Messa del Crisma
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giovedì 24 marzo 2005
Cattedrale
 
Rechiamoci in spirito al Cenacolo Santo di Gerusalemme e viviamo insieme al Maestro la tanto desiderata cena pasquale.
 “Ho desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con voi” (Lc 22,15)
Quel convito pasquale ha una carica emotiva straordinaria.
Tutto per volontà di Cristo è stato preparato accuratamente,
il momento è solenne e Gesù lo intende vivere sancendo con i suoi discepoli un atto irrevocabile ed eterno.
Davanti a Lui c’è tutto il cammino della Passione che da lì a poco dovrà affrontare:
 il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, l’abbandono degli apostoli,
i tribunali, le accuse, gli sputi, i flagelli, la morte in croce.
Questa vita spezzata, questa missione fallimentare avrebbe portato scoraggiamento, disperazione, sfiducia totale.
Gesù saggia il cuore dei suoi discepoli e li prepara all’ora suprema della sua vita compiendo gesti e pronunciando parole che hanno il sapore del testamento,
parole di un Dio fattosi uomo che realizzano ciò che significano,
parole che consacrano il gruppo dei dodici, danno un senso reale ai segni del pane e del vino, indicano lo stile di quanti si mettono alla sua sequela.
Lo stile dell’umiltà, del servizio. Gesù lava i piedi agli apostoli, il servizio come obbligo cogente dei discepoli del Signore Gesù qualifica e specifica tutta l’azione della Chiesa chiamata nei secoli a perpetuare l’opera di Gesù, ed essere presenza di Gesù nel mondo, sacramento, strumento di Gesù per la salvezza di tutti gli uomini: “il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,23).
In questa Messa del Crisma il sacerdozio ordinato rappresentato dal presbiterio insieme al suo Vescovo è chiamato dalla liturgia a rinnovare il proprio atto di fedeltà alla missione affidatagli da Cristo Gesù.
Nel cuore del mistero pasquale lasciamoci guidare dalla riflessione che il Santo Padre ci ha voluto inviare nella ormai consueta lettera del papa ai sacerdoti per il Giovedì Santo.
“La vita sacerdotale deve avere a speciale titolo una forma eucaristica.
Le parole dell’istituzione dell’Eucaristia devono perciò essere per noi non soltanto una formula consacratoria, ma una formula di vita”
 
Ripercorrendo il Canone della Messa siamo condotti attraverso il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia a penetrare con gli occhi della fede il Mistero di amore che trova nel segno del pane spezzato e del vino versato la sua forza sorgiva.

“Rese grazie con la preghiera di benedizione”
Il termine Eucaristia significa rendimento di grazie.
Rendiamo grazie per tutte le meraviglie che Dio va compiendo in noi e nel mondo intero.
Dio è amore, il suo amore provvidente e misericordioso ci raggiunge e ci accompagna con continui interventi di salvezza.
Gesù ringrazia il Padre.
Può il sacerdote che agisce nella persona di Cristo non vivere in un continuo rendimento di grazie?
Senza alcun nostro merito siamo stati chiamati, scelti, consacrati ministri del Signore.
Il sacerdozio è dono, solo dono, meraviglioso dono, pertanto la nostra vita non può essere che una vita grata, grata a Dio per tutto l’amore sovrabbondante e divino che ha riservato su di noi.
Dovrebbe sgorgare spontaneo dal nostro animo il canto di Maria, il Magnificat della lode e del ringraziamento a Dio,, ricco di misericordia e grande nell’amore.
Le difficoltà che incontriamo, le piccole, grandi croci di ogni giorno sono un niente in rapporto alla sovrabbondanza di grazie di cui siamo fatti oggetto.

Prendete e mangiate…prendete e bevete.
La Santa Cena anticipa il dono supremo di amore di Cristo sulla croce.
Anche il sacerdote dovrebbe poter dire: prendete e mangiate…prendete e bevete.
La nostra vita dev’essere puro dono, dono per gli altri, dono incondizionato,
senza riserve, a tempo pieno.
Dono che si fa servizio umile e prezioso di chiunque vive nel bisogno.
Anche la stessa obbedienza a cui ogni sacerdote si impegna nel giorno della Sacra Ordinazione prende luce dal rapporto con l’Eucaristia.
“Obbedendo per amore, rinunciando magari a legittimi spazi di libertà quando si tratti di aderire all’autorevole discernimento dei vescovi, il sacerdote attua nella propria carne quel prendete e mangiate con cui Cristo, nell’ultima Cena affidò se stesso alla Chiesa”.

“Questo è il mio corpo dato per voi e per tutti in remissione dei peccati”
Una salvezza che raggiunge tutti gli uomini e tutto l’uomo.
In quei tutti e tutto ci siamo noi sacerdoti.
Noi per primi siamo raggiunti nell’intimo dalla grazia che, sollevandoci dalle nostre fragilità, ci fa gridare “Abbà, Padre!”
La salvezza ci ha raggiunti con il santo Battesimo.
Siamo chiamati a progredire nella via della perfezione, a tendere decisamente alla santità, espressione piena della salvezza.
“Solo vivendo da salvati diveniamo annunciatori credibili della salvezza”
Quando abbiamo sperimentato la gioia di essere salvati cresce in noi l’ardore missionario, la voglia di spenderci per il Signore “mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22).
Così si esprime l’apostolo Paolo.

Fate questo in memoria di me.
Il memoriale cristiano è diverso da quello ebraico, non ricorda soltanto ma attualizza sacramentalmente la morte e la risurrezione del Signore Gesù.
Non è solo il ricordo di un fatto: ricorda Lui.
Siamo chiamati a coltivare una spiritualità della memoria:  “il sacerdote è l’uomo del ricordo fedele di Cristo e di tutto il suo ministero”.
 
Mistero della fede.
Solo gli occhi della fede possono percepire il prodigio straordinario che si è operato. Cristo veramente, realmente, sostanzialmente si rende presente sotto i segni del pane e del vino.
Noi sacerdoti siamo non solo i celebranti ma anche i custodi di questo grande Mistero. Siamo gli uomini del sacro e questa sacralità deve risaltare con forza quando celebriamo l’Eucaristia “come se fosse la prima Messa, la sola Messa, l’unica Messa della nostra vita.”.
È bello poter riempire la nostra giornata di tanta adorazione Eucaristica.
Così si costruisce la pastorale, da questo stile di vita deve partire ogni impresa apostolica che non sia vuoto operare.
L’eresia dell’azione è sempre in agguato.

“Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta”.
Celebrando l’Eucaristia cresce in noi il desiderio di cielo, dell’incontro pieno e definitivo con Lui.
L’Eucaristia dà le ali alla speranza e il sacerdote è un seminatore di speranza: “Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta” (Fil 3,13-14)
La gente vuol vedere in noi Cristo.
“Il sacerdote conquistato da Cristo più facilmente conquista altri alla decisione di correre la sua stessa avventura. Accanto alla nostra vocazione c’è sempre un sacerdote amico che ci ha affascinato con il suo stile giovane, gioioso, entusiasta, credente, ottimista, carico di speranza.
 
O Maria, madre e modello dei sacerdoti,
Tu che ci sei maestra
nella contemplazione del volto di Cristo
insegnaci ad apprezzare la Divina Eucaristia,
a celebrare con fervore i divini Misteri
a stare in compagnia di Gesù
nascosto sotto i veli eucaristici.
Tu che partecipi alla Pasqua eterna
nella gloria degli angeli e dei Santi
sii Madre tenerissima dei tuoi sacerdoti.
Accoglici, o Madre, come tuoi figli
ottienici la grazia di un sacerdozio
sempre fedele, giovane, sereno.
Amen.