Progetto Pastorale
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sabato 28 agosto 2004
 

Alla Chiesa che è in Trapani, santa e pellegrina verso la Gerusalemme nuova.

Il vescovo e il Progetto Pastorale

Il vescovo, principio visibile di unità nella Chiesa particolare, è chiamato a farsi compagno di cammino del suo gregge condividendone ansie, speranze e problemi.
Egli è principio e costruttore di comunione all’interno della sua comunità diocesana e contribuisce all’edificazione della Chiesa quale segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano (cfr. LG, 48).
Tra gli strumenti di cui il pastore si serve per guidare il suo popolo, il Progetto Pastorale ha una sua priorità perché:
- ha lo scopo di approfondire l’identità dei battezzati che vivono la loro vita in Cristo e nella Chiesa nel territorio diocesano;
- propone obiettivi mirati (il Progetto è un mezzo posto nelle mani di tutti i battezzati per incanalare sforzi e costruire comunione);
- traccia le linee maestre di un percorso a lungo termine da seguire;
- indica la meta da raggiungere;
- disegna uno stile di Chiesa.

Il cammino finora fatto e il tema del Progetto

La via sulla quale ho inteso istradare la nostra Chiesa fin dall’inizio del mio ministero a Trapani è quel cammino che porta dalla disgregazione del peccato alla comunione vissuta nella grazia accolta:
Da Babele a Gerusalemme,
il cammino della comunione
.

In questa prospettiva mi sono mosso e, avendo sempre davanti il Progetto che ora consegno alla Chiesa nella sua forma definitiva, ho approntato i piani pastorali annuali.
Nei primi tre anni del mio episcopato a Trapani abbiamo approfondito
- il valore della vita spirituale (Sul Tabor per sperare),
- l’importanza della conversione e della purificazione del cuore (Riconciliati camminiamo insieme verso Gerusalemme)
- l’anelito alla testimonianza da dare a Cristo dentro la città terrena (La speranza non delude). In unità con tutti i vescovi italiani abbiamo quindi auspicato con forza, quale punto di svolta del nostro cammino diocesano, il rinnovamento (quasi una nuova nascita) della parrocchia, partendo dal modello teologico del cenacolo.
A tal fine sono certo che abbia contribuito anche il Piano Pastorale dell’anno 2003-2004: Come potrei capire se nessuno mi istrada? Esso idealmente conclude una trilogia sulla parrocchia iniziata con i due documenti precedenti.
Nel cenacolo si impara a servire alla tavola dell’Eucaristia (C o m e ho fatto io, fate anche voi);
- nel cenacolo si apprende dallo Spirito di Pentecoste la capacità di comunicare la Comunione trinitaria (Ognuno li sentiva parlare nella propria lingua);
- dal cenacolo si parte per dare la Buona Notizia, senza mai perdere nel cuore la forza spirituale che promana dal cenacolo. Usciamo, pertanto, dal cenacolo, ma non lasciamo il cenacolo, perché esso è simbolo della nostra unione con il Signore e della comunione con i nostri fratelli.
Così fecero gli apostoli nella prima semina del Va n g e l o .
In quest’anno pastorale 2004-2005 l’attenzione vigile della nostra Chiesa va alla famiglia, realtà cenacolare, piccola Chiesa, luogo teologico del nostro credo esistenziale.
Nella famiglia impariamo a vivere la fede (In semplicità di cuore spezzavano il pane nelle case) e la parrocchia, famiglia di famiglie, è lo spazio di vita pastorale in cui verifichiamo il nostro impegno nella costruzione del Regno.
Babele è la città del disordine, della confusione, della superbia che rigetta Dio, che nega a Dio il diritto di cittadinanza.
Gerusalemme è la città della pace e della comunione, dove si realizza l’ideale della fraternità al quale anela il nostro spirito.
Il cammino che da Babele porta a Gerusalemme è quello che, come pastore, vorrei che la nostra Chiesa facesse per presentare al mondo un volto più bello, quello che anticipa la bellezza della sposa, la nuova Gerusalemme che discende dal cielo.
Da questa consapevolezza e con questa speranza nasce per la nostra Chiesa il Progetto Pastorale che vi consegno.

INTRODUZIONE

Tra gli interrogativi che i vescovi italiani si pongono, ci sono quelli legati alla trasmissione dei contenuti della fede e al linguaggio:
“Dobbiamo chiederci: la comunicazione delle proposte che abbiamo formulato, anche attraverso convegni e documenti, è stata comprensibile per la gente e ha saputo toccare il suo cuore?
Coloro che sono gli strumenti vivi e vitali della traduzione degli orientamenti pastorali – sacerdoti, religiosi, operatori pastorali – si sono coinvolti in maniera corresponsabile e intelligente nel cammino delle loro Chiese locali? […] E noi Vescovi abbiamo saputo dare gli impulsi necessari perché i nostri stessi orientamenti pastorali non restassero lettera morta?”
(C o m u n i c a re il Vangelo in un mondo che cambia, 44) .
Anch’io mi rendo conto che nel proporre il presente Progetto Pastorale il problema centrale è quello della trasmissione e della comunicazione dei contenuti della fede e, dunque, del linguaggio da usare.
Negli stessi Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio del 2000, mi sembra di trovare un’indicazione per superare l’empasse.
“È molto significativo anche il linguaggio scelto da Gesù per fare entrare i suoi interlocutori nella comprensione del Regno.
Egli parla in parabole, ricorre cioè all’esperienza di ogni figlio del suo popolo: nelle parabole e nelle similitudini impiegate da Gesù troviamo allusioni alla vita di ogni giorno.
In tal modo si svela una profonda capacità di trarre lezione e consolazione da ogni creatura e da ogni evento. Gesù sa discernere e far comprendere la bellezza della vita attraverso i simboli che si celano dietro alle esperienze umanissime della vita quotidiana.
E fare appello all’esperienza significa coinvolgere la libertà di colui che ascolta” (Comunicare il Vange - lo…, 21).
Perciò, nel delineare il nostro progetto, seguiremo lo stesso stile di Gesù, proponendo la metafora del popolo in cammino verso la comunione, dopo avere delineato i tratti della città di partenza (Babele) e della città di arrivo (Gerusalemme), alla luce della Santa Scrittura.
Parleremo, dunque, della partenza e delle diff i c o l t à del viaggio, delle sue soste, degli incontri, delle risorse per affrontarlo e, infine, ne avvisteremo la meta.

Capitolo 1

Il linguaggio

Babele e Gerusalemme

L’epoca che viviamo è stata definita l’epoca dell’incomprensione e dell’incomunicabilità.
Ogni giorno sperimentiamo la difficoltà di comprendere e di comprenderci: sembriamo parlare lingue diverse. Eppure abbiamo nel cuore un desiderio di pace e di armonia, aspiriamo ad un’oasi di serenità dove vivere gli uni accanto agli altri con amore e senso di fratellanza.
Babele e Gerusalemme: in questi due nomi c’è tutto il contrasto che ci portiamo dentro, tra la realtà in cui viviamo e quella in cui vorremmo vivere. Ma mentre sogniamo Gerusalemme, viviamo a Babele!
Il desiderio di raggiungere la meta è grande e non possiamo sottrarci alla fatica del viaggio.
Partiamo, dunque! Mettiamoci in cammino da Babele verso Gerusalemme: è il cammino della comunione.

In cammino insieme

Il cammino che facciamo non può essere fatto da soli. Lasceremo la città della non comunione per camminare verso la solitudine? Quello Spirito che ci spinge a camminare verso la comunione non ha parlato in ogni lingua per far risuonare un’unica Parola di salvezza?
Il cammino, perciò, è quello di un popolo che si dirige, in comunione, verso la città santa.
Il camminare insieme è il proprium della Chiesa.
I navigatori solitari non contribuiscono ad edificare Chiesa.
La vera Chiesa è il popolo di Dio che cammina insieme verso Gerusalemme.

In cammino: la difficoltà a parlare la lingua dello Spirito

Il nostro viaggio, ovvero il viaggio della Chiesa santa che è in Trapani, di quanti cioè camminano sotto la guida del pastore, pellegrini verso Gerusalemme, deve affrontare una prima e cruciale difficoltà: la lingua.
Volendo incamminarci verso Gerusalemme, abbiamo consapevolezza che la lingua che parliamo e conosciamo meglio è la lingua di Babele cioè della confusione, della disarmonia, della discordia e della divisione. Siamo, allora, degli sconsiderati nell’intraprendere il nostro viaggio? Pensiamo che il cammino sia inutile e che non arriveremo mai alla meta?
Le difficoltà non ci debbono scoraggiare.
Se non chiudiamo il nostro cuore a Dio e ci lasciamo condurre dallo Spirito, il nostro linguaggio, anche se attraversato dal peccato, non riuscirà a distruggere la nostra adesione fondamentale a Cristo e la nostra volontà di fare comunione. Dio nella sua misericordia può condurre ad unità ciò che è disperso e frammentato.
La Chiesa, realtà santa e peccatrice, nello Spirito che grida nel cuore dei credenti con gemiti inesprimibili, trova la forza e il coraggio di riprendersi e di camminare verso Gerusalemme.

Il tempo dell’apprendimento della lingua della comunione

Occorre che tutti impariamo la stessa lingua. Il tempo del cammino sarà, perciò, il tempo del discepolato, dell’ascolto attento del Divino Maestro. Sappiamo che il miglior modo per imparare una lingua è praticarla. Perciò il miglior modo per imparare la lingua della comunione è vivere la comunione.

Il pastore, guida e maestro del linguaggio della comunione

Chi si pone in cammino verso Gerusalemme alla sequela del pastore, ma non nutre nel cuore il desiderio di imparare la lingua della meta (e la nostra meta è la comunione), anche se formalmente fa parte della carovana, in realtà non ha mai lasciato Babele.
Seguire il pastore è garanzia di seguire Cristo nel cammino verso Gerusalemme. Il pastore non per forza è colui che conosce meglio la lingua della città santa, ma certamente è nella sua persona che Cristo parla e guida il suo popolo.

La Bibbia, libro della lingua della comunione

Come in ogni viaggio, anche il nostro ha una guida che ci indica i sentieri, ci segna le soste e ci mostra la meta.
Questa guida è la Sacra Bibbia.
Senza di essa il nostro cammino sarebbe un vagare senza senso.
Ogni pellegrino deve portarla con sé, studiarla, consultarla, meditarla per verificare il cammino percorso, per conoscere la meta, per apprendere la storia di altri pellegrini che hanno raggiunto il traguardo.
Tuttavia, ciò che la guida insegna ad ognuno, diventa vera ricchezza e garanzia di verità solo quando ci poniamo comunitariamente in ascolto di essa.
L’ascolto comunitario della Parola e la sequela del pastore, che ne è l’interprete più autorevole, sono l’unica garanzia di successo per guadagnare la meta.


Capitolo 2

In cammino... in un mondo che cambia

Parlare ad un mondo che cambia

È vero che il cammino da Babele a Gerusalemme si compie dentro il nostro cuore. Ma è anche vero che la comunione che viviamo dentro di noi va costruita anche attorno a noi, all’interno delle nostre comunità e nella società.
Guardandoci intorno ci rendiamo conto che viviamo in un mondo in continuo cambiamento.
Gli stili di vita degli uomini si evolvono continuamente. Anche i linguaggi umani si vanno moltiplicando.
Le possibilità di interazione sono molteplici e gli strumenti a servizio della comunicazione sono tanti e sempre più sofisticati.

Gli strumenti a servizio della comunicazione

Il popolo pellegrino verso Gerusalemme sa che ogni strumento (radio, televisione, internet, ecc...) può parlare la lingua di Babele o di Gerusalemme.
Mentre Babele si attrezza in ogni maniera per insegnare le sue lingue, il popolo di Dio in cammino deve fare ogni sforzo per conoscere l’uso degli strumenti di comunicazione sociale per parlare al meglio la lingua della comunione.
Sulla nuova evangelizzazione, sul nuovo modo di dire: “Gesù è il Signore, dobbiamo giocarci il tutto per tutto sfidando l’impossibile, sviluppando forme nuove e più moderne di comunicazione” (cfr. Comu - nicare il Vangelo…, 39).

Quali linguaggi servono alla comunicazione e alla comunione

Camminando verso Gerusalemme tutti possono vederci e ognuno può chiederci: dove state andando?
Se rispondiamo usando un linguaggio incomprensibile all’uomo di oggi, nessuno potrà capirci.
Senza la conoscenza della lingua dello Spirito e dei nuovi linguaggi umani, infatti, non comunichiamo, non facciamo cultura e non incidiamo nella vita dell’uomo contemporaneo.
Solo parlando il linguaggio di oggi potremo comunicare tra di noi e con tutti coloro che ci chiedono ragione della nostra speranza.
La comunicazione costruisce la comunione, anzi è il mezzo necessario per realizzarla.

Il cammino della comunione: la comunicazione con i linguaggi umani

Babele utilizza i linguaggi moderni per veicolare confusione, solitudine, divisione.
Gerusalemme utilizza gli stessi linguaggi per veicolare verità, amore, comunione.
Il cammino verso Gerusalemme consiste nel fare in modo che il linguaggio umano veicoli la lingua dello Spirito.
Diversamente, il pellegrino si illude di camminare verso Gerusalemme, ma il suo cuore rimane fermo a Babele.
È questa la fatica che richiede il vero cammino della comunione. Il linguaggio che traduce la lingua dello Spirito è linguaggio universalmente percepito e sempre attuale.


Capitolo 3

In cammino... gli incontri

Incontrare Cristo

Ora che siamo in cammino, guardiamoci attorno: scopriamo che è l’uomo in situazione che va incontrato, conosciuto, amato e servito. Colui che è seriamente impegnato a camminare verso Gerusalemme si sforza di costruire comunione con Dio e con il prossimo, annunciando e testimoniando una certezza: solo Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo! Infatti, senza l’incontro esistenziale con Gesù, l’uomo non riesce a dare un senso alla sua vita, non trova ragione alla sua origine e non intravede la sua meta.

L’uomo gaudente

Il primo uomo che incontriamo sulla nostra strada è l’uomo che apparentemente non ha problemi: è un uomo brillante, sicuro di sé, ricco e bello. Sembra quasi che possa tutto! Lo troviamo distratto da mille cose: affari, soldi, droga, sesso, divertimenti! Per certi versi la nostra presenza lo annoia.
Lo dobbiamo forse condannare o ignorare?
Se così facessimo non parleremmo la lingua di Gerusalemme. Non stanchiamoci invece di aspettare e mostriamoci aperti al dialogo ogni volta che si presenta l’occasione.

L’uomo sofferente

Continuando il nostro viaggio, ci accorgiamo che spesso dietro l’ostentazione di tanta ricchezza, edonismo, divertimenti… c’è un uomo ferito che soffre ed è solo.
C’è la solitudine di chi avrebbe voluto amare ma gli è stato negato dalle circostanze avverse della vita; la sofferenza di chi ha amato ed è stato tradito nell’amore; la disperazione di chi ha barattato l’amore per le illusioni di un momento; il dolore di chi, a seguito di un lutto, non accetta la morte ed impreca contro Dio. Come ci accosteremo a questa sofferenza? Mostrando Gesù Cristo, buon Samaritano, volto compassionevole del Padre.

L’uomo malato

Andando avanti nel cammino ci accorgiamo che esiste anche una sofferenza fisica: la malattia. L’uomo malato deve affrontare una lotta impari. Quest’uomo, che rischia di cadere nella disperazione, ha bisogno di intravedere la meta verso cui siamo in cammino: la Gerusalemme celeste.
I malati ci guardano, aspettano da noi una parola, un conforto, un messaggio di speranza.

L’uomo corrotto

Incontriamo anche l’uomo disonesto: è l’uomo che vende la propria dignità per la brama di ricchezze.
Quando Gesù camminava sulla via della croce verso Gerusalemme si accostavano a Lui peccatori, ladri, assassini. Egli non solo non li rifiutava, ma anzi li accoglieva e molti si convertivano. Ecco perché veniva bollato come amico dei peccatori e dei pubblicani.
Se, mentre camminiamo verso Gerusalemme, dovesse succedere lo stesso anche a noi, avremo garanzia che stiamo camminando sulla via giusta.

L’uomo senza diritti

C’è ancora un uomo che riusciremo a vedere se sapremo accostarlo: è l’uomo senza diritti. Appartiene alla categoria degli “ultimi”.
A Babele, città della confusione e dell’egoismo, quest’uomo non ha posto e non merita attenzione. A Gerusalemme invece quest’uomo ha un posto di diritto.
Lo troveremo ad accoglierci se raggiungeremo la meta, e ci riconoscerà se l’avremo riconosciuto.
Bisogna perciò avere occhi per vedere, orecchie per sentire il gemito del povero, dell’ultimo, di chi non ha voce.
Ascoltare l’urlo dei poveri è una sfida culturale ed epocale, politica e sociale, una sfida che deve portarci ad agire con cuore nuovo, non di pietra ma di carne.

L’uomo di buona volontà

Nel nostro cammino incontriamo anche l’ uomo di buona volontà.
A lui daremo un sorriso. Con lui saremo testimoni e profeti portando l’annuncio di speranza: pace in terra!
Ci faremo suoi compagni affrettandoci a collaborare e a sostenere ogni iniziativa che possa rendere Babele più umana, più capace di accogliere amore, più solidale, più gioiosa, più disposta a vivere in comunione.


Capitolo IV

In cammino... gli ostacoli

Riconoscere gli ostacoli

Il popolo di Dio, mentre viaggia verso Gerusalemme, vive in un territorio. Occorrerà guardare con amore ad esso, individuando tutto ciò che ostacola il cammino verso la città della gioia. Ci sono vie sbarrate, non ultimate, a volte persino ostruite da macigni.

Macigni: indifferenza religiosa, magia, mafia, massoneria.

Un primo macigno è rappresentato dall’indifferenza religiosa: mai come oggi, l’uomo ha pensato la sua vita al di fuori di Dio o senza Dio. Il modo di vivere della nostra società tende a dare valore solo alle cose materiali, negando, di fatto, ogni valore al mondo dello spirito.
Chi cammina verso Gerusalemme, al contrario, si fa annunciatore del valore assoluto che è Dio nella vita dell’uomo di ogni razza, cultura, e nazionalità.

Un altro grosso macigno che ostacola il cammino del popolo di Dio è la magia. I maghi pretendono di rispondere, a fronte di compensi economici, alle ansie e ai bisogni dell’uomo, illudendosi e illudendo di potere imbrigliare la forza del sacro con riti più o meno esoterici. La magia sembra attecchire tra le fasce più ingenue e semplici del popolo, ma è in realtà diffusa anche presso la gente ricca e colta. Alla base della pratica della magia c’è un deficit di fede in Dio, Signore della nostra vita e della storia.

Un ulteriore macigno sulla strada verso Gerusalemme è la mafia: sistema di potere politico-economico che usa mezzi illeciti per raggiungere il suo fine. I mafiosi operano al di fuori della legge ed hanno bisogno di nascondigli, di coperture, di connivenze, che trovano facilmente utilizzando le ingenti ricchezze guadagnate attraverso droga, prostituzione, appalti e traffici di ogni genere. La mafia è un sistema difficile da riconoscere ed individuare perché si maschera di perbenismo, rispettabilità e a volte anche di filantropia e religiosità.
L’appartenenza alla mafia è la negazione dell’appartenenza alla Chiesa poiché la mafia è in sé atea e assassina. Alla legge spietata della vendetta e dell’odio il cristiano contrappone la legge del perdono e dell’amore.

Infine, il macigno della massoneria. Tale sistema di potere politico-economico usa la concertazione di relazioni clientelari ad alto livello (lobby) per raggiungere il suo fine.
A differenza del precedente, questo sistema non è contro la legge, ma si serve di essa per conseguire i propri fini. La massoneria non ha bisogno di mascherarsi di onorabilità, in quanto essa è formata da persone rispettabili, animate da spirito filantropico che si impegnano nella costruzione di un mondo nuovo governato dalla ragione. Un mondo, però, dove non c’è posto per Cristo Figlio di Dio fattosi uomo come noi per salvarci. Il cristiano in cammino verso Gerusalemme sa di non poter contare solo sulla ragione e sulle sue forze per costruire un mondo migliore.

Altri ostacoli

Altri ostacoli si frappongono sulla nostra strada verso la comunione:
- La frammentazione della società. C’è una carenza di pensiero e di cultura di solidarietà che rende estranea la gente nelle città. I singoli vivono accanto o contro, non insieme. Non per nulla il termine “casa” è stato sostituito con “appartamento”.
- Lo scarso senso del sociale. Il privatismo esasperato crea una conflittualità permanente tra il bene del singolo e il bene comune. Lo stato sociale fatica a farsi strada.
- La cultura del sospetto. Il sospetto e la diffidenza inficiano il rapporto sereno e cordiale con gli altri e sono il vero tarlo roditore che mina alla base la civile convivenza.

Come rimuovere gli ostacoli

Questi ostacoli che bloccano il cammino degli uomini verso il bene vanno decisamente rimossi. C’è un solo modo per rimuoverli: promuovere l’uomo!
La promozione integrale dell’uomo è la grande scommessa da cui non possiamo tirarci fuori. La promozione sociale, economica, culturale, religiosa dell’uomo è fortemente voluta dal mistero dell’incarnazione. Cristo, Verbo di Dio fattosi carne, è uomo con gli altri e per gli altri. Pertanto la nostra Chiesa nel suo cammino verso la Gerusalemme celeste non può disattendere ansie, speranze e problemi dell’uomo che soffre nella Babele del mondo.


Capitolo V

Risorse e speranze

Riconoscere le ricchezze

Guardando al nostro territorio non possiamo considerare solo gli ostacoli posti sul nostro cammino.
Se così facessimo ci bloccheremmo, avremmo tradito il nostro proposito e ucciso la speranza.
Conviene guardare anche alle risorse presenti nel nostro territorio e nel nostro popolo per trovare insieme la forza per rimuovere gli ostacoli che rallentano o bloccano il nostro cammino.
Tali ricchezze sono: la natura, la storia, l’indole accogliente del popolo, la naturale religiosità, la generosità, l’attaccamento ai valori tradizionali.
A queste risorse si accompagnano i semi di speranza che individuiamo nel comune desiderio di un’umanità nuova, nell’impegno al rinnovamento, nel desiderio di giustizia, nell’emergere di una cultura solidale.

Il volontariato

Solidarietà è il nome laico della carità (cfr. Solle - citudo rei socialis). Il volontariato, che ha la capacità di operare in campi di frontiera, mette in atto coraggiose sperimentazioni, facendo fronte a molte emergenze sociali, colmando spesso i limiti e le carenze dell’intervento pubblico.
Il volontariato è la scelta di condividere parte della propria vita e del proprio tempo, in maniera gratuita, a servizio dei bisogni del singolo o della collettività. In questo senso, se vissuto nella fede, diventa testimonianza della carità. La nuova evangelizzazione ha bisogno di una carità testimoniata, vissuta: il volontariato sovviene a povertà vecchie e nuove che la nostra società produce.
Lo scambio di aiuto vicendevole è sommamente necessario nel nostro cammino da Babele a Gerusalemme.

La politica come arte al servizio della collettività

Pensare alla città non può, né deve essere appannaggio esclusivo dei politici e dei tecnici.
Ci sono valori etici da affermare con forza. Ci sono valori che stanno alla base della progettazione di una città e dello sviluppo di un territorio.
Riscoprire il gusto di far politica è riandare alla fonte dell’impegno sociale ovvero al rispetto del bene comune e del bene di ogni uomo di qualunque razza, lingua, condizione sociale, religione esso sia.
Chi scende nell’agone politico deve essere spinto da un grande amore per l’uomo e per il suo destino.
La carità politica non deve essere un di più per il credente; ogni ambito della vita, infatti, deve essere permeato dalla carità.

La Chiesa a servizio della comunione nella società (istituzioni)

La Chiesa si fa compagna di tutti gli uomini di buona volontà e si rende solidale, chiede e offre collaborazione a tutte le istituzioni presenti sul territorio che promuovono un’ordinata convivenza e una crescita integrale dell’uomo.

La bellezza

La bellezza è armonia e comunione. Molto ci potrà aiutare nel nostro cammino di comunione la sua ricerca e molto ci aiuterà a capirla il dialogo con coloro che la coltivano.
La Chiesa, nel suo cammino verso Gerusalemme, è faro di luce attraverso l’arte e la cultura.
È necessario che il suo passato e il suo presente continuino a indicare il suo futuro che è bellezza.
Il popolo di Dio in cammino continui a risplendere come fiaccola sul monte indicando a quanti lo guardano il diletto del bello e dell’armonia che annuncia la meta.
Il bello, l’arte, il sacro, hanno dato al nostro territorio quel di più di antico, di memoria, di religiosità, di fede che fa significativa e bella l’esperienza del nostro popolo.


Capitolo VI

La sosta

Quando fermarci?

Abbiamo iniziato a camminare lasciando alle nostre spalle Babele. Abbiamo affrontato le fatiche e le difficoltà del viaggio. Abbiamo bisogno, per riprendere vigore, di sosta e di ristoro.
Quando fermarci?
La domenica è il giorno della sosta, è il giorno del Signore Risorto e della sua famiglia. Facciamo festa e sotto il velo dei segni pregustiamo già la comunione di Gerusalemme riprendendo in tal modo vigore.

Dove?

Nel luogo dove Gesù consumò la sua Cena con gli apostoli e dove Gesù si presentò, Risorto, il primo giorno dopo il sabato, salutandoli: “Pace a voi!” (Gv 20,20).
Il luogo dove ci fermiamo e dove è apparecchiata la mensa per accoglierci e nutrirci è il cenacolo.
Da qui ripartiamo per il nostro cammino e qui ritorniamo sempre per rinvigorire le nostre forze.

Fermiamoci a mangiare

La mensa è già apparecchiata per noi: la Parola che si fa pane è il nostro cibo. Attraverso il linguaggio dei segni sacramentali noi manifestiamo ciò in cui crediamo.
A questa mensa dobbiamo sederci usando i linguaggi nuovi perché la Parola che si fa carne diventi maggiormente comprensibile. Da qui usciamo con nuovo slancio per dire “Gesù” a tutti quelli che incontriamo nel nostro cammino.
Se nel nostro cammino improvvise intemperie o percorsi particolarmente difficili ci hanno stancati e sporcati, occorre sostare alla fonte della rigenerazione per lavarci.
Se le lingue di Babele ci hanno divisi, riconciliati camminiamo insieme verso Gerusalemme!

Fermiamoci a parlare

Durante la sosta, dopo avere mangiato, viene spontaneo parlare di noi, del nostro cammino, dei nostri ricordi, delle nostre aspirazioni, della nostra fede.
Gli operatori pastorali, gli educatori-catechisti, camminando con noi ci narrano continuamente di Gerusalemme nuova e ci invitano a lasciare Babele; ci insegnano a vedere i segni della presenza di Cristo; ci aiutano a pregare e a riconoscere Cristo in chi ci tende la mano.
È ovvio che anche qui il problema della comunicazione e dei linguaggi è di fondamentale importanza.
Sulla comunicazione del patrimonio della fede si gioca il futuro della nostra pastorale e su questo bisognerà investire in persone e in mezzi, in metodologie innovative, in percorsi umili e coraggiosi.

Fermiamoci a gioire

Il banchetto del Signore va vissuto nella gioia e sotto il segno della festa. La musica e le danze attirano non solo gli invitati, ma coloro che vogliono un po’ della nostra gioia, un pezzo del nostro pane, un bicchiere del nostro vino. Nessuno è escluso dalla nostra festa anzi, la condivisione moltiplica la gioia ed è un segno del nostro amore portare Cristo a coloro che, malati, soli e senza speranza, sono rimasti nelle loro case.
La sosta nel giorno del Signore diventa, così, il giorno della Chiesa e della carità.

Nutriamoci di speranza

Se dovesse capitarci durante il nostro cammino di perdere la speranza, saliamo sul Monte Tabor e lì fermiamoci a contemplare. Sulla vetta respireremo l’aria salutare della comunione, i nostri occhi scorgeranno all’orizzonte la meta e il nostro cuore si caricherà di speranza.


Capitolo VII

Risorse nella Chiesa

Le risorse

Per camminare insieme e non disperdersi, il popolo in cammino ha a disposizione delle risorse.

La santità

La Chiesa è la sposa di Cristo per la quale Egli si è offerto come vittima di espiazione al Padre al fine di santificarla.
La Chiesa è per sua natura in cammino verso la meta. E la meta è la santità che consiste nell’unione della Chiesa sposa con Cristo sposo.

I battezzati

Il dono della santità è offerto a ciascun battezzato e deve governare l’intera esistenza cristiana: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione”(1Ts 4,3).
“Tutti i cristiani di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (Lumen Gentium).
La Chiesa, sacramento di Cristo, richiama ogni battezzato alla sua responsabilità di costruttore del Regno di Dio che è Regno di giustizia, di santità, di verità e di pace.

Presbiteri e diaconi

Fin dall’età apostolica, gli apostoli, annunciatori del Vangelo, costruttori di comunione, hanno associato alla loro missione di guida del popolo santo nel cammino verso Gerusalemme i presbiteri, uomini saggi, per la guida e la santificazione e i diaconi, uomini generosi, per la testimonianza della carità. Ad essi hanno trasmesso il dono dello Spirito con l’imposizione delle mani. Nell’esercizio del loro ministero i ministri ordinati trovano la fonte della loro santità.

Sinodalità, laici e ministerialità

La presenza attiva dei laici richiede corresponsabilità e collaborazione.
La corresponsabilità si vive e non ha bisogno di “mandati”.
La collaborazione si attua con quanti nella comunità hanno una funzione peculiare.
Vi sono molti fedeli laici che nutrono la legittima aspirazione di contribuire con le proprie capacità e con i loro carismi alla costruzione della comunità ecclesiale, ad esempio catechisti, ministri straordinari della Comunione, operatori della carità, animatori di gruppi e di comunità, esperti nell’arte della comunicazione.
La crescita, sia nella corresponsabilità come nella collaborazione, richiede una visione di comunità cristiana di tipo sinodale, un laicato cristiano maturo.
Tutto ciò che serve a far crescere in consapevolezza e responsabilità il laico credente è da promuovere, perché solo così si può operare per la salvezza integrale dell’uomo.

La vita religiosa

Nel cammino verso Gerusalemme alcuni nostri fratelli e sorelle sentono una chiamata particolare a vivere l’essenzialità del Regno. Essi rinunciano a formarsi una famiglia per abbracciare quella più grande del popolo di Dio in cammino.
Rinunciano a possedere le ricchezze di questo mondo per non rallentare il cammino verso il Regno.
Si impegnano a farsi servi della comunione vivendo l’obbedienza e rinunciando alla disobbedienza, radice della disunione e del peccato.

Associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali

Durante il cammino, si aggiungono anche quei fratelli che, secondo la loro sensibilità, attratti da stili diversi di annuncio del Regno, desiderano parlare l’unica lingua della comunione. Sono queste le esperienze ecclesiali di associazioni, gruppi e movimenti.
Esse vanno incoraggiate, sostenute e sempre ricondotte al cammino della comunione che porta a Gerusalemme.

La famiglia

La famiglia è l’esperienza umana e cristiana fondamentale dove l’amore viene accolto, vissuto, donato. Pertanto il cammino della comunione che porta a Gerusalemme è un cammino di famiglia. Su di essa si fonda la speranza perché in essa la vita trova il suo spazio di accoglienza.
Nella famiglia l’uomo cresce e matura la sua esperienza umana e cristiana. Nella famiglia l’uomo impara la lingua di Gerusalemme e a vivere la comunione nell’amore.
Un’evangelizzazione capillare, porta a porta, un ritorno della catechesi nelle case, ponendo la famiglia come soggetto protagonista della catechesi, è la grande rivoluzione a cui dobbiamo prepararci. La necessità di riscoprire e far vivere la dimensione vocazionale della famiglia appare esigenza prioritaria tra tutte.

La pietà popolare: le confraternite, i comitati e le feste popolari.

La pietà popolare parla un linguaggio che il popolo comprende. Durante il cammino bisogna continuare a parlare questo linguaggio se si vuole che la nostra Chiesa rimanga per il futuro una realtà di popolo. Ovviamente essa va sostenuta spiritualmente, con il radicamento sulla Parola di Dio, con la partecipazione alla liturgia e l’invito alla testimonianza.
In tal modo la pietà popolare può diventare un sentiero aperto alla maturità cristiana, uno strumento per la nuova evangelizzazione.


Capitolo VIII

Gli strumenti nella Chiesa

Il Presbiterio e il Diaconio

Abbiamo parlato prima dei presbiteri e dei diaconi come risorse del cammino di comunione. È opportuno sottolineare che, come per la Chiesa cattolica il Collegio episcopale cum Petro et sub Petro è la somma garanzia della comunione, così nella Chiesa particolare il Collegio dei presbiteri, associati al vescovo nel servizio pastorale a favore del gregge in cammino, e quello dei diaconi, in ausilio alla predicazione e alla testimonianza della carità, diventano essi stessi segno e strumento di comunione. I presbiteri debbono stare uniti al vescovo in comunione profonda di fede e di spirito. I diaconi, insieme al vescovo e ai presbiteri, manifestano una Chiesa tesa a realizzare una comunità tutta ministeriale, tutta orientata alla testimonianza della carità.

Gli organismi di partecipazione: i consigli

Altri strumenti che ci aiutano in quest’arduo cammino verso la comunione sono gli organismi di partecipazione ecclesiale. Il Collegio dei consultori aiuta il vescovo in alcune importanti questioni e ne condivide eventuali responsabilità. Il Consiglio presbiterale è come il senato del vescovo, a cui egli si rivolge per particolari questioni di carattere generale. Il Consiglio pastorale è l’organo che tesse comunione, promuove il nostro cammino, aiuta a superare divisioni. Esso deve essere presente nella diocesi e in tutte le parrocchie. Il Consiglio degli affari economici crea corresponsabilità e permette alla comunità di condividere le scelte più impegnative in termini di risorse economiche. Questo Consiglio è obbligatorio nella diocesi, nelle parrocchie e in tutti gli organismi ecclesiali dove è previsto per statuto.

Gli organismi di servizio pastorale: la Curia

Il vescovo è pastore della sua Chiesa nel cammino verso il Regno. Il suo dovere di guida viene reso più agevole attraverso un organismo, la Curia, che lo aiuta nel servizio al cammino pastorale della Chiesa. La Curia - lungi dall’essere espressione della burocratizzazione della Chiesa - è un vero organismo pastorale con il compito di tradurre in atti esecutivi la volontà del pastore alla guida del popolo. All’interno della Curia, articolazioni e servizi, rendono possibile un sempre maggior approfondimento della coscienza ecclesiale del popolo di Dio. Tra i compiti degli uffici di Curia c’è quello di raccordarsi con i corrispondenti uffici della Regione Ecclesiastica, della nazione e della Chiesa universale, di modo che il cammino della Chiesa diocesana si compia in comunione con quello di tutte le Chiese particolari che, nella cattolica, sono la Chiesa di Cristo.

La Zona pastorale

La Zona pastorale è quella porzione di territorio definita dal vescovo per favorire un maggiore coordinamento del popolo di Dio in cammino verso Gerusalemme e per dare una maggiore unità di intenti alle parrocchie che, insistendo nello stesso territorio, manifestano caratteristiche religiose, culturali, sociali ed economiche omogenee. Il vescovo nomina un vicario di zona il quale lo collabora nel lavoro di coordinamento, di promozione della comunione e lo aiuta a tradurre in quel territorio il suo progetto di Chiesa.

La parrocchia

La Chiesa cammina con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena (GS, 40). È a livello di parrocchia che si coglie particolarmente questa verità (cfr. Il volto missionario del - le parrocchie in un mondo che cambia, 4). La parrocchia è il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi (P a s t o res gregis, 45). Ad essa appartengono tutti i battezzati della Chiesa cattolica che dimorano in un determinato territorio. Essi si fanno carico degli abitanti di tutto il territorio sentendosi mandati a tutti (Il volto…, 3). Di essa abbiamo parlato come il luogo della sosta, della Cena, della Parola, della Carità. Il luogo da cui si riparte per costruire comunione nel cammino verso Gerusalemme. Essa è famiglia di famiglie, comunità del Risorto. La parrocchia è guidata da un p a r ro c o. Il suo ministero è importantissimo per la vita parrocchiale. Egli è infatti il primo collaboratore del vescovo nel territorio della parrocchia nel servizio alla comunione. “Alla base di tutto sta la coscienza che i parroci e tutti i sacerdoti devono avere di fare parte dell’unico presbiterio della diocesi e quindi il sentirsi responsabili con il vescovo di tutta la Chiesa particolare, rifuggendo da autonomie e protagonismi” (Il volto…, 3) .

L’Unità pastorale

L’Unità pastorale è un raggruppamento di parrocchie affidate a più parroci che ne condividono collegialmente la cura pastorale. Il coordinamento è affidato ad un parroco moderatore che risponde davanti al vescovo delle attività pastorali comuni.

L’Interparrocchialità

L’Interparrocchialità raggruppa un numero di parrocchie di uno stesso territorio ed ha fondamentalmente lo scopo di ricordare alla parrocchia di dover essere un mondo aperto che vive, costruisce, offre, comunione. L’interparrocchialità è a servizio della comunione quando: individua ambiti comuni di espressione e di testimonianza del Vangelo, mette in comune le risorse di ciascuna comunità parrocchiale, offre soluzioni e affronta problemi che altrimenti la parrocchia da sola non sarebbe in grado di risolvere. Anche per l’interparrocchialità è nominato dal vescovo un parroco coordinatore che aiuta a tessere comunione.


Conclusioni

Contemplando la Trinità, la Chiesa vive la sua esperienza di comunione. Questa prende linfa dallo Spirito, anima della Chiesa, forza vitale e fuoco d’amore che compagina le varie membra e le dispone all’accoglienza, al dialogo, alla carità solidale e al perdono.
La Chiesa è mistero di comunione.
Il cammino della comunione è un cammino mai perfettamente compiuto sulla terra, è un’ansia, una ricerca, una tensione strutturale della Chiesa. La stessa pastorale è lo sforzo continuo, quotidiano, che la Chiesa fa per costruire se stessa quale mistero, segno e strumento di comunione tra gli uomini.
Volendo offrire un percorso a lungo termine per la nostra Chiesa, ho interpellato gli organismi di partecipazione e ho ricevuto consigli e apporti di vario genere, confidando nell’aiuto del Signore e nella docilità di tutti voi.
Con il presente Progetto Pastorale è mio desiderio far continuare il cammino intrapreso dalla nostra Chiesa trapanese fin dall’inizio del mio ministero in questa diocesi, un cammino che mi auguro sinceramente condiviso da tutti: “Da Babele a Gerusalemme: il cammino della comunione”.
Non deve farci paura il nuovo. Dobbiamo, con l’occhio della fede, analizzare, leggere, interpretare la storia del nostro tempo lasciandoci interpellare dalle urgenze e dai bisogni che da essa affiorano, accogliendo l’anelito di speranza che sale dal cuore di ogni uomo e donna di buona volontà.
La Babele deve cedere il posto alla Gerusalemme, la disunione e la conflittualità alla fraternità, la contrapposizione alla comunione.
Maria, madre e modello della Chiesa pellegrina della fede e serva dell’amore, ispiri, accompagni, guidi i nostri passi e la sua compagnia ci sia di sprone e di speranza nell’arduo ma esaltante cammino della comunione.