa rappresentare un segno decisivo per dialogare fra le varie comunità parrocchiali?


  • La relazione Chiesa-società va oltre il rapporto del singolo fedele con le persone lontane dalla comunità ecclesiale o le istituzioni civili.
    Non è forse necessario analizzare le forme di dialogo in atto per scoprirne punti di forza e debolezze?
    Non avvertiamo di essere ricercati, come istituzione ecclesiale, da tanti organismi civili e comunque richiesti di non latitare, ma di apportare coscienziosamente il nostro contributo?

3. La Ministerialità
"Costruiamo la Chiesa attraverso l'esercizio
della ministerialità di cui, in forza
del battesimo, siamo stati arricchiti" (r. c. 1)

L'attuazione di un autentico dialogo salvifico apre alla gioia della scoperta dei doni ricevuti da ogni persona e alla piena valorizzazione della singolarità e unicità di lei.Nella cultura odierna si è accresciuto il senso della dignità personale come pure si dà attenzione crescente alla professionalità, si punta sulle capacità della persona, sul personaggio che sa costruire, sul contributo specialistico che può offrire.La vocazione della persona è meno legata ad imprescindibili necessità della natura o dell'ambiente di partenza, mentre è sempre più offerta alla capacità di ricercare e scoprire il proprio ruolo all'interno di un sistema sociale complesso.Si corre il rischio, però, di appiattire la personalità sulla professione o sul compito sociale ricoperto.

Il Concilio Vaticano II ha spinto la Chiesa ad un gran dinamismo missionario radicato sulla scoperta e sulla valorizzazione della persona con i carismi ricevuti.

Il Nuovo testamento, e soprattutto s.Paolo, ha compreso la "novità": il dono dello Spirito che costituisce la Chiesa, un corpo di nuove creature, uomini pienamente tali perché riconciliati con Dio ed immersi in un nuovo ordine di realtà, che Cristo inaugura da primogenito.Il dono è lo Spirito, libertà e carità (2Cor 3,17; Rm 5,5), il quale rende ciascuno soggetto attivo di costruzione della Chiesa e del mondo.Nel noto brano della Lettera ai Corinzi (1Cor 12,14) l'Apostolo indica lo Spirito come sorgente di doni (carismi), il Figlio incarnato come la forma per essi dell'autentico servizio (ministeri), il Padre come la loro efficacia effettiva e reale (operazioni): un vero dono di Dio si misura e si autentica nel suo presentarsi come servizio (sul modello di Gesù) e nel suo uscire dalla zona delle pure intenzioni velleitarie, per farsi concreta operazione.Il carisma-ministero-operazione edifica la Chiesa, si misura sul criterio dell'utilità comune, sottostà al primato del corpo.Il segno dello Spirito inoltre non è l'alienazione, il perdere razionalità, coscienza, valorizzazione delle risorse umane; lo Spirito di Gesù, vero uomo, ci rende più umani, spinge a diventare cristiani adulti e maturi, Chiesa incarnata che entra coraggiosamente nella concretezza della vita.Non fughe, non evasioni, non ghetti protettivi, ma missionarietà.

S.Paolo però sollecita a seguire la guida del carisma-ministero dell'apostolo: chi non riconosce il dono degli altri, in particolare quello dell'apostolo, non è affidabile nella rivendicazione del proprio dono.Nella storia la concretezza visibile della Chiesa deve rispecchiare armonia, buon ordine e decoro, per il rispetto sommo della dignità e del dono di ciascuno.Il concilio ha definito l'autorità gerarchica in termini di carisma (LG 4; 7; 8,24).È essenziale il pieno rispetto della coralità guidata dall'apostolo, per un'autentica fioritura del carisma-ministero-operazione.

Lo sviluppo della ministerialità nella Chiesa è in relazione reciproca con quello della ministerialità della Chiesa.Rispetto al recente passato si esige, cioè, più chiaramente lo sviluppo della ministerialità in funzione dell'essere sacramento, segno e strumento, della Chiesa.Spesso quest'intrinseca connessione si evidenzia nella ministerialità laicale, a motivo dell'impegno secolare dei laici.È bene che cresca l'attenzione alla cura della missione dei laici, soprattutto nella prospettiva del progetto culturale.Si tratta di sensibilizzarli nel mondo del lavoro, delle professioni, della politica alla responsabilità dell'intera missione della Chiesa.Questo non sembra possibile in Italia dove si raccomanda ai laici cristiani, impegnati in settori singoli della vita sociale, di attenersi a determinati capisaldi etici o di favorire alcune linee programmatiche e operative vicine al Cristianesimo. Ormai si vorrebbe sviluppare la consapevolezza di tutti, ed in specie dei laici, della valenza culturale del Vangelo, così da potere offrire alla società lo schietto contributo della mentalità di fede cristiana.Il ripristino oramai diffuso del diaconato permanente promette interessanti spunti e sviluppi da non trascurare, non solo nel settore liturgico, ma soprattutto in quello caritativo, visto l'allargamento degli orizzonti dell'area dell'agape.

Dopo il Sinodo dei Vescovi del 1987 si è compresa la ministerialità delle associazioni, gruppi e movimenti, i quali collegano meritoriamente i singoli alla Chiesa.Essi devono trovare nella Chiesa particolare, non solo nella Chiesa universale, il punto di riferimento concreto che consenta loro di attingere e di dare, di esercitare una mediazione della "ecclesia".

È opportuno nel campo dei ministeri osare un po' di più e aprirsi ad una qualche forma di sperimentazione; lo stile dell'ascolto e del dialogo non spinge alla deduzione in questo campo, ma all'accoglienza di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa attraverso le persone, pur nella verifica del nuovo.Sono diffusi, sebbene non dovunque, gli organismi di partecipazione, che mirano a rendere le strutture al servizio delle persone; nel consiglio pastorale parrocchiale deve iniziare l'impegno di scoperta dei carismi.Si può incoraggiare sempre più lo stile della sinodalità, purché si rispetti la corretta dinamica dell'attenzione alla persona.Non si può ricorrere in Diocesi o in parrocchia al modello dell'impresa industriale o commerciale; non si può cadere nel tranello efficientista o verticista. La comunione è di persone, di coscienze, di libertà, di responsabilità, non d'altro.

ATTENZIONE
  • Quali strumenti esistono in Diocesi per riscoprire l'energia sacramentale del battesimo?
  • In che modo la nostra Chiesa può diventare luogo di servizio aperto al mondo?
  • Come favorire la responsabilità e l'attività missionaria dei laici nell'impegno secolare?
  • Quale contributo offrire come corpo ecclesiale agli organismi civili, politici, amministrativi, sociali?
  • Quali spinte può concretamente attivare la Chiesa di Trapani per essere segnale di speranza nelle città?
  • Cosa non funziona nell'esercizio delle diverse ministerialità?
  • Come aiutare i ministri ordinati ad arricchire la loro vocazione e il loro servizio?
  • Quali metodologie si rendono utili per promuovere la sfida del ministero laicale?
  • Come coniugare un'autentica laicità dei credenti in comunione con i ministri ordinati?
  • In che modo superare gli inevitabili momenti di scoraggiamento personale e comunitario?

 
4. La Formazione
"Bisogna dare visibilità e corposità alla fede; ad una fede intimistica, salottiera sdolcinata
e borghese, bisogna sostituire una fede
robusta, consapevole, motivata" (r. c. 3)

La formazione cristiana allo svolgimento di un ministero, pur ampiamente sviluppata in taluni settori, non è ancora pienamente sviluppata nella Chiesa. Essa ha a che vedere con la consegna della fede da una persona all'altra e da una generazione all'altra, quindi con la missione stessa della Chiesa, come anche con la grande questione educativa che mira alla promozione di personalità libere e forti. Se il carisma-ministero-operazione riguarda la persona in quanto tale, nel suo essere più profondo, allora viene investito il campo dell'educazione e quello formativo in genere.
Nelle molteplici occasioni e situazioni formative delle quali si gode nella società odierna, l'educazione si caratterizza per il rivolgersi alla personalità in modo diretto e prioritario, con l'intenzione di promuoverla e portarla al meglio delle sue possibilità.Ciò avviene secondo un quadro di riferimento generale, al cui centro sta un modo di intendere dell'essere umano, in connessione con una visione globale di società, di cultura, di storia, di sviluppo sociale.Spesso nell'azione concreta l'intenzionalità educativa può essere concomitante ad altre intenzionalità; intenzioni educative ed altri tipi d'intenzioni possono coabitare magari secondo una gerarchia di priorità d'intenti.

L'intervento educativo ha sempre ed in ogni caso il carattere d'aiuto, di proposta, anche quando indica o sceglie; anzi si tratta di un aiuto discreto.L'educazione non si risolve in un atto singolo o in un'azione di breve durata; essa richiede solitamente tempi lunghi, perché non si tratta di acquistare un comportamento o un'abilità conoscitiva o pratica momentanea.L'educazione tende piuttosto al conseguimento di disposizioni comportamentali collegate con l'intera personalità e la sua esperienza globale.Di qui l'itinerario, cioè una successione ordinata di tappe o momenti educativi che sono strutturati nei loro obiettivi particolari, nei loro contenuti e metodi, nei loro modi e tempi di realizzazione e nei loro mezzi e protagonisti, in modo da conseguire gli obiettivi educativi o didattici prestabiliti dalla comunità responsabile.Il destinatario sarà aiutato ad assumere decisioni responsabili in base ad una maturata identità, ad un'autonomia di giudizio sulla realtà circostante, ispirandosi ai principi di valore.

La scoperta e la valorizzazione della ministerialità della Chiesa secondo la linea dell'ascolto e del dialogo è coerente con l'istanza educativa qui prospettata e spinge più verso il pieno rispetto della persona in se stessa, unica e fondamentale ricchezza, e meno verso la sua capacità tecnica o professionale.L'accoglienza e la missione di qualunque ministro mirano a farlo crescere qualitativamente, per farlo diventare più uomo attraverso un giusto commercio dei suoi talenti.D'altronde nell'orizzonte della fede cristiana, la pienezza dell'umanità è commisurata con l'umanità di Cristo Risorto, primogenito di ogni creatura.Nel mistero dell'Incarnazione il Verbo ospita in sé tutto l'uomo, e questi si unisce perfettamente al Verbo.L'umanità di Gesù partecipa della Trinità, dove le persone vivono l'una per l'altra senza residui nel darsi e nel riceversi reciprocamente. L'umanità del Signore nella Trinità è la "paideia", la cultura formativa cui i cristiani devono educare le generazioni e a cui uniformarsi in ogni ministero: è la piena maturità dell'uomo interiore.

Nel rispetto dell'antico adagio secondo cui la grazia non distrugge la natura ma la suppone e la compie, la formazione al ministero dovrà intrecciarsi con l'ambito generale dell'educazione, rispettandone i fondamenti e coniugandosi con esso i destinatari e gli obiettivi, che variano con il variare del ministero.In ogni caso si tratta, come si accennava sopra, di un conformarsi a Cristo, secondo un modo personalissimo, e non soltanto nella fase germinale, come se ci fosse uno stato irreale del puro battesimo.Dal battesimo prende avvio una nuova storia dell'esistenza del battezzato, il quale è una persona con doni propri e che commercerà entrando a pieno titolo nella storia da nuova creatura.Prendere la forma di Cristo (Fil 3,10, 21; Rm 2,20; 8,29; Gal 4,19) significa entrare a far parte del suo stesso essere, diventare una sola cosa con lui senza che questo ci annulli.Il cammino del battezzato unito a Cristo si distende dunque lungo il corso della storia fino ad arrivare all'ultimo atto della storia personale: la morte.Paolo stesso vede nella propria morte la morte di Cristo che diventa realtà, che prende di nuovo forma visibile.La morte di Gesù per l'Apostolo non è solo un dato storico del passato, ma anche e soprattutto un evento del presente: anche se qui, come altrove, Cristo e Paolo restano due persone distinte.

La tradizione della Chiesa ci consegna due tesori, arricchiti da esperienza ormai secolare: il catecumenato, convertito poi nella formazione ai fanciulli e ai giovani in relazione all'iniziazione cristiana; il seminario, con modelli leggermente variabili, quale formazione specifica al ministero presbiterale.Il Concilio ha consegnato a sua volta la ricchezza di un sentire la Chiesa in tutti i suoi membri, che adesso ci spinge a chiederci perché non si dovrebbe procedere all'invenzione di altri e ben precisi itinerari specifici, con relativi luoghi, progetti formativi e educatori incaricati, per l'avviamento e la verifica della chiamata a tutte le forme della ministerialità.Solo se esistono luoghi precisi, i membri del popolo di Dio hanno la possibilità di guardare ad un segno, di interrogarsi, di verificarsi, di approfondire la propria chiamata.È vero però che si parte con persone concrete che già incarnano forme specifiche di ministero.

ATTENZIONE
  • La famiglia e la scuola sono i due principali ambiti in cui si effettua l'educazione; è diffusa la convinzione che operare in questi luoghi è esercitare un preciso carisma-ministero?
    Questi stessi luoghi sono preparati alle nuove sfide del duemila?
  • Quali sono gli elementi portanti per attuare una formazione "cristica"?
    È possibile studiare progetti che modulano tale formazione attorno ai principali nuclei di un'educazione umana?
  • Quali strumenti educativi sono da considerare oggi superati e controproducenti e quali invece nuovi, soprattutto nella formazione cristiana di fanciulli e preadolescenti?
  • Crediamo che la Chiesa possa diventare centro di formazione permanente e, se sì, attraverso quali momenti e strumenti?
  • Quali sostegni la Chiesa particolare può dare ai genitori nell'educazione cristiana dei figli?
    E nell'accompagnamento dei fidanzati al sacramento del matrimonio?
  • In che modo il seminario può preparare uomini nuovi del Tabor?

5. La Speranza
"Colorate di speranza le vostre associazioni, gruppi, movimenti ecclesiali; colorate di
speranza le comunità parrocchiali, gli impegni e i percorsi delle nostre
comunità; colorate di speranza i nostri paesi, la politica" (r. c. 18)

Molteplici, e spesso distinti tra loro, sono i significati che vengono attribuiti al termine speranza nella nostra società.Questa oscillazione del linguaggio ai limiti della contraddizione, rispecchia l'atteggiamento dell'uomo nei riguardi del futuro. Si passa da una grande fiducia verso di esso, perché può essere considerato capace di offrire una illimitata realizzazione, ad un suo rigetto con il conseguente rifugio nel passato o con lo sfruttamento edonistico del presente perché il futuro sarebbe foriero di morte o di quella sofferenza provocata dai mostri costruiti dall'uomo stesso.


Tali oscillazioni, spesso frutto anche dei condizionamenti culturali di matrice occidentale, ha certo una radice profonda nell'animo umano, che si percepisce insieme chiuso in una sua finitezza ben determinata, ma aspirante ed aperto all'infinito.


Queste due percezioni, entrambe insite nel cuore dell'uomo, vanno educate perché egli non disperi, affondando in una deprimente disistima di sé, né coltivi deliri di onnipotenza, presumendo oltre misura.


In vero, la fondamentale e naturale aspirazione ad essere sempre più se stesso non può essere appagata dentro l'orizzonte mondano, perché nulla può soddisfarla.Infine essa si scontra con il mistero della morte: questo mistero mette a nudo il livello più profondo dello spirito umano, che custodisce l'incontenibile desiderio di esistere senza fine, ponendo concretamente l'uomo di fronte all'interrogativo ultimo su se stesso.


L'esistenza del singolo, inoltre, è connessa con il cammino dell'umanità; ne segue che il problema del futuro dell'umanità e del mondo riguarda il significato stesso dell'esistenza di ogni uomo in quanto responsabile dell'intera comunità umana.


La speranza è la scelta nella quale l'uomo interpreta il senso ultimo della sua esistenza.


Nella storia della salvezza scopriamo la meravigliosa dinamica di un vissuto incentrato sulla speranza: da un lato Dio che promette e attrae l'uomo, un popolo, l'umanità intera, dall'altro il popolo che cammina poggiando e confidando nella signoria di Lui.Israele ha vissuto la sua esistenza come storia aperta al futuro a partire dall'evento dell'esodo, in cui ha sperimentato il Dio dei padri come un Dio della promessa perché Signore della storia e dei popoli.Già con Abramo la promessa-speranza assume i contorni di attesa storica: possedere Dio possedendo una terra, la salvezza dal nemico, la vittoria del giusto.Iprofeti sconfessano la pretesa di Israele di autocostruirsi il proprio futuro; essi spostano la promessa di salvezza verso una azione futura di profondo rinnovamento interiore ad opera di Dio (Is 11,1-10; 53,5-12; Ger 13,31-34).


A fondamento e garanzia di questa e di ogni promessa è la fedeltà di Dio.


In Cristo la promessa di Dio è diventata realtà (At 13,32-33); il dono dello Spirito è la conferma della promessa realizzata (At 1,4-5; 2,33).Adesso la speranza trova il suo definitivo punto di appoggio e si fa insieme rinuncia ad ogni sicurezza umana e abbandono completo e fiducioso al mistero assoluto di Dio.


Il mistero pasquale è centro della speranza cristiana.Nella morte Cristo si dà definitivamente al Padre con un atto di esodo da sé e di fiducia in Dio (Eb 5,7).


Con la risurrezione ha inizio una vita nuova non soltanto per lui, ma anche per noi, perché Cristo fu risuscitato da Dio come primogenito di molti fratelli (1 Cor 15,20-57; Rm 8,29; Col 1,18).


La sua vittoria è vittoria per noi, perché è compimento irrevocabile della promessa di Dio e inaugurazione del futuro dell'umanità e del cosmo intero (Col 1,15-20; Ef 1,10.20-23).

La risurrezione di Cristo, però, implica la dialettica interna del compimento e della promessa: è compimento di tutte le promesse fatte da Dio ad Israele (Gal 3,16-22; 1Cor 1,19-20; Lc 24,25-47) ed è insieme un ulteriore compimento.

Il futuro di Cristo deve ancora venire (At 1,11; Eb 9,28; 10,23) e sarà l'adempimento nella gloria di Dio della piena liberazione dell'uomo: evento av-venire.

La presenza dinamica dello Spirito pone il cristiano in uno stato di tensione e di attesa.Egli sa che la potenza creatrice di Dio è comprensibile della luce della croce, cioè nasce dal totale annientamento di ogni attesa mondana.Per questo la speranza cristiana non teme il negativo: è una speranza crocifissa che si apre al nuovo e alla vita come dono.La libertà nata dalla croce distingue la speranza dall'ottimismo sicuro di sé come pure dal nichilismo.La speranza è l'andare verso il Dio creduto Signore del futuro.

Così intesa essa ci sottrae alla duplice tentazione, sopra menzionata: il perdersi nel chiuso del presente mondano, con le sue azioni concrete e i suoi progetti, che conduce la persona all'estraneazione e alla alienazione nella rete dei rapporti con la natura e con i propri simili, o nell'incapacità di uscire da sé autospecchiandosi e autoaffermandosi come assoluto nei suoi prodotti.La speranza apre invece il momento attualmente vissuto alle possibilità che la paura, il terrore del nuovo, del rischio tendono ad eliminare; apre la possibilità che può essere data dall'Altro, al di fuori di ogni previsione.

Confidare in Dio significa amarlo, e l'amore non è autentico se non è fedele al fratello.La speranza ha l'esigenza di incarnarsi per servire l'uomo nei suoi bisogni concreti, anzi essa è motore trainante della solidarietà.

Il credente, inserendosi pienamente nella dinamica degli eventi storici, può guardarli in profondità, accettando il rischio delle scelte presenti con la costante tensione al futuro.Egli accetta, cioè, il limite radicale delle scelte storiche, ne accetta in anticipo la morte (che la propria morte) nell'abbandono al Dio che risuscita dai morti.Così la vita terrena con le sue scelte viene eternizzata, non mediante la sua prosecuzione senza limite di tempo, ma mediante la sua assunzione nel piano di Dio attraverso la pasqua di Cristo.

La speranza cristiana è piantata nella storia, passando per l'itinerario di sofferenza e morte che la storia provoca, con l'offerta di tutto a Dio in Cristo, attendendo.

Guardando al Risorto l'attesa ha un senso: verrà il Dio che è già venuto.Egli è la pienezza reale dell'uomo in tutte le sue dimensioni, dove il faticoso impegno storico non è distrutto, ma trasfigurato ed esaltato.

ATTENZIONE
  • Quali motivi di speranza offre la società in cui viviamo.
    Quali speranze nutre?
  • Le nostre chiese sono segno di futuro e di sguardo fecondo in avanti?
  • Come superare inevitabili momenti di scoraggiamento personale e comunitario?
  • Come possono muoversi le parrocchie, e tutti gli organismi ecclesiali per rendere la speranza una scelta credibile per i più dubbiosi, incerti o pessimisti?
  • Quali spinte positive può concretamente attivare la Chiesa Trapanese per diventare segno di speranza per la città?
  • Quale attenzione dedichiamo ai giovani, futuro e speranza della società e della Chiesa?