Omelia Domenica delle Palme
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domenica 08 aprile 2001
La settimana santa si apre con l'osanna al figlio di David, con la gioia della folla che acclama Gesù Messia e Lo accoglie a Gerusalemme come re.

Questo tripudio di popolo, il quale fa festa a Gesù con ramoscelli di ulivo e di palme, Lo vede entrare nella città santa come re mansueto che cavalca un'asino segnando l'epilogo di un itinerario che per tre anni ha visto Gesù pellegrino per le strade della Galilea, rabbì buono che parla un linguaggio mai inteso, che insegna una dottrina nuova, che annuncia un messaggio rivoluzionario: la lieta novella della salvezza, che da maestro povero e attento ai poveri, sana i malati nel corpo e nello Spirito.

Gesù sa che questo è il suo ultimo viaggio, è la meta in cui si realizzerà il progetto del Padre, si compirà la sua missione, si consumerà il sacrificio supremo della sua vita.

L'ora di Cristo si avvicina e le polemiche degli scribi e dei farisei troveranno l'occasione giusta per inchiodare Gesù sulle sue responsabilità, a loro giudizio, di una gravità inaudita.

L'accusa che Lo porterà alla morte di croce è questa: "Sei tu il Cristo, il figlio di Dio Benedetto? Gesù rispose io lo sono!"(Mc.15,61).

Dio, nessuno l'ha mai visto, ma nella pienezza dei tempi Egli si è rivelato nel figlio suo unigenito, il Quale ha posto la sua tenda tra gli uomini incarnandosi nel seno purissimo della Vergine Maria di Nazaret.

Ecco lo scenario della settimana santa: Dio, l'attore principale di questo dramma dai risvolti tragici, ma dal finale gioioso e l'uomo che si ostina a misconoscere Dio, a non dargli diritto di cittadinanza.

Quel dramma continua nella storia contemporanea.

Gesù non trova posto nel cuore di tanta parte dell'umanità che lo rifiuta e con stizza cerca di zittirlo,

di emarginarLo, di distruggerLo.

Cristo, ieri come oggi, è segno di contraddizione, motivo di salvezza per chi crede, di perdizione per chi non crede.

C'è posto per Cristo nella nostra Trapani?

Nella famiglia dove il tenero amore lascia il campo al sordo rancore, ai silenzi, agli egoismi, alle cattiverie, agli abusi, alla negazione della vita, allo sfascio dei sentimenti.

Nelle istituzioni dove la logica del bene comune lascia campo libero al particolarismo clientelare, all'egoismo settario e lobistico , al disinteresse e all'apatia.

Nella chiesa dove la logica della comunione cede il passo al fai da te del singolo, chiuso nel suo gretto egoismo, incapace di aprirsi al servizio, alla logica dell'amore ablativo e liberante.

Trapani vive la sua settimana di passione sui problemi del quotidiano che pesano nel futuro di questa città: centro storico in grave degrado, occupazione zero, povertà e miseria, politiche sociali insufficienti e pressappochiste, degrado morale.

L'osanna al Cristo non manca: tutto ciò che ruota intorno ai misteri è l'osanna di un popolo che passa con disinvoltura, però, dall'osanna al crocifiggilo.

Crocifiggiamo Cristo quando non Lo accettiamo pienamente nella nostra vita, quando ci rifiutiamo di conoscerLo, di servirLo, di amarLo.

Crocifiggiamo Cristo quando non operiamo nella legalità, calpestiamo la giustizia, rompiamo la comunione, diventiamo ipercritici verso tutto ciò che è devozione, pietà popolare, fede semplice del popolo.

Crocifiggiamo Cristo quando non poniamo al centro l'uomo, i suoi bisogni, le sue ansie, i suoi progetti, le sue speranze, non promoviamo la vita, rinneghiamo la logica dell'amore salvifico e liberante.

La chiesa ci invita ad entrare nello spirito della settimana santa con cuore docile e attento, con la disponibilità a lasciarci raggiungere dall'amore di Cristo, con il desiderio di vivere con Lui l'avventura della passione per essere degni di vivere con Lui l'evento della Resurrezione.

Non ci è lecito sottrarci agli sputi, sappiamo per certo che non resteremo delusi. La bontà paga bene, il male paga male.

Il grido del Cristo: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?"(Mt.27,46), non è il grido di chi dispera, non è la tomba della speranza, è l'anelito dell'anima segnata dalla sofferenza che chiede aiuto, che implora conforto, che pone tutta la sua speranza in Dio.

Davanti alle tragedie della vita non ci è lecito disperare poiché Cristo, nostra speranza, è con noi ed è per noi Salvatore che si carica delle croci più o meno pesanti della nostra vita.

L'umiltà di Cristo, il suo annientamento, il suo marcire come chicco di grano sottoterra, è la speranza che non delude, è la certezza che sarà dal Padre esaltato, che la vita Gli sarà ridonata per sempre nel miracolo straordinario e unico mai verificatosi sulla terra; la sua gloriosa resurrezione.

L'umiltà è la radice nascosta dell'albero della vita, di questa nostra vita che deve alimentarsi di Cristo, che deve trovare in Lui la sua ragione d'essere, la sua linfa vitale, che deve riconoscere che senza di Lui tutto è vuoto, insignificanza, tragedia senza fine.

Entriamo nello spirito di questa specialissima settimana puntando alla santità, a questa meta ardita che ci appartiene come cristiani discepoli del Cristo – Dio tre volte Santo.

Trapani, 08 Aprile 2001