Piano Pastorale 2004-2005
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sabato 28 agosto 2004
Diletti figli,
pace a voi e alle vostre famiglie!
Possiate avere nel cuore l'Amore
che regnava tra Gesù, Maria e Giuseppe
nell'umile casa di Nazareth!

"Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia" resta lo scopo prioritario di queste indicazioni pastorali. Esse rispondono al Progetto Pastorale "Da Babele a Gerusalemme: il cammino della comunione" che mi ha guidato in questi anni di servizio alla diocesi e che ho la gioia di consegnarvi assieme a questo Piano Pastorale.
Il Piano Pastorale di quest'anno, in continuità con il precedente triennio che ha cercato di tracciare il profilo teologico della parrocchia e di indicare i cardini del suo rinnovamento, intende fare un ulteriore passo avanti nel cammino verso la comunione assumendo la famiglia come modello pastorale e puntando su di essa come primo "soggetto" e "oggetto" della missione della Chiesa.
La famiglia, pur con le sue diverse declinazioni culturali, è istituzione costante e fondamentale dell'ordine sociale di tutti i popoli e di tutte le culture nella storia del mondo. Essa, inoltre, è da sempre, per i cristiani, il luogo privilegiato dell'annuncio di fede e della comunione. Avendo davanti la bellissima Nota Pastorale dei Vescovi Italiani "Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia", vogliamo che come primo sembiante di questo volto appaia quello delle famiglie.
L'obiettivo a cui tende decisamente il Piano Pastorale è questo: le nostre parrocchie siano come quelle case dell'età apostolica in cui le famiglie, convertite al Vangelo di Cristo, si riuniscono per spezzare il pane in letizia e semplicità di cuore e le nostre famiglie siano "piccole chiese" nell'intimità delle loro case.


Il termine "famiglia" nella tradizione cattolica

La parola famiglia ha una storia complessa. Oggi, anche nei dizionari, essa può definire semplicemente "un gruppo di persone legate da un impegno di convivenza fondato su una stabile coabitazione privata" (Dir), e su questa definizione la cultura contemporanea ha coniato il termine "famiglia di fatto".
Ma, nella sua etimologia, il termine ha un significato più ampio. In origine, infatti, familia era il plurale collettivo di famulus (che significa servitore) e nel mondo antico (latino, precisamente) indicava una comunità domestica, di liberi e schiavi, che componevano la casa di un cittadino; questo veniva chiamato pater familias.
All'interno di questo significato ampio e generico, il Cristianesimo ha ritagliato nel corso dei secoli un'accezione specifica che, sul modello della famiglia di Nazareth, indica con il termine famiglia il nucleo costituito dalla coppia uomo-donna e dai loro figli. È questa l'accezione assunta dalle Scienze Sociali, che precisano ulteriormente questo significato usando l'espressione di "famiglia nucleare o minima". Questa evoluzione del termine ha accolto anche l'idea della parità uomo-donna/marito-moglie facendo decadere il concetto patriarcale di capofamiglia riferito sempre all'uomo. In realtà, anche la riflessione cattolica conosce e assume accezioni allargate del termine famiglia in riferimento ai legami parentali sia verticali (nonni-nipoti) sia orizzontali (zii-cugini), sia in riferimento a forme di convivenza e coabitazione motivate da comuni ideali di vita (le famiglie religiose, la famiglia del seminario), fino ad indicare un gruppo di persone accomunate dall'appartenenza allo stesso territorio e alla stessa fede (la famiglia parrocchiale, la famiglia diocesana) o anche la Chiesa adunata nella preghiera liturgica e chiamata spesso famiglia di Dio.
La Sacra Scrittura, per indicare la famiglia, sembra sempre privilegiare il termine casa (oikía / oìkos). È un termine che nel Nuovo Testamento possiede una forte valenza ecclesiologica e negli Atti degli Apostoli indica anche il luogo di riunione dei primi cristiani. Non ci stupisce, dunque, che su questo termine greco sia nata la nostra parola italiana "parrocchia" (da pará-oikía) per indicare la comunità cristiana che si riunisce "tra le case" di un quartiere o che, più letteralmente, si pone "accanto, vicino" (pará) alle "case" (oikíai), dove le famiglie vivono concretamente la loro storia. Ci muoveremo, pertanto, tra le parole casa e famiglia per indicare quel mirabile scambio di valori che si può realizzare tra le parrocchie e le loro famiglie. Pur con tutti i mutamenti sociali in atto, infatti, gli uomini avranno sempre case da abitare e la Chiesa sentirà sempre l'urgenza di porsi vicina ad esse per sentire quale cuore vi batte dentro.


CAP I

LA CASA PERDUTA: IL GIARDINO DEL PARADISO

La famiglia di Adamo ed Eva: amore e conflitti I primi genitori della storia dell'umanità, Adamo ed Eva, secondo il racconto biblico, vengono posti insieme nel paradiso perché vivano in comunione di amore, ma essi trasgrediscono al comando di Dio e cominciano ad accusarsi a vicenda. Vengono cacciati dall'Eden e sperimentano da subito la tragedia dell'odio fratricida che vede uno dei loro figli (Caino) uccidere l'altro (Abele). Eppure il progetto di Dio era diverso. L'uomo e la donna erano stati creati con pari dignità: "A immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò" (Gen 1,27); non per la solitudine, ma per una reciprocità amante: "L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gen 2,24); non per la morte, ma per la vita: "Siate fecondi e moltiplicatevi!" (Gen 1,28). Ma il racconto biblico ci narra che l'uomo, abusando della sua libertà, infrange e vanifica il disegno d'amore di Dio. Nella pace dell'Eden, su istigazione del maligno, entra la rivalità e l'egoismo. Questi dilagano in una terrificante e ripetitiva esperienza di peccato e di morte alimentata dalla vendetta, spirale di odio che si avviluppa per settantasette volte nel proposito di Lamech, discendente di Caino (cf. Gen 4,24). Il Libro Sacro, dunque, ci avverte che nella famiglia si possono vivere tenerezza, intimità, calore, ma possono anche consumarsi tensioni e conflitti. La famiglia è il luogo in cui l'uomo e la donna si scoprono "carne dalla stessa carne" (cf. Gen 2,23), ma anche il luogo in cui possono cominciare a lanciarsi reciproche accuse. In essa un figlio può sperimentare la gioia di essere al mondo, ma può anche avvertire il rifiuto e l'abbandono. Tra fratelli ci si può amare, ma anche odiare, covare rancore e rivalità e, pur senza uccidere come ha fatto Caino, ci si può escludere l'un l'altro dalla propria vita. Cristo, con la sua testimonianza d'amore sponsale per la Chiesa e con il perdono ai suoi crocifissori, smaschera ogni egoismo e ricolloca la coppia e la famiglia nel progetto originale di Dio.


CAP II

MAMRE: IL PROGETTO DI UNA NUOVA CASA

La famiglia di Abramo:
il dono di un figlio sotto la tenda dell'ospitalità

Il cammino della storia sacra che conduce a Cristo è storia di famiglie.
Il peccato originale ha incrinato l'unità della famiglia umana. Dio decide di punire tutta l'umanità con il diluvio ma salva la famiglia di Noè. Partendo da essa viene ripopolata la terra nel segno di una rinnovata alleanza. Tuttavia, anziché costruire case per vivere in pace, gli uomini si uniscono per costruire una grande casa, la torre di Babele, come sfida al Cielo. La famiglia umana, nata dalla stirpe di Adamo, viene perciò dispersa nella confusione delle lingue (cf. Gen 11).
Ma Dio "non vuole abbandonare l'uomo in potere della morte e molte volte gli offre la sua alleanza" (cf. Pregh. Euc. IV), perciò fa nascere, per sua diretta iniziativa, una nuova famiglia: la famiglia di Abramo. Abramo viene chiamato a lasciare la propria terra, la casa di suo padre e di sua madre in vista di una discendenza che, nella promessa di Dio, sarà più numerosa delle stelle del cielo (cf. Gen 12). Egli, già vecchio, con la moglie Sara anziana e sterile, accoglie Dio come ospite e pellegrino nella sua casa, una tenda sotto la quercia di Mamre. Dio si presenta nella figura di tre uomini dinanzi ai quali Abramo si prostra e per i quali imbandisce la tavola. Sono essi ad annunciargli la nascita del figlio Isacco (cf. Gen 18). La fedeltà di Abramo viene messa alla prova quando Dio gli chiede di sacrificare il proprio figlio. Egli, obbedendo al comando del Signore, diventa figura della disponibilità di Dio a sacrificare il Figlio: "Dio ha tanto amato il mondo da dare a noi il suo Figlio unigenito perché il mondo si salvi per mezzo di Lui" (Gv 3,16ss).
La famiglia di Abramo ci insegna che ogni coppia è chiamata ad avere fiducia in Dio, che il figlio è progetto di Dio prima che essere gratificazione dei genitori e che l'accoglienza e l'ospitalità portano in ogni casa la benedizione del Signore. Da Abramo nasce la casa di Israele, il popolo eletto, quella Casa a cui parlerà Pietro il giorno di Pentecoste per annunciare la risurrezione di Gesù e l'apertura universale, in Cristo, della famiglia di Dio (cf. At 2,36).


CAP III

LA CASA DI DAVIDE STABILE PER SEMPRE

Discendenza davidica e messianismo regale

Da Abramo e Sara, di famiglia in famiglia, si arriva a Gesù. In mezzo c'è la grande storia del popolo di Israele, popolo nato dai patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe), schiavo in Egitto e liberato da Mosè, guidato da Giosuè nella Terra Promessa, costituito nazione da Davide che ne diventa il primo Re. Proprio il fallimento dell'esperienza storica della monarchia davidica introduce nell'attesa messianica l'idea di regalità. Il messia deve essere della casa regale di Davide, secondo la promessa fatta al Re dal profeta Natan: "Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno" (2Sam 7,12).
Nel Vangelo secondo Matteo l'Angelo chiama Giuseppe: "figlio di Davide" (Mt 1,20).
L'evangelista, attraverso una lunga genealogia, si premura di specificare la discendenza davidica di Giuseppe e quindi di Gesù, ma la prolunga a ritroso fino ad Abramo, inserendoli così nella linea dei patriarchi (cf. Mt 1,1ss).
In Luca il saluto dell'Angelo e il suo annuncio della nascita di Gesù a Maria compendia tutte le attese messianiche legate alla famiglia di Giacobbe-Israele e alla casa di Davide: "Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine" (Lc 1,32). Luca, infatti, spiega il motivo della partenza di Giuseppe verso Betlemme, città di Davide, con il fatto che egli "era della casa e della famiglia di Davide" (Lc 2,4). E, dopo aver precisato che "Gesù era figlio, come si credeva, di Giuseppe" (Lc 3,23), Luca traccia la sua genealogia fino ad Adamo, fino, cioè, alla coppia primordiale che aveva disobbedito al comando del Signore.
Il riscatto di Adamo è compiuto, la promessa di una famiglia inestinguibile per il patriarca Abramo e per il re Davide è stata mantenuta. Quando Dio vuole ricominciare il suo cammino di alleanza con l'uomo parte da una coppia e da una famiglia: Adamo ed Eva, Abramo e Sara, Davide e Betsabea. Ultimo anello di questa catena è "Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo" (Mt 1,16).


CAP IV

LA FAMIGLIA DI GESÙ: LA PAROLA AL CENTRO

La casa di Nazareth: Amore, Verità, Libertà

La famiglia di Nazareth è piena di Amore. Il fatto che le relazioni al suo interno siano sorrette da un progetto di Dio, del quale tutti e tre sono a conoscenza, non toglie nulla alla verità e al coraggio dei gesti compiuti da ciascuno dei suoi membri.
Giuseppe, fattosi guida di un lungo e pericoloso viaggio, insieme a Maria che era incinta, per assolvere al censimento di Cesare Augusto, non si sottrae al dovere di dare il nome a Gesù, inserendolo legalmente, così, nella dinastia davidica e impegnandosi a custodirlo e crescerlo come figlio suo. Giuseppe è fedele a Dio e nello stesso tempo fedele a se stesso, avendo liberamente accolto il progetto divino sulla linea della "giustizia" di Abramo. La circoncisione di Gesù Bambino e la sua presentazione al tempio è contemporaneamente un atto giuridico-legale e un atto religioso: sancisce il valore istituzionale della famiglia come fondamento stabile della società ed esprime il carattere di dono che ha un figlio per un padre e una madre. Anzi, nel caso della famiglia di Nazareth, proprio la verità della figliolanza divina di Gesù universalizza la non appartenenza di un figlio ai genitori carnali come semplice proprietà. Nella famiglia ognuno dei membri è un dono per l'altro.
Maria accoglie Gesù come un dono, ma apprende presto che la sua maternità non sarà facile: una spada di dolore le trafiggerà l'anima (cf. Lc 2,35). In tal modo mentre, come ogni madre, educa il figlio e lo vede crescere "in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52), comincia anche ad imparare da Lui, serbando nel cuore i suoi gesti e le sue parole (cf. Lc 2,51). Solamente questa attenzione le permette di poterlo seguire su strade sconosciute e inattese che conducono infine al pendio fuori dalle mura di Gerusalemme chiamato Golgota.
Maria può esercitare, come a Cana (cf. Gv 2,1-11), la sua autorità di Madre del Re (Ghebirà), ma solo perché anche lei si è liberamente sottoposta alla medesima volontà, alla medesima Parola. Può comandare: "Fate quello che vi dirà" (Gv 2,5), perché lei per prima è divenuta discepola del Figlio. Per questo motivo, stando sotto la croce, può ottenere da Gesù una più alta e impegnativa maternità: "Donna, ecco il tuo figlio" (Gv 19,26).
Gesù, "nato da donna, nato sotto la legge" (Gal 4,4), si sottomette alla volontà dei genitori terreni (cf. Lc 2,51) per poter meglio obbedire al Padre e "riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,5). A dodici anni, età in cui ufficialmente per Israele si esce dall'infanzia, Gesù manifesta già chiaramente la sua vocazione richiamando Giuseppe e Maria ad una coscienza che anche loro non devono smarrire: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49). Tuttavia, Gesù solo in età adulta si allontana dalla sua famiglia, spinto dall'urgenza dell'annuncio del Regno e dal compimento della volontà del Padre suo celeste.
Nella famiglia di Nazareth il legame affettivo e il vincolo sociale (pur non sancito per parte di Giuseppe dal legame di sangue) non entrano in conflitto con il compimento della volontà di Dio a cui ciascuno dei membri della famiglia è chiamato. Esiste piuttosto un principio di libertà che nasce soltanto dall'amore sincero e dalla verità con cui si sono strette le relazioni d'affetto. Queste caratteristiche, assieme a quelle della famiglia di Abramo e dei fratelli di Betania (Lazzaro, Marta e Maria) contribuiscono a tracciare un modello familiare suggestivo, a cui non si sottrae certamente lo sviluppo dell'idea di famiglia che attraversa la Chiesa dalle origini fino ad oggi.


Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?

Quanto detto ci aiuta a capire meglio il senso di alcune espressioni di Gesù che a prima vista possono sconcertare, tanto sembrano andare contro i legami istituzionali della famiglia.
Per ben comprenderlo siamo chiamati ad entrare nella logica "scandalosa" di Gesù. Il suo messaggio è infatti per molti di scandalo (che significa inciampo), perché indica la strada dell'amore molto difficile da percorrere. Questo vale specialmente quando la contiguità di parentela fa più facilmente cadere in un conflitto i membri della stessa famiglia o per motivi di gelosie affettive o per questioni di eredità. Sappiamo che proprio a Nazareth Gesù non poté predicare e operare miracoli perché i suoi parenti e i suoi compaesani sentendolo parlare "si scandalizzavano per causa sua" e fu in quell'occasione che disse: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua" (Mt 13,57). Ma mentre l'inciampo prodotto dal Vangelo di Gesù è salutare perché porta al cuore dell'amore del Padre, ci può essere, per contro, un inciampo che impedisce di vedere Gesù e di compiere, in Lui, la volontà del Padre. Di questo inciampo Gesù dice: "Se la tua mano ti è di scandalo, tagliala e gettala via da te; conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo finisca nella Geenna" (Mt 5,30); e della sorte di chi scandalizza i piccoli che credono in Lui afferma che "sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina e fosse gettato negli abissi del mare" (Mt 18,6). Quando lo stesso Pietro vuole impedirgli di seguire la logica martiriale della volontà del Padre e contrappone un programma di violenza alla logica della croce, Gesù risponde: "Lungi da me Satana, tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini" (Mt 16,23). L'unico scandalo salutare, dunque, è quello della croce che ha infranto il muro di separazione, cioè l'inimicizia, e ha reso tutti gli uomini fratelli (cf. Ef 2,14).
In ogni circostanza Gesù invita a seguire comportamenti che mirano ad annullare quelle rivalità e quei conflitti, che la società, e spesso anche noi cristiani, tendiamo a giustificare come male minore. Queste rivalità possono emergere nelle famiglie in alcuni momenti particolarmente delicati, quali la spartizione di una eredità o la reazione dei figli ad una preferenza accordata dai genitori a qualcuno di loro. Ad un tale che gli chiede: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità", risponde: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore tra di voi?" (Lc 12,13). In questo modo Gesù rifiuta di entrare in un conflitto tra fratelli e rende palese la loro mancanza di libertà dai beni di questo mondo.
Queste logiche di conflitto sono molto attive anche nella storia della salvezza e portatrici di inganni e di violenza. Pensiamo alla primogenitura strappata da Giacobbe ad Esaù o alla violenza dei figli di Giacobbe contro Giuseppe, il preferito del padre. Tutto questo non trova posto nel messaggio di Gesù che predica: "Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano" (Lc 6,27ss) "perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni" (Mt 5,45). Questa parola di Gesù, testimoniata fino al supplizio della croce e al perdono dei suoi assassini, sarà di scandalo sino alla fine dei tempi in quanto rompe la logica umana del "regolamento dei conti". La rinuncia cristiana a perpetuare i conflitti, rinnegando se stessi e seguendo Gesù portando la propria croce, può scatenare la violenza di chi non riesce a sottostare alla logica "scandalosamente perdente" del Vangelo. È questa la logica che soggiace sempre al martirio: per non aver accettato di essere complici si è oggetto di persecuzione. In questo senso il Vangelo di Gesù diventa pietra di scandalo ed elemento di divisione anche all'interno dei legami parentali. Perciò proprio nel discorso sulla missione e sull'annuncio Gesù dice: "Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome" (Mt 10,21) "e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa" (Mt 10,36). Si tratta, dunque, anche e soprattutto nei legami familiari e con il prossimo, di ribaltare la spirale vendicativa di Lamech ("Settantasette volte!") e di portare fino alle estreme conseguenze l'insegnamento di Cristo, vivendo la logica impegnativa e disarmante del perdono: ""Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette"" (Mt 18,21).
Compiere la volontà di Dio significa imitare Gesù al di sopra di qualunque altro modello, anche importante, come quello dei propri genitori. Dopo aver invitato un uomo alla sequela, Gesù si sente chiedere: "Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre", e la risposta del Maestro non ammette dubbi: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio" (Lc 9,60). Amare Lui significa amare il suo desiderio di compiere la volontà d'amore e di riconciliazione del Padre. Perciò Gesù dice perentoriamente: "chi ama il padre e la madre, il figlio o la figlia più di me non è degno di me" (Mt 10,37). Si corre altrimenti il rischio di ricadere nella logica umana del conflitto e della violenza innescati nell'uomo dal peccato fin dai tempi di Adamo ed Eva. Ecco perché, rivolgendosi a chi vuole farlo sottostare a questi modelli umani, Gesù risponde: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?… Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli, perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre" (Mt 12,48ss). Alla donna che alza la voce in mezzo alla folla e che esclama: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!", Gesù risponde: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (Lc 11,27s). È proprio questo ascolto che genera nel cristiano la beatitudine annunciata nel discorso della Montagna (cf. Mt 5,1-12), scandalo per eccellenza di tutta la predicazione di Gesù.
Chi pensa alla famiglia come un idillio e non vi scorge i latenti conflitti che possono esplodere in essa, non guarda con verità a questa realtà che solo nella dinamica sacramentale della grazia, e quindi nella vita in Cristo dei suoi membri, può superare tutte le sue tensioni e diventare modello autentico dell'amore di Dio. Come afferma Gesù, è "per la durezza del cuore", per l'incapacità della coppia di comprendersi e perdonarsi a vicenda, che Mosè ha consentito in alcuni casi il divorzio, "ma in principio non fu così" (Mt 19,8).

La casa di Betania: ospitalità ed amicizia

È nella logica del primato assoluto della parola di Dio, che Maria di Betania si siede ai piedi di Gesù in ascolto della sua parola. Mentre la sorella Marta si preoccupa e si agita per molte cose, Maria sceglie "la parte migliore che non le sarà tolta" (Lc 10,42). L'affaticarsi per le cose terrene, sebbene importanti, non può infatti paragonarsi a quella libertà di cuore e a quella felicità che donano l'ascolto della parola di Gesù e la sua sequela. Nella casa di Betania Gesù è sempre ospite desiderato e amico gradito: qui manifesta la potenza della sua preghiera al Padre risuscitando l'amico Lazzaro; qui provoca la piena professione di fede di Marta; qui si fa ungere con olio e unguento profumato da Maria. I tre fratelli accolgono la visita di Gesù come quella di Dio stesso, come fece Abramo nella sua tenda con i tre pellegrini. Con lui condividono l'amicizia e il pasto fraterno, facendo della loro casa un segno profetico sia del cenacolo dentro cui Gesù Risorto spezza il pane con gli apostoli, sia di quelle case delle prime comunità cristiane in cui gli apostoli spezzano il pane celebrando le prime Eucaristie.

CAP V

LA CHIESA: CASA E FAMIGLIA DI DIO

Fondata sulla pietra scartata

"La pietra, che i costruttori hanno scartato, è divenuta la pietra angolare" (1Pt 2,7).
Su questa pietra scartata Dio getta le fondamenta di una nuova casa per l'umanità, dove tutti da fratelli possano vivere in intimità con Lui come in una sola famiglia, dove "non si è più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù" (Ef 2,19ss). È una casa "in cui ci sono molti posti" (Gv 14,2) e in cui tutti, per grazia, possiamo abitare nell'oltre dei tempi. Infatti, dopo che sarà distrutta la dimora di questo esilio terreno, "riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli" (2Cor 5,1). La pietra scartata è Cristo Risorto (cf. At 4,11). "Stringendoci a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche noi veniamo impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale" (cf. 1Pt 2,4). Questo "edificio spirituale", questa "casa di Dio, è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità" (1Tm 3,14ss).
Le immagini della casa e della famiglia hanno una forte connotazione ecclesiologica e si presentano, pertanto, come modelli della comunità. Nelle Lettere Pastorali il vescovo assume il tratto del "sovrintendente della casa" che ha cura di tutto e di tutti, "perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?" (1Tm 3,5). Questa famiglia, fondata sull'ascolto della parola di Gesù, è simile a un uomo che ha costruito la sua casa sulla roccia, su cui nulla possono il vento e lo straripamento dei fiumi (cf. Mt 7,24).
Il modello familiare diventa come una regola di comportamento ecclesiale e un'immagine dei rapporti che devono essere vissuti all'interno della comunità.
Nell'equilibrio dei ruoli, dentro la famiglia vige, infatti, il comando paolino: "Siate sottomessi gli uni gli altri nel timore di Cristo" (Ef 5,21). La presenza di Cristo, riqualificando i rapporti all'interno del nucleo familiare, ne fa un'immagine della Chiesa stessa e del suo rapporto sponsale con il Signore. È proprio in seguito a questo comando di "sottomissione reciproca" che Paolo sviluppa la similitudine marito-Cristo, moglie-Chiesa. Cristo si è sottomesso all'umanità, umiliando se stesso e assumendo la condizione di servo (cf. Fil 2,6ss), e ha dato se stesso per lei "al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga" (Ef 5,27), così la Chiesa sta sottomessa a Cristo, "lui che è il salvatore del suo corpo" (Ef 5,23).
Su questa unità indefettibile di Cristo Sposo e della sua Chiesa Sposa, sottomessi l'uno all'altra nell'amore vicendevole, viene ricollocato il rapporto sponsale uomo-donna, nella sua unità e indissolubilità sacramentale, con un passaggio che è di straordinaria portata nel testo di Paolo: "Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola. Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!" (Ef 5,31ss).
Questa stessa vicendevole sottomissione nel timore di Cristo determina l'invito paolino ai figli di obbedire ai genitori, e l'invito ai padri di non inasprire i propri figli (cf. Ef 6,1-4).
La presenza del timore di Cristo fa della famiglia e della casa la prima piccola comunità cristiana. La famiglia e la casa sono il luogo dell'accoglienza e dell'ospitalità, in cui il pasto evoca la comunione della frazione del pane e in cui le decisioni sono il primo discernimento ecclesiale dei carismi ed inoltre sono il luogo in cui avviene e da cui parte la semina del Vangelo. Quest'esperienza vissuta dalla Chiesa delle origini è auspicabile che sia recuperata e, in forma nuova, riproposta dalla Chiesa del terzo millennio.
Le case della prima evangelizzazione:
luogo della famiglia, luogo della Chiesa

Se guardiamo alla prima semina del Vangelo ci accorgiamo che essa si sviluppa secondo due destinazioni e modi diversi. Il cherigma apostolico, l'annuncio della morte e della risurrezione di Gesù, segue una modalità pubblica e una privata. La prima avviene nel tempio di Gerusalemme, nelle sinagoghe dei Giudei e nelle piazze dei pagani, mentre l'altra nelle famiglie. In fondo tutto questo ricalca la modalità di predicazione di Gesù, che annuncia il Vangelo del Regno nel tempio, nelle sinagoghe e anche nelle case private. Il suo mandato missionario ai settantadue discepoli ha come oggetto le case con le loro famiglie: "In qualunque casa entriate prima dite: "Pace a questa casa". Se vi sarà un figlio della pace la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi" (Lc 10,5).
Gli Atti degli Apostoli ribadiscono questa duplice presenza della comunità apostolica nel tempio che frequentano tutti insieme e nelle case dove spezzano il pane prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore (cf. At 2,46).
Lo stesso Pietro che parla nelle sinagoghe porta pure l'annuncio ai pagani recandosi nella casa del centurione Cornelio e celebrando lì il primo battesimo di pagani convertiti (cf. At 10,44-48).
Le Lettere Paoline confermano questo duplice movimento evangelizzatore e ci danno molte indicazioni sul coinvolgimento di alcune famiglie evangelizzate e diventate poi soggetto di evangelizzazione. È questo il caso dei due coniugi Aquila e Priscilla (cf. At 18). Essi sono due "fabbricatori di tende" che, profughi da Roma a causa dell'editto di Claudio che ha allontanato dalla Città tutti i Giudei, si sono stabiliti a Corinto. Qui arriva Paolo e si ferma a casa loro a lavorare. In questo modo ricevono l'annuncio del Vangelo. Sempre a Corinto Paolo entra nella casa di un tale, chiamato Tizio Giusto, che abita vicino alla sinagoga (cf. At 18,7). Si converte anche Crispo, capo della sinagoga, con tutta la sua famiglia (cf. At 18,8). Alla fine del soggiorno di Paolo a Corinto, Aquila e Priscilla partono con lui sino ad Efeso dove scoppia un tumulto contro l'apostolo. Essi rischiano la vita per salvare quella di Paolo e nella loro casa si riunisce una comunità (cf. Rm 16,3). La loro famiglia doveva essere tenuta in grande considerazione se troviamo ancora un saluto rivolto a loro nella Seconda Lettera a Timoteo (cf. 2Tm 4,19).
Capita a volte che l'incontro con una famiglia avvenga dopo il contatto della predicazione esterna. È il caso di Lidia, che avendo ascoltato la predicazione di Paolo, si converte e, "dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia" (At 16,15), invita Paolo e Timoteo a fermarsi a casa sua. Le case diventano il luogo abituale di riunione, non solo per la catechesi, ma anche per la frazione eucaristica del pane. Apprendiamo infatti che a Troade (cf. At 20,7-12) Paolo riunisce la comunità per spezzare il pane proprio "il primo giorno della settimana" (le prime domeniche della storia della Chiesa!) in una casa a tre piani, nella stanza al piano superiore. Paolo fa una predica molto lunga, forse perché è alla vigilia di una partenza, e il servo Eutico si addormenta e cade dal terzo piano!
Dunque: case e famiglie, tante! Dalle Lettere di Paolo, soprattutto nei saluti, si colgono molti legami parentali, segno del coinvolgimento di più famiglie come destinatarie e come protagoniste nella sua opera di evangelizzazione. Così sappiamo di Andronìco e Giunia e di Erodione, suoi parenti, e dei familiari di Aristòbulo e della casa di Narcìso, di Rufo e sua madre, Nèreo e sua sorella (cf. Rm 16); e del grande credito che aveva presso Paolo la famiglia di Stefana, primizia dell'Acaia, i cui membri, dice l'apostolo, "hanno dedicato se stessi a servizio dei fedeli" (1Cor 16,15); e la casa di Cesare, evidentemente in ottimi rapporti con la comunità cristiana di Filippi (cf. Fil 4,21); così sappiamo che Marco e Barnaba sono cugini e che a casa di una convertita, Ninfa, si raduna una comunità (cf. Col 4,10.15); è cristiana anche tutta la famiglia di Onesìforo (cf. 2Tm 4,19). Di tanti altri laici apprendiamo il nome e non sappiamo se fossero parenti. Ma certo molti di loro vengono da famiglie coinvolte direttamente, diremmo oggi, nella pastorale.
Entriamo ora nel vivo del discorso pastorale, rincuorati da una storia biblica che vede nella famiglia un elemento di comunione e di coesione della comunità cristiana. Ancora oggi la parrocchia è il luogo in cui la famiglia può realizzare la sua vocazione e a cui può dare un enorme contributo di umanità e di fede. Vogliamo vedere la parrocchia, casa tra le case, ma anche famiglia di famiglie. Le famiglie costituiscono la struttura portante della parrocchia e sono chiamate ad essere soggetto protagonista della vita pastorale parrocchiale, in cui esse possono riversare i doni dello Spirito di cui sono arricchite.


CAP VI

LA PARROCCHIA: GRANDE CASA TRA LE CASE, GRANDE FAMIGLIA DI FAMIGLIE

Costruire la casa, costruire la famiglia

Giovani ed educazione all'amore
Sbaglia chi pensa che i giovani non credono nella famiglia. Da tutte le inchieste condotte sugli adolescenti risulta che c'è in loro un "desiderio di famiglia", che la famiglia resta punto di riferimento della loro vita e in essa trascorrono più anni di quanto non accadeva in passato. Purtroppo, sempre più spesso i giovani possono trovarsi a crescere in una famiglia "in crisi", a volte assistono al suo naufragio e questo non li aiuta a creare le basi per costruirne una più solida. Anche il relativismo morale in cui è immersa la nostra società, il suo estremo soggettivismo e lo scollamento tra vita affettiva e vita sessuale, non aiutano i giovani ad accettare il confronto con modelli esterni. Se le parrocchie si aprissero di più al contatto con i giovani, diventerebbe più facile assistere alla nascita di una relazione d'amore tra due giovani e accompagnarla, proponendo di volta in volta i valori cristiani alternativi alla mentalità imperante.
Fidanzamento: "posso fidarmi dell'altro?"
C'era un tempo in cui il fidanzamento era un atto ufficiale che si compiva tra due famiglie che, in tal modo, cominciavano a conoscersi: questo a discapito di una reale conoscenza tra i due fidanzati. Oggi, due giovani "stanno insieme", spesso frequentano l'uno la famiglia dell'altro e questo per anni. Il loro è un rapporto fondamentalmente privato in cui sono loro, di volta in volta, a coinvolgere chi vogliono. Paradossalmente si è andato da un estremo all'altro. Se prima si rischiava un fidanzamento senza innamoramento, oggi si rischia un innamoramento senza fidanzamento. Il fidanzamento, che può sembrare una parola obsoleta, fa etimologicamente riferimento alla fiducia che deve costruirsi tra due persone. La fiducia ha bisogno di relazioni esterne alla coppia, di confronti con persone adulte amiche e di stimoli veri. Da solo l'amore muore. Non è raro il caso di coppie che "stanno insieme" per molti anni e solo quando decidono il matrimonio capiscono di non amarsi, di sentirsi più fratelli che innamorati.
Sempre più frequentemente questo capita nei primi mesi di matrimonio. La coppia "chiusa" ingenera poi il fraintendimento che certi aspetti sgradevoli dell'uno o dell'altro potranno essere cambiati dopo il matrimonio. Aspettativa questa che il matrimonio puntualmente smentisce.
Sarebbe auspicabile proporre nelle parrocchie, con i modi possibili di aggancio, cammini specifici per ragazzi e giovani che stanno vivendo relazioni affettive, magari accompagnati da giovani sposi più sensibili, per attuare una preparazione remota per quelli che saranno i momenti decisivi della scelta del matrimonio.

La decisione del matrimonio: "ci sposiamo in chiesa?"
L'ideale è veder maturare la decisione del matrimonio all'interno di un percorso di fede nella parrocchia. Sempre più spesso, invece, la coppia che chiede di sposarsi non frequenta assiduamente la comunità ecclesiale. Eppure la scelta di sposarsi in chiesa, sebbene fatta a volte per tradizione o per motivi tutt'altro che spirituali, rappresenta un'occasione propizia per riallacciare un rapporto.
Per quanto riguarda le coppie più lontane, anche l'iscrizione della data del matrimonio può essere un'occasione buona da sfruttare con accortezza, offrendo un'accoglienza calda e ricca di misericordia. Di solito manca ancora almeno un anno al matrimonio, durante il quale si possono creare occasioni di riflessione sulla scelta del matrimonio in chiesa. Può essere utile anticipare un'indagine spontanea, iniziare un colloquio su quelle che saranno le domande portanti del processicolo matrimoniale, facendo riflettere anche su quelle condizioni che rendono invalido un matrimonio. In questo primo approccio si cerchi di motivare la coppia a compiere, insieme ad altre coppie, un percorso di riflessione sul matrimonio. Naturalmente ha rilevanza il fatto che i fidanzati che chiedono di sposarsi vadano a costituire il proprio nucleo familiare all'interno del territorio della stessa parrocchia. Questo apre la coppia, infatti, ad una relazione più solida nel tempo con la vita della parrocchia stessa. In caso diverso è utile un contatto tra il parroco che accoglie i fidanzati per il matrimonio nella sua comunità e il parroco della parrocchia di destinazione. La benedizione della casa può essere per quest'ultimo una prima occasione favorevole di incontro.

Il matrimonio "prima, durante e dopo"
I fidanzati sono chiamati a compiere la preparazione prossima al matrimonio.
Questa serie di incontri comporta l'impegno a intraprendere un cammino che aiuta le giovani coppie a instaurare un rapporto più forte con la parrocchia. Indipendentemente dalle modalità e dai tempi richiesti (secondo le esigenze di ogni interparrocchialità) gli incontri si configurino come esperienze forti di vita cristiana e non solo come catechesi e parenesi sul matrimonio. Con il coinvolgimento di altre coppie già sposate si sperimentino giornate di incontro e di fraternità per la formazione umana e spirituale dei futuri sposi. Non sono da tacere le difficoltà della vita matrimoniale e vanno specificate le responsabilità maggiori che comporta il matrimonio sacramento rispetto al matrimonio solo civile. Si attui opportunamente un discernimento di quelle coppie che appaiono più disponibili a continuare il cammino dopo la celebrazione del matrimonio.
È quanto mai opportuno, in prossimità della celebrazione del matrimonio, che le coppie siano presentate alla comunità durante la celebrazione eucaristica domenicale. Nei limiti del possibile è da favorire la partecipazione di alcuni membri della comunità alla celebrazione del matrimonio, per esempio di quelli che frequentano quotidianamente l'Eucaristia, privilegiando in quel giorno soltanto la Messa di nozze. È importante anche stabilire anticipatamente una data per far ritrovare in un momento di festa tutte le coppie di giovani sposi e, per quanto è possibile, andarle a trovare nei primi mesi di matrimonio.

Lo stupore del primo figlio: paternità e maternità al difficile esordio
La nascita del primo figlio è un momento molto delicato e complesso. Non sono poche le coppie che dilazionano a lungo l'arrivo di un figlio e poi trovano difficoltà nel concepirlo o nel portare a termine la prima gravidanza.
La nascita di un bambino rimane comunque e sempre un momento di gioia indicibile per la coppia. Sia lui che lei, sebbene in maniera diversa, avvertono lo scarto tra il loro contributo al Mistero e l'esito sproporzionato del loro gesto d'amore che è la meraviglia di un bambino che si intesse nel grembo della madre. Gli odierni strumenti di indagine permettono di entrare dentro il mistero della gestazione materna e lo stupore che ne deriva è prontamente spettacolarizzato dalla televisione e dagli altri media. Una donna incinta è ancora una delle "manifestazioni del sacro" unanimemente riconosciute ed accolte. La donna stessa percepisce questo suo ruolo ed è presa da un senso di vertigine che la pone dinanzi alla potenza della vita che vuole venire al mondo e dinanzi alla sua debolezza e fragilità. Il senso religioso delle donne incinte è accentuato dalla loro condizione psicologica che le fa temere per sé e per la sorte del nascituro. Dunque, l'attesa di un figlio pone la coppia dinanzi a domande nuove a cui la fede può dare le giuste risposte. Si richiede in tal senso un'attenzione pastorale più puntuale. È opportuno che si inserisca durante una Messa festiva la prevista benedizione delle donne incinte.

Lo battezziamo?
Nella nostra realtà diocesana quasi tutte le coppie decidono di battezzare i propri figli. Il battesimo può essere o un momento affrontato con superficialità o un'occasione privilegiata di riflessione. Nella catechesi che prepara al battesimo si cerchi di attenzionare la reale condizione della coppia e di entrare nel suo vissuto aprendola al grande ruolo educativo che essa deve svolgere in tutta l'età prescolare del figlio: tra 0 e 6 anni. La catechesi prescolare, infatti, è affidata in massima parte ai genitori (a volte anche ai nonni o agli zii). Non si sottolinea forse abbastanza l'importanza di questa fascia di età per la catechesi. Tra 0 e 6 anni il bambino ha già determinato in gran parte il suo carattere, si è costituito una prima germinale (ma già operativa) visione del mondo e ha più o meno sviluppato il suo senso religioso. Un'idea sbagliata di Dio e della realtà, comunicata a quell'età, può produrre delle forti resistenze ad una prospettiva di fede nel momento in cui da solo, il ragazzo ormai adolescente, si porrà le domande sul senso della vita. La preparazione al battesimo può essere felice occasione per motivare i genitori ad esercitare questo compito sottolineando l'importanza dell'educazione religiosa per la salute psicoaffettiva dei figli. È bello consegnare loro il Catechismo dei bambini e attivare un confronto che permetta anche a loro di recuperare "l'alfabeto della fede" per poter parlare di fede ai loro figli. Si insista anche sul ruolo del padre e non solo della madre.
Oggi i ruoli sono molto più intercambiabili e vanno dunque rivisitati, sebbene il linguaggio ancora tenda a privilegiare la madre nel ruolo educativo (matrimonium) e il padre nel ruolo di sostegno economico (patrimonium) della famiglia. Proprio nel cambiamento culturale in atto è cresciuto enormemente il ruolo educativo delle scuole materne.
Si curi il rapporto con gli educatori di queste scuole e anche con i bambini. Si può così suscitare, nel caso in cui la coppia non frequenti già la parrocchia, il primo approccio di un bambino alla figura del sacerdote, magari in contesti creativi e di svago più capaci di imprimersi nella memoria dei bimbi.


Abitare la casa: famiglia ed educazione cristiana dei figli

Centralità della famiglia e corresponsabilità della parrocchia
L'inserimento di un bambino nella catechesi parrocchiale non deve impoverire, ma piuttosto potenziare il ruolo della famiglia nell'educazione cristiana dei figli. Se guardiamo la prassi biblica della catechesi, scopriamo subito il ruolo preminente della famiglia. All'interno del popolo di Israele i due cardini della fede (l'unicità di Jahvè come Signore e il suo intervento liberatore in Egitto) sono affidati alla trasmissione familiare. pensiamo, come esempio, alle parole dello shemà: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai" (Dt 6,4-7). La notte di Pasqua, nel contesto rituale della cena ebraica, il bambino più piccolo della famiglia deve chiedere al padre perché si stanno mangiando le erbe amare e a quel punto il padre racconta l'esodo del popolo di Israele attraverso le acque del Mar Rosso (cf. Dt 6,20ss). Ma così è stato anche per i cristiani in tanti secoli.
È la famiglia il cuore della trasmissione dei valori. Il ragazzo, insieme a tutto il patrimonio di gesti e di parole che fanno parte della cultura e dell'educazione dei genitori, riceve in modo semplice la fede in Gesù, figlio di Dio, morto e risorto per noi. Quanto vale un gesto comune della famiglia! Una preghiera prima di intraprendere un'attività, il segno di croce a tavola, la spiegazione di alcune parole della fede. Per quanto una parrocchia possa organizzare una buona catechesi ed avere bravi catechisti-educatori, la consegna del cherigma cristiano rimane compito prioritario e insostituibile della famiglia. In famiglia il bambino comincia a fare spontaneamente delle domande sulla fede (sempre, per esempio, dinanzi al Crocifisso). È quello il momento in cui il bambino riceve il primo annuncio della fede, che avviene sempre per trasmissione orale. La risurrezione non può essere spiegata, ma solamente annunciata perché possa essere creduta "sulla parola", come accadde a coloro che ascoltarono gli apostoli (fides ex auditu). L'annuncio di un padre e di una madre al figlio ha tutta la credibilità del loro ruolo. Il bambino si fida dei suoi genitori in tutto e anche in questo. Diventato ragazzo, si interrogherà sulla fede ricevuta, ma più importante del suo ragionamento sarà la fiducia con cui aveva accolto il primo annuncio. Ci sembra importante che le famiglie partecipino alle feste cristiane liturgiche, ma anche alle feste patronali con le loro processioni o rievocazioni visive dei racconti evangelici. Proprio in esse avviene spesso il primo annuncio della fede ai bambini, con l'apprendimento del segno di croce e delle prime preghiere. In tal modo il bambino percepisce il patrimonio della fede come qualcosa che appartiene a tutta la sua famiglia e al contesto sociale in cui vive.

Il completamento dell'Iniziazione cristiana
Alla luce di ciò che abbiamo detto si coglie quanto sia superato il modello scolastico nella catechesi parrocchiale, con le sue classi, i suoi catechisti-maestri, le sue interrogazioni. Nella catechesi il bambino non deve vedere una fotocopia (spesso sbiadita) della vita scolastica. Deve respirare un'atmosfera diversa, a cominciare dalla disposizione del luogo dove si svolge. Molto si deve puntare sulla creatività e sull'entusiasmo dei catechisti. Un catechista che non conquista la fiducia dei ragazzi, che non si pone in maniera umanamente credibile davanti a loro o che racconta la risurrezione di Gesù come a scuola un insegnante può parlare della scomposizione degli insiemi, ha davvero poche probabilità che quell'annuncio diventi gioiosa comunione tra lui e il suo gruppo di catechesi. In particolare il catechista-educatore deve privilegiare la modalità del narrare. Il racconto biblico, infatti, come ogni racconto, per sua natura non si pone come un contenuto da memorizzare, ma possiede una carica simbolica capace di entrare in maniera spontanea nel vissuto esperienziale del ragazzo. Nel rispetto anche della gradualità, può essere proponibile privilegiare l'ascolto della Parola in una liturgia domenicale senza la Messa per i ragazzi più piccoli (6-8 anni), inserendoli pian piano nel contesto della celebrazione eucaristica di tutta la comunità.
Quali che siano, comunque, il percorso e le tappe previste per completare l'Iniziazione cristiana, la trasmissione dei contenuti di fede va fatta di pari passo con l'esperienza di fede. Questo approccio, più esistenziale ed esperienziale, non può che stimolare ed esigere una più stretta collaborazione con la famiglia. Ciò non significa delegare esclusivamente alla famiglia la missione di educare alla fede i propri figli, ma vivere l'esperienza della complementarietà della famiglia domestica con la famiglia parrocchiale. Ci sono, infatti, esperienze che soltanto la famiglia può trasmettere, mentre rimane indiscutibile il ruolo socializzante della parrocchia come agenzia educativa "altra", in cui il bambino può aprire un raggio più ampio delle sue relazioni rispetto alla famiglia e può viverle in maniera meno istituzionale rispetto alla scuola.
La parrocchia ha dunque un ruolo educativo specifico a cui non deve assolutamente abdicare.

La prima Eucaristia dei ragazzi: primo culmine e sorgente per la vita
La comprensione di fede dell'Eucaristia e della celebrazione domenicale è il punto di arrivo e l'obiettivo di tutta la catechesi di Iniziazione. La "prima comunione" nel nostro contesto culturale ha ancora una forte connotazione antropologica di iniziazione alla vita sociale e quindi trova una forte adesione numerica delle famiglie che ancora chiedono il sacramento per i loro ragazzi. Ma l'abbandono della Messa domenicale da parte di un gran numero di ragazzi giunti all'adolescenza ci mostra la difficoltà che incontra la catechesi nel raggiungere il suo traguardo.
Attualmente nelle parrocchie della nostra diocesi si stanno seguendo due percorsi. Il primo ha posticipato la cresima rispetto alla prima eucaristia dei ragazzi, invocando il principio di una più cosciente assunzione di responsabilità ecclesiale da parte dei ragazzi al momento della conferma dei propri impegni battesimali. Il secondo lega i due sacramenti cresima-eucaristia alla stessa celebrazione, evidenziando maggiormente il carattere di maturità spirituale che richiede la partecipazione all'eucaristia e il significato che essa ha di accompagnamento nella crescita della persona. È grave errore entrare in polemica sulle modalità e i tempi della recezione di questi sacramenti. Il tempo e le forme di sperimentazione in atto costituiscono infatti una garanzia per il raggiungimento della prassi più corretta in sintonia con il cammino di tutte le Chiese che sono in Italia. Il punto dolente che ci affligge è quello di constatare l'abbandono della partecipazione dei giovani alla vita della parrocchia a partire dall'adolescenza. I nostri ragazzi purtroppo sempre più spesso affrontano una tappa fondamentale della loro vita senza di noi.

E adesso, quando ci vediamo?
Questa domanda è cruciale. Il "volersi rivedere", infatti, può nascere solo dentro un cammino più ampio rispetto alla catechesi per ricevere i sacramenti, solo se la vita parrocchiale e la vita del ragazzo non si sono separate. I gruppi cresima, se vogliono diventare dei gruppi post-cresima, devono attivare dinamiche di gruppo che favoriscano la coesione e l'interesse dei ragazzi. Una delle questioni fondamentali da affrontare nella pre-adolescenza e adolescenza è quella dell'affettività e della sessualità. Normalmente i ragazzi non hanno fiducia di poter affrontare tali questioni in famiglia e in parrocchia e preferiscono vivere le loro prime esperienze e risolvere le loro curiosità lontano dalla famiglia e dalla parrocchia. Proprio a questo punto famiglia e parrocchia dovrebbero interagire fornendo ai ragazzi delle risposte serie ai loro bisogni.
I moralismi in questa fase servono solo a far crescere il pregiudizio che una cosa è la vita di fede e un'altra cosa è la vita affettiva reale. In questa fase così critica un ruolo importante possono giocare le associazioni e i movimenti. In essi si privilegia molto il tema dell'amicizia, della solidarietà e della carità. Questi valori normalmente trovano disponibili all'impegno i ragazzi, i quali hanno l'esigenza di sperimentare la loro crescita come qualcosa di bello e di utile agli altri.
Ci sono realtà ecclesiali in cui prevale il modello di catechesi che tende a coinvolgere tutta la famiglia nell'itinerario di fede: è ciò che avviene in alcuni movimenti ecclesiali, nelle cellule di evangelizzazione e nelle comunità ecclesiali di base. In questi tipi di esperienze, più che i contenuti della catechesi, vengono privilegiati lo scambio intergenerazionale della fede e il contesto testimoniale in cui i figli possono apprendere uno stile di vita cristiana centrato sull'ascolto della parola di Dio e sul confronto con altri fratelli.
Anche la comunità parrocchiale può favorire questa integrazione tra adulti e ragazzi, attraverso la valorizzazione di celebrazioni liturgiche, come quelle della Sacra Famiglia, oppure attraverso le forme della festa e del pellegrinaggio, o recuperando la benedizione della casa (con tutti i componenti la famiglia e il vicinato).

Adornare la casa: famiglie e ministerialità
Le famiglie nella parrocchia sono il segno del mistero della comunione ecclesiale e rappresentano un'enorme potenzialità pastorale. In primo luogo la coppia, per il fatto di esistere, richiama al mistero sponsale di Cristo con la sua Chiesa. Due coniugi sono, al solo vederli, un segno dell'amore di Dio; la loro semplice presenza è esercizio di un prezioso ministero, quello cioè di rendere visibile la tenerezza e l'amore di Cristo! Quando una coppia comprende pienamente che la sua stessa esistenza, contrassegnata dalla sequela di Cristo, è di per sé un annuncio del Vangelo, può essere coinvolta nella maturazione di altre coppie cristiane. È bello vedere coppie cristiane accompagnare altre coppie cristiane (particolarmente quelle giovani), con le quali sappiano condividere le ansie e le difficoltà. Importante è caratterizzare questo tipo di esperienze, già attive in diocesi, con la centralità della parola di Dio e della persona di Gesù Cristo. In questo modo la coppia riscopre la fonte della propria spiritualità sponsale e recupera con energia il proprio ruolo educativo verso i figli e la propria esemplarità nei confronti degli altri membri della società e della Chiesa. Non si escluda la possibilità che una o più famiglie si facciano carico della catechesi ai propri figli e anche ad altri ragazzi, che in questo modo possono recepire un modello di vita magari diverso da quello che trovano a casa nei loro genitori.
Ci fa piacere spesso notare intere famiglie (genitori e figli) coinvolte nella vita parrocchiale. La presenza attiva dei figli comporta naturalmente un'ulteriore prova di maturità della coppia e della famiglia, che viene a misurarsi con un contesto sociale, la parrocchia, in cui la dimensione affettiva del nucleo familiare si estende alla gratuità ecclesiale dei rapporti di fede.
Questo porta alla famiglia il bene di un confronto più ampio e la possibilità per ognuno dei suoi membri di discernere più profondamente la volontà di Dio. La famiglia diventa luogo di discernimento vocazionale.
I genitori cristiani veri assecondano le inclinazioni e le scelte dei figli cercando di collocarle sempre nell'ottica del Vangelo e chiedendo per loro, nell'umiltà della preghiera, il bene più grande dello Spirito. Gesù, infatti, dice: "Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? […] Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!" (Lc 11,11.13). Naturalmente questi genitori vanno aiutati. È auspicabile una sempre maggiore collaborazione tra pastorale familiare, pastorale giovanile e pastorale vocazionale; cosicché anche una scelta di vita particolare, come può essere quella sacerdotale o religiosa, venga vista dalle famiglie e dalle comunità come un dono di Dio e un segno della loro fecondità. Naturalmente non possiamo pensare più a una famiglia statica, immobile nel territorio parrocchiale. Come dice bene la Nota Pastorale "Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia", il legame con la parrocchia oggi è più complesso, "sembra allentato perché i suoi confini non racchiudono più tutte le esperienze della sua gente; ma risulta moltiplicato, perché la vicenda umana si gioca oggi su più territori" (n. 10). In questa situazione la parrocchia rimane tuttavia "un punto di riferimento unitario perché anche la fede non subisca una frammentazione o venga relegata in uno spazio marginale dell'esistenza" (Ib.).
Ecco allora che anche la mobilità della famiglia e i suoi contatti esterni alla parrocchia stessa ne rivelano il volto missionario. Questa mobilità consente alla famiglia di frequentare luoghi e ambienti bisognosi di evangelizzazione, anche oltre i confini parrocchiali, in cui la presenza istituzionale del parroco difficilmente arriva.
La pratica dell'ospitalità permette alla famiglia una missionarietà meravigliosa che a nessun'altra realtà può essere delegata. Una casa cristiana aperta all'ospitalità, come la casa di Betania, favorisce l'incontro personale e spontaneo, in un clima di calore e di accoglienza, di credenti e non credenti e di persone di altra fede religiosa o lontane dalla Chiesa. Se è vero che la famiglia cristiana che accoglie vede nell'ospite Cristo stesso, è vero anche che chi amorevolmente viene accolto vede in chi lo accoglie un annunzio semplice e non proselitistico della fede cristiana.
In questo modo la famiglia realizza un altro fine importante della pastorale odierna: essa propone in maniera efficace la cultura che affonda le sue radici nell'humus del Vangelo e che è diversa da quella dominante. Tutte le famiglie sono uno scrigno di cultura. Esse possono, pertanto, risultare fondamentali in quel ruolo di mediazione che ha la parrocchia nei riguardi del "Progetto culturale orientato in senso cristiano" sia per una lettura cristiana dei fenomeni sociali sia per animare un confronto sereno con la cultura del nostro tempo.
Importante è anche individuare nella comunità parrocchiale il carisma di evangelizzazione che alcune famiglie possiedono. La famiglia ha spesso una maggiore capacità di penetrazione in quei contesti familiari in cui si è consumato un lutto o è in corso una grave malattia o ci sono situazioni umane di difficoltà ed emarginazione. È lì che può esercitare un vero e proprio ministero della consolazione.
Nella parrocchia, famiglia di famiglie, il parroco ha un ruolo determinante ai fini dell'ordine e della comunione. In quanto saggio e prezioso collaboratore del vescovo, esercita nella parrocchia, per suo mandato, la cura della casa di Dio e se ne fa custode. Egli con sapienza, rispettando l'identità di ciascuna famiglia della comunità, ne valorizza i doni e i ca-rismi, ponendosi nei confronti della grande famiglia parrocchiale come il padre, che dà suggerimenti e ricostruisce il buon ordine, e come lo sposo che con tenerezza e amore risana i conflitti ed esalta la bellezza della sua comunità, facendosi per essa immagine di Cristo Sposo, come dice san Paolo della comunità di Corinto: "Io provo per voi una gelosia divina, avendovi promesso ad un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2Cor 11,2).
Questa dimensione non toglie al parroco il suo ruolo di fratello e di amico, e anche di figlio della sua stessa comunità; perché mai monti in superbia e da coloro ai quali insegna, anche sappia umilmente apprendere. Figura da riscoprire e da valorizzare è il diacono permanente. La sua particolare condizione di sposo e di padre, di uomo impegnato nel mondo del lavoro e di ministro ordinato, lo rende prezioso segno per le famiglie. Egli rappresenta, infatti, una figura esemplare e per la famiglia domestica e per la famiglia ecclesiale. Il diacono porta nella parrocchia le istanze della famiglia con i suoi travagli, le sue aspirazioni, i suoi drammi e le sue croci e porta nelle famiglie che è chiamato a servire la ricchezza della vita di grazia sperimentata in parrocchia.

Case naufragate
È normale che una coppia e una famiglia attraversino momenti di tensione e di crisi. Quando queste vengono affrontate da soli, senza il sostegno della fede e l'aiuto di altre famiglie credenti, allora "il vento e la tempesta" si abbattono su quella casa e la famiglia naufraga nell'incomprensione, nella lite, nella separazione.

L'amore infedele: tradimento e perdono
Dopo il dolore per la perdita di una persona cara o per la scoperta di essere gravemente ammalati, il dolore psichico più forte è questo: scoprire di essere traditi da chi si ama. Solamente una coscienza più profonda dell'amore di Dio può permettere a chi ha tradito e a chi è stato tradito di fare del tradimento una verifica e una purificazione del proprio rapporto, attingendo alla sorgente del sacramento che si è celebrato il giorno del proprio matrimonio. Solo il perdono nel suo profondo senso cristiano, infatti, può sanare una ferita tanto sanguinante. A meno che non ci sia mala fede e volontà ostinata, la coppia cerchi di capire da quale malessere, o del singolo o di entrambi, il tradimento sia stato provocato e cerchi di porvi rimedio. In queste situazioni viene messa a dura prova la solidità della propria esperienza di fede; ma è possibile ricominciare: Dio sa far nuove tutte le cose.

L'amore dolente: fedeli all'altro nonostante l'altro
C'è un dolore e una pena che alcuni accettano di portare sempre con sé. Sono le persone separate non per propria scelta, che hanno lasciato libero il coniuge di seguire la strada di una nuova relazione e che hanno deciso di mantenersi fedeli al sacramento, nonostante l'altro abbia ormai dichiarato di aver chiuso il rapporto. Sono persone spesso guardate con diffidenza, in quanto considerate "libere", e che su-biscono lo scacco supplementare dell'isolamento sociale. Spesso anche le comunità non sono pronte a sostenere persone che hanno fatto questa scelta. Stanno nascendo, grazie a Dio anche in Italia, associazioni di coniugi separati fedeli al sacramento, per un sostegno reciproco e la ricerca di un percorso spirituale specifico.

L'amore senza sacramento: il bisogno insopprimibile dell'altro
Non tutti, tra i battezzati, fanno la scelta di rimanere fedeli al sacramento. Spesso la solitudine, il bisogno di un equilibrio affettivo perduto, l'incapacità di gestire il rapporto con i figli, l'uscita da uno stato depressivo provocano la decisione di costituire un nuovo legame e di renderlo visibile e permanente. Questa situazione può toccare le comunità anche in famiglie abituate alla frequenza domenicale. Il fatto che raramente coniugi divorziati e risposati siano presenti nella comunità, se da una parte dice una loro presa di distanza e un certo rancore nei confronti della Chiesa perché non possono accostarsi alla mensa eucaristica, può anche voler dire una certa incapacità da parte delle comunità di accogliere questa nuova situazione e di integrarla nel vissuto della parrocchia. Si tratta di aprire un dialogo con questi fratelli e di prospettare un cammino che offra loro un particolare percorso spirituale.

L'amore innocente: i figli "tra" padre e madre separati
I figli dentro questo menage familiare soffrono, perché devono imparare un modo diverso di relazionarsi con i propri genitori rispetto ai propri amici e coetanei. Sebbene oggi la diffusione del problema porti ad una sua (a volte superficiale) sdrammatizzazione, rimane il dovere di aiutare questi ragazzi a conoscere un modello di famiglia che non corrisponda necessariamente alla propria situazione. La parrocchia ha un ruolo particolarmente importante perché in genere nella nostra diocesi anche i coniugi separati tendono a voler inserire i loro figli nel normale iter di catechesi per l'Iniziazione cristiana. Usiamo delicatezza e carità verso gli uni e verso gli altri. Proprio i figli potrebbero essere il motivo di un ritorno alla Chiesa di persone che a volte hanno covato grande risentimento nei suoi confronti.

La casa del Re: gli invitati alla festa "dai crocicchi delle strade"
Ci viene detto qual è la debolezza della parrocchia: essa ha a che fare con tutti e senza discriminazioni. Ma proprio questo la rende un punto di riferimento nel territorio, una casa possibile per tutti. Dunque, come per San Paolo, nella sua debolezza sta la sua forza. Debolezza vittoriosa del Vangelo!
Se alcuni invitati hanno altro da fare, la parrocchia, come la casa del Re della parabola (cf. Lc 14,23), si riempie ugualmente di tutti gli invitati "dai crocicchi delle strade" e con tutti fa famiglia. Essi sono i poveri, oggi sempre più in aumento, soprattutto tra le famiglie di disoccupati. Sono gli anziani e i malati abbandonati. Sono le famiglie in cui uno dei membri è detenuto in carcere, la cui povertà materiale, ma più spesso culturale e morale, produce un'inestricabile struttura di male. Sono quelle persone che vivono il dramma della separazione forzata dai familiari a motivo del loro mestiere itinerante (i naviganti e tanti altri costretti per lavoro a viaggiare continuamente) o per la piaga ancora viva dell'emigrazione.
Sono vicino e incoraggio caldamente la parrocchia che dinanzi a queste emergenze cerca di fare quanto è nelle sue possibilità. Non possiamo e non dobbiamo lasciarla sola!
Le strutture della Caritas e le associazioni di volontariato in primis hanno questo compito di sostegno alla fatica delle parrocchie. Strumento della carità sono il Centro d'accoglienza Badia Grande, il Centro diurno per malati psichici, il Centro di accoglienza Caritas di Alcamo, i numerosi Centri di ascolto Caritas parrocchiali e il Centro "…e mi hai vestito", boutique per i poveri.
È già presente nel nostro territorio il segno profetico di una "famiglia allargata". Auspichiamo che sorgano altre famiglie in cui gli sposi facciano la scelta coraggiosa di accogliere e dare una famiglia a persone in difficoltà. Molte già operano in Italia riunite in associazioni come quella "Papa Giovanni XXIII" fondata da don Oreste Benzi.
Tre situazioni vorremmo, infine, evidenziare che possono entrare nel vissuto della famiglia e condizionarla; ma esortiamo a considerarle con uno sguardo di fede e di misericordia: la sterilità, la disabilità, l'omosessualità.
La sterilità colpisce ancora una certa percentuale di coppie. Oggi alcune di esse superano il problema attraverso i progressi della medicina; è questa una cosa buona di cui ringraziamo il Signore. Bisogna però che le coppie senza figli siano avvertite delle modalità che portano alla fecondazione e alla nascita di un figlio, perché ciò non avvenga andando contro la visione morale evangelica. La materia è intricata. Il problema può sfociare nell'estrema, nefasta e inaccettabile soluzione di ricorrere alla fecondazione eterologa. Aldilà delle teorie scientifiche sull'origine dell'uomo (la Bibbia non ha la pretesa di essere un libro di scienza), la catena genealogica che racconta la nascita di tutto il genere umano da una sola coppia primordiale dice il bisogno che ciascun uomo ha di conoscere le proprie radici, di sapere qual è il soggetto a cui deve la vita. Come i figli di Adamo ed Eva sapevano chi poter riconoscere come sorgente della loro vita, così ogni figlio ha diritto di conoscere chi lo ha generato, per una reciproca assunzione di responsabilità.
È troppo facile liquidare le questioni etiche sulla fecondazione artificiale come semplici questioni di natura religiosa; la sfera etica, infatti, coinvolge anche l'ambito scientifico. Parlando ad una coppia cristiana mi sentirei di dire che la sterilità è un dono difficile, ma è un dono; nulla può sfuggire al piano di Dio, che in via eccezionale, ha fatto nascere figli da coppie sterili; è una vocazione diversa, che non segue il piano della natura, ma quello della Grazia. Bisogna capovolgere il punto di vista. Le scelte di adottare un figlio o di donarsi agli altri nella carità sono vie di santificazione, non certo vie di fuga per gente frustrata; vanno assunte come compimento della volontà di Dio, e quindi nella pace. Piuttosto che accanirsi nel volere un figlio, è cosa migliore vivere la sterilità fisica e conquistare la difficile ma esaltante fecondità da cui non sono escluse anche le famiglie con figli: la fecondità spirituale!
Anche la presenza del disabile in famiglia viene vista sempre più spesso come fonte di benedizione. Auspico che nella nostra diocesi cresca una pastorale specifica per le persone disabili e ciò sia di sostegno alle loro famiglie. Un segno bello è quello della Fondazione Auxilium, che da anni opera in questo campo. Sia le nostre strutture, sia le nostre comunità devono ancora progredire. Le famiglie sono in questo più avanti e hanno molto da insegnare su come si vive accanto ai disabili e quale contributo essi possono dare alla qualità della vita di fede.
Vorremmo, infine, porre l'attenzione ad un aspetto della famiglia su cui poco riflettiamo per tabù, per paura o per malinteso moralismo. Ci riferiamo al caso in cui uno dei membri di una famiglia scopra e riveli la propria omosessualità. In verità questo caso è statisticamente molto al di sotto della reale incidenza dell'omosessualità all'interno della popolazione. La famiglia, infatti, a chi vive questa dimensione affettiva, non appare sempre capace di sopportare questa diversità; capita allora che questa rivelazione avvenga in ambienti e situazioni che non aiutano certo l'integrazione sociale, ma lasciano l'omosessuale in un ghetto isolato e segreto. Cosicché può verificarsi che un membro della famiglia soffra indicibilmente e la famiglia non ne sappia nulla, o, se intuisce, preferisca non affrontare il problema.
La paura di essere subito giudicati e mandati tra le fiamme di Sodoma e Gomorra impedisce, nella maggior parte dei casi, il rapporto esplicito con la Chiesa e con i sacerdoti. Senza voler dirimere una questione dai risvolti morali molto complessi, ci sembra giusto esortare ad una maggiore preparazione spirituale e psicologica, dei sacerdoti e di tutti gli operatori pastorali a saper cogliere il dramma che spesso sta dietro il volto triste e smarrito di persone che ci stanno accanto e spronare le famiglie a fare altrettanto.


La casa in festa nel "Giorno del Signore"
La parrocchia, casa tra le case e accanto alle case, famiglia di famiglie, realtà cenacolare, è il primo volto della Chiesa nel territorio, quello che più immediatamente appare. Da sempre essa "ha cercato di dare forma al Vangelo nel cuore dell'esistenza umana" (Il volto missionario…, n.4) e deve continuare a farlo. Il suo modello per il raggiungimento di quella Comunione che abbiamo indicato come meta nel nostro Progetto Pastorale, è il Cenacolo. Lo abbiamo esplicitato a lungo nei precedenti Piani Pastorali. con questo Piano Pastorale, aggiungiamo più decisamente che le famiglie, anche oggi, sono protagoniste della costruzione di questa Comunione cenacolare come lo erano le famiglie della Chiesa primitiva, nelle cui case "tutti insieme spezzavano il pane in letizia e semplicità di cuore" (At 2,46). E come allora, anche oggi, nella casa parrocchiale, il primo giorno della settimana, quello in cui "il Cristo Risorto ci ridona come un appuntamento nel Cenacolo" (Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, n.58), tutte le famiglie condividono l'Eucaristia come segno di Comunione dentro la grande famiglia parrocchiale. È bello vedere la ministerialità di una famiglia nella liturgia: il bambino chierichetto, il padre ministrante, accolito o diacono e la mamma che proclama la parola di Dio o si impegna a rendere accogliente e festosa la parrocchia nel Giorno del Signore. Sono cose che vediamo e che ci riempiono di speranza per il futuro della nostra Chiesa.
A conclusione auspichiamo che il Piano Pastorale possa servire da strumento nelle mani dei sacerdoti e degli operatori pastorali, ma anche da sussidio biblico-teologico per la formazione spirituale dei gruppi di famiglie e delle coppie che si preparano alla celebrazione del matrimonio.
A tutte le famiglie auguro buon cammino in seno alle famiglie parrocchiali e dentro la grande famiglia diocesana mentre invoco su tutti la benedizione di Dio e il materno aiuto di Maria, Sposa e Madre!



O Maria, Vergine e Sposa,
Tu che accogliesti senza esitare il progetto di Dio,
disponendoti a vivere l'esperienza
esaltante e dolorosa
di sposa e di madre,
ottieni alle nostre famiglie
la grazia di comprendere il mistero di amore
che Dio fin dall'eternità
ad esse ha riservato.

O Madre dolcissima,
conduci per mano la Santa Chiesa di Trapani
nella realizzazione dell'auspicato progetto
del rinnovamento della parrocchia.
Le parrocchie,
spazio vitale di Comunione e di fede,
realtà cenacolare,
si formino e vivano
sul modello della Santa Famiglia,
pongano al centro la famiglia,
l'accompagnino con amore
nella realizzazione della sua missione.

La famiglia,
necessaria cellula di Chiesa viva,
operi da protagonista
nella comunità ecclesiale,
si scommetta con amore
per la crescita nella fede
dell'uomo pellegrino nel mondo.

Con il tuo soccorso, o Madre,
in dialogo solidale,
in amicizia e fraternità
intendiamo costruire un tessuto di famiglie
aperte alla vita,
strumenti di storia salvifica.
Aiutaci, o Madre amabile,
a fare della famiglia
il segno privilegiato
dell'amore di Dio per l'uomo.

O Maria di Nazareth,
intercedi presso l'altissimo Dio,
Padre, Figlio e Spirito Santo,
Beata Famiglia Trinitaria,
icona perfetta di Comunione e di Amore
per ogni famiglia e per la parrocchia,
perché siano nel mondo
segno profetico di speranza,
aperte, disponibili, accoglienti
e sappiano narrare
le meraviglie del Signore.
Amen.



APPENDICE

lettera alle famiglie


Carissima famiglia,

ciascuno di noi vive la sua esperienza radicato nella famiglia che l'ha generato alla vita, lo ha aiutato a crescere, lo ha accompagnato nell'arduo cammino della maturità umana, sociale, culturale e religiosa.
Alla famiglia come luogo privilegiato in cui facciamo esperienza dell'amore cristiano intendo rivolgere la mia attenzione vigile di pastore.
La mia ricerca della famiglia non è per catturarla e carcerarla come purtroppo tante agenzie oggi fanno, ma per contemplarla quale Dio l'ha sognata nel suo piano di amore per l'umanità.

1. Padre e madre sono nomi impegnativi che bisogna meritarsi sul campo.
Non è la semplice generazione nella carne che dà diritto ai genitori ad essere padre e madre, ma è la loro consapevolezza di dover svolgere una missione delicata, difficile e necessaria che li accredita in tal senso.
È la missione di educare i propri figli, di desiderare e volere il bene dei figli che fa dei genitori dei veri papà e delle vere mamme.
Le famiglie, luogo primario dell'educazione dei figli, sono il santuario della vita ove sboccia, cresce, matura la bontà, l'amore, l'abnegazione, la misericordia, il perdono, la socialità, la solidarietà, il senso della giustizia, del bene comune, della legalità, il senso profondo del vivere e la religiosità.
I genitori educano i loro figli educandosi all'amore oblativo, rispettando i tempi dell'altro, aiutandosi a vicenda, prevenendosi nei bisogni, assecondando i desideri dell'altro. La latitanza dei genitori dalla vita dei figli è il male oscuro che insidia e mina la famiglia di oggi.

2. Voi genitori educate i figli vivendo con loro, amando stare con loro, non fuggendo dalle vostre responsabilità, sentendovi gratificati anche a costo di grandi rinunzie per servire, accudire, perdervi per i vostri figli.
Dovete stare accanto ai figli, essere loro prossimo, portare insieme la croce, farvi cirenei, giocarvi la vita con loro e per loro andando lieti e fieri di dovervi spendere per loro, non mugugnando né facendolo per forza.

3. Oggi si fa a gara a chi arriva per primo all'abbandono dei figli.
È la mamma tutta presa dall'affermazione di sé fuori dalla casa?
È il papà troppo intento a guadagnare per rendersi conto che i figli reclamano la sua presenza e il suo intervento?
Si ruba il tempo ai figli e si tacitano le coscienze sommergendoli con regali spesso inutili e dannosi: gite, vacanze, soldi.

4. Date il vostro tempo ai figli.
Perdetevi per loro. Siate disponibili all'ascolto. Imparate l'arte dell'ascolto e non abbiate fretta. Sappiate attendere, leggete i silenzi dei vostri figli, i corrucciamenti, le tristezze scolpite nei loro occhi, gli interrogativi dipinti sul loro volto.

5. L'ascolto nasce dall'amore.
Chi non ama non ascolta, è distratto, non vede, non sente, non capisce, è catturato da altro, non può essere di aiuto.
Ascoltare è amare, è lasciarsi prendere dal bisogno, dal grido di aiuto che viene dall'altro, è condividere, entrare in empatia, dare se stessi, prestare il proprio braccio per sostenere l'altro. L'ascolto non è fatto di mutismo: esso genera dialogo, un dialogo rispettoso, pacato, sereno, improntato a rettitudine d'intenzione e a verità, scevro da ideologismi e da malcelate furberie.
I figli non vogliono genitori in cattedra, esigono autorevolezza, ma non sopportano e respingono i dictat d'autorità, abbisognano di educatori discreti e generosi che li accompagnino passo passo nell'esplorazione del proprio io e del mondo che li circonda.
Il dialogo tra genitori e figli non può essere impostato su un gioco di forza, non può avere i genitori nella posizione di chi è detentore della verità e i figli di chi è nella condizione di dover essere imbonito.
Il dialogo è possibile ed è fruttuoso a condizione che si guardi l'altro con l'occhio ammirato di chi vede nell'altro un mistero da scoprire, un valore da apprezzare, un bene da accogliere.
I figli rivelano agli occhi dei genitori la grandezza dell'amore di Dio che non si ripete mai nella creazione e che ha fatto ciascun uomo unico e irripetibile nella storia.

6. Lasciatevi condurre dall'amore che vi fa capaci di ascolto vero, continuato, appassionato, un ascolto che vi rende vigili, attenti, non invadenti, rispettosi, non gelosi dei vostri figli, disponibili a riconoscere le meraviglie che sono in loro, stupiti per l'inedito e lo straordinario che vive in loro.
Anche i vostri figli hanno qualcosa da insegnarvi, possono svelare ai vostri occhi ricchezze di bene insospettate.

7. Nel dialogo autorevole e rispettoso matura un'amicizia sincera e lo scambio dei doni diventa facile, arricchente, proficuo.

8. Siate amici dei vostri figli.
I primi, i più fedeli, i più fidati amici ai quali poter confidare, riversare ogni ansia, problema e speranza.
Abbiate la pazienza di seguirli nei loro ragionamenti, maturate la capacità di immedesimarvi nei loro problemi, entusiasmatevi per i loro progetti di vita, siate generosi nell'accogliere le loro richieste di aiuto, condividete e non prendete le distanze dai loro piccoli e grandi problemi, non meravigliatevi e non scandalizzatevi delle loro mancanze, rendetevi disponibili a fare tutta la strada con loro, dialogate senza la presunzione di essere i più bravi, fatevi umili portatori della verità che salva.

9. I modelli su cui i giovani si confrontano sono quelli patinati della televisione, modelli che come lampade spente li gettano nel tunnel di un sentire massificante, squallido, stanco, abulico, privo di senso.
Cantanti, sportivi, attori secondo un copione imposto dalla pubblicità si muovono in una telenovela senza fine dove il successo, il denaro, il sesso, la vittoria, si susseguono con una cadenza ossessiva che depista i ragazzi e i giovani dal senso vero della vita e li proietta in un mondo ipotetico, irreale, di sogni impossibili.
Scimmiottare questi modelli di vita diventa esercizio da manuale, un modo per evadere, per sfuggire alle proprie responsabilità chiudendo gli occhi alla realtà per tuffarsi nel trasgressivo dell'alcool, della droga, del sesso.

10. Offritevi ai vostri figli quali modelli di vita.
Siate testimoni credibili.
Voi genitori non potete e non dovete essere spettatori inerti, dovete starci dentro questo mondo per capirlo e saperlo discernere, per essere capaci di orientare i vostri figli.
Vivendo controcorrente, dando alla vostra vita la lucentezza e il calore dei valori veri accendete l'entusiasmo dei vostri figli verso ciò che conta e dà senso alla vita, sviluppate in loro la capacità critica, il sano discernimento sui falsi modelli autodistruttivi e inceneritori del bene.
Non tiratevi indietro, affrontate le problematiche che investono i vostri figli, non accantonatele e non rimandatele al domani, non lasciatevi travolgere dall'onda malefica di chi dice "non c'è nulla da fare" e si adagia nel "tutti fanno così".
Date ragione di quanto vivete, di come vivete, del perché vivete e fate determinate scelte di vita.

11. I giovani vivono oggi un'adolescenza prolungata, lunghissima, infinita.
C'è una fragilità strutturale che prende i giovani e non li lascia più.
Le scelte di vita si rimandano a dopo, si ha paura di scegliere, di fare quel salto verso la maturità, verso la vita adulta che consiste nel saper donare qualcosa e nel donarsi, nell'assumersi le responsabilità della vita, nell'orientarsi e nel fare esperienze significative e forti.
I figli crescono e non crescono solo fisicamente, richiedono di essere accompagnati nella loro crescita globale, di essere introdotti alla vita adulta responsabilizzandoli, mettendoli a parte delle problematiche familiari, condividendo con loro sacrifici e rinunce.
Le loro spalle si abitueranno gradualmente a sopportare il peso dell'esistenza, ad affrontare da adulti la vita non relegando ad altri le responsabilità, né attendendo dagli altri le soluzioni ai loro problemi.
Stare dentro la vita con la sua complessità, con i suoi chiaroscuri, con le sue esigenze e starci da adulti è impresa non facile, ma non impossibile.

12. Dovete stimolare i vostri figli a crescere: essi devono crescere davanti ai vostri occhi. Non vedeteli e non considerateli sempre bambini da accudire, da proteggere, da imboccare.
Fate in modo che i vostri figli non rimangano schiacciati dalle responsabilità, sappiate dosare con intelletto d'amore i pesi sulle loro spalle, sappiate guidarli, condurli per mano, amorevolmente ma decisamente verso quegli spazi di responsabilità e di libertà che fanno una persona adulta e matura.

13. Nel cammino della vita ci sono gioie e dolori, tristezze e angosce che affliggono l'uomo, lo esaltano, lo deprimono, lo schiacciano.
La sofferenza la incrociamo quotidianamente, ci interpella con forza, ci schiaffeggia, ci inquieta. La sofferenza è scandalo, ma è anche palestra di vita, è scuola di umanità. Nella sofferenza si riscopre il bene della vita, bene troppo spesso vilipeso, accantonato, svilito al confronto con i beni del mondo.
L'egoismo gretto e meschino che impedisce di farci prossimo dell'altro è il male oscuro dell'odierna società che lascia morire gli anziani nella solitudine più nera e nell'abbandono, che chiude il cuore al grido di dolore di chi soffre, è solo, chiede aiuto e non trovandolo si dispera e chiude tragicamente con la vita.
Tanti egoismi messi insieme causano il vuoto di umanità che è sotto i nostri occhi.

14. Carissimi genitori, fate incontrare i vostri figli con la sofferenza, scuoteteli dal mondo fatuo in cui sono proiettati, date una virata alla loro vita facendoli passare attraverso le ferite della sofferenza perché diventino feritoie per vedere e valutare la vita in maniera più vera e più piena.
La sofferenza non è un'occasione per odiare, ma per amare. Cristo in croce è l'icona della sofferenza per amore.
Apritevi e apriteli al volontariato.

Invogliate i vostri figli a fare esperienze negli ospedali, nelle case di riposo, nei gruppi di volontariato Caritas, nel volontariato civile.
"Condividere" è la parola d'ordine se non volete fare dei vostri figli delle monadi assenti, asettiche, insapori e incolori. Dovete punteggiare ogni giorno di piccole opere buone da vivere in famiglia, nella parentela, con i nonni, con i vicini di casa. Dai piccoli gesti di ogni giorno costruirete e strutturerete la personalità adulta dei vostri figli che domani saranno capaci di servizio generoso e altruistico.

15. Una famiglia che prega è una famiglia che si regge, che sta insieme bene, che si costruisce giorno dopo giorno.
I genitori che pregano insieme sono la lezione più forte che i figli possano ricevere, quel pugno nello stomaco benefico che interroga e incide nelle coscienze.
La famiglia in preghiera è la famiglia che assume come stile lo sguardo di Dio, che cattura l'amore di Dio e lo fa proprio, che riesce gradatamente a spogliarsi del superfluo per vivere dell'essenziale, che gioca la sua esistenza sul Vangelo e non sui calcoli e gli interessi umani, che sposa la causa di Dio e la porta avanti con gioia.
Le case atee, vuote di Dio sono prive di luce, gli occhi non risplendono della luce di Dio, sono occhi gelidi che non sanno dare amore.
Pregare è entrare in sintonia con il volere di Dio, aprirsi al suo volere. Forti della preghiera non si progetta autonomamente, ma si ricerca il progetto che Dio ha su ogni uomo.

16. Siate esempio di vita orante.
Vi aprirete nella preghiera ad orizzonti di impegno e di missionarietà ecclesiale, scoprirete la gioia di essere comunità credente, piccola Chiesa, Chiesa domestica.
Con la preghiera del Padre Nostro nei vari momenti che scandiscono le giornate, esprimete la spiritualità della famiglia di Nazareth come affidamento totale alla volontà di Dio provvidenza infinita e carità solidale verso i fratelli.


Carissimi genitori,

aprite, spalancate il vostro cuore a Dio, non siate pigri nello zelo, siate ferventi nella carità, amate la Chiesa, le vostre comunità parrocchiali, state accanto ai vostri sacerdoti.
Riscoprite ogni giorno di più la vostra vocazione nella Chiesa, siate ministri del Signore per i vostri figli, amateli con il cuore di Cristo, seguiteli con la carità pastorale della Chiesa, serviteli con l'affetto e la dedizione che comporta il vostro essere mamma e papà.
La luce e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo, la forza e la potenza dello Spirito Santo pervada i vostri cuori e li renda docili alla sua azione vivificante e salvifica.
Maria, sposa purissima di Giuseppe e Madre dolcissima di Gesù, vi accompagni in questo esaltante ministero genitoriale e la santità matrimoniale rifulga in voi come luce amica alla quale potranno abbondantemente attingere i vostri figli.

Con paterno affetto
+ Francesco Miccichè
vescovo